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La Silicon Valley è di nuovo nel mirino

Il multilaterale Biden rischia di trovarsi isolazionista con i Big Tech. Che già sognano di essere lasciati in pace

Michele Masneri

Sotto accusa due acquisizioni realizzate da Facebook: quella di Instagram, nel 2012, e quella di Whatsapp, nel 2014, entrambe volte a sterminare nemici di mercato che davano fastidio

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Mentre Biden si prepara a prendere il comando gli scoppia in mano “Facebookopoli”. Ieri infatti Facebook è stata denunciata per “comportamenti anticoncorrenziali e metodi di concorrenza sleali” dalla Federal Trade Commission (FTC) – l’agenzia per la tutela dei consumatori e della privacy – e dalla Procura generale di New York: altre 46 si sono accodate, in una specie di Mani pulite contro il social siliconvallico.

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Mentre Biden si prepara a prendere il comando gli scoppia in mano “Facebookopoli”. Ieri infatti Facebook è stata denunciata per “comportamenti anticoncorrenziali e metodi di concorrenza sleali” dalla Federal Trade Commission (FTC) – l’agenzia per la tutela dei consumatori e della privacy – e dalla Procura generale di New York: altre 46 si sono accodate, in una specie di Mani pulite contro il social siliconvallico.

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La questione riguarda due acquisizioni realizzate da Facebook: quella di Instagram, nel 2012, e quella di Whatsapp, nel 2014, entrambe volte a sterminare nemici di mercato che davano fastidio. Il gruppo si è difeso dicendo che sono appunto due operazioni vecchie e non si può lanciarsi in inchieste retroattive, però adesso la questione, spinosissima,  passerà nelle mani del nuovo presidente. Facebook potrebbe doversi spezzettare, anche se l’indagine è complicatissima.

 

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Il tempismo rende tutto più drammatico, si potrebbe pensare all’ennesimo avvelenamento di pozzi deciso da Trump, oppure a una vendetta di Biden per come Facebook si è comportata in campagna elettorale. In realtà è semplicemente tempismo, e per Biden sarà più una seccatura che una priorità. Certo, Biden non ha mai nascosto la sua avversione per Facebook, e le negligenze in campagna elettorale (che hanno dato fastidio sia a lui che a Trump) non avranno migliorato la situazione. In generale Biden a gennaio aveva definito i manager siliconvallici “little creeps” dall’insostenibile arroganza, ma la vituperata Silicon Valley è anche l’epicentro dei suoi sponsor.  Cuore a Washington, portafoglio sulla West Coast, il dossier tecnologico – non solo Facebook, ma anche e soprattutto Google - non è infatti mai stata una priorità per la amministrazione entrante. Non figura tra quelle ufficiali (che sono Covid, ripresa economica, equità razziale, e climate change, come appaiono sul sito del transition team).

 

La tecnologia, come segnala la Tecnology Review dell’MIT, non è menzionata che di passaggio, e riguarda semmai l’aumento della banda larga, piuttosto che la regolamentazione dei monopoli. Coi morti pandemici e un’economia da rianimare, insomma, mettersi a bacchettare i colossi tecnologici non sembra interessare la Casa Bianca (mentre lo stesso transition team si potrebbe quotare direttamente al Nasdaq come startup, infarcito com’è di cervelloni provenienti dalla Silicon Valley). Biden non azionerà poi l’arma di distruzione di massa, la section 230 del 1996 US Telecommunications Act, la norma per la quale i social media non sono responsabili dei loro contenuti (se salta quella, salta tutta la Silicon Valley). Perfino Trump aveva minacciato di usarla, nei giorni più convulsi delle elezioni, ma poi non l’ha fatto.

 

E ancora, c’è il ruolo di Kamala Harris, la prossima vicepresidente che come è arcinoto è stata procuratore a San Francisco e poi della intera California, ed è amica di Sheryl Sandberg (Coo di Facebook), mentre suo cognato è il capo legale di Uber. Insomma con Biden probabilmente avremo il paradosso di una Casa Bianca multilateralista e in campo a livello internazionale ma isolazionista sui dossier tecnologici, soprattutto nei confronti della amata-odiata Silicon Valley, che del resto non chiede di meglio: essere lasciata in pace.

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