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Global Human Rights Sanctions Regime

L’Ue conferma il suo slancio umanitario con il suo Magnitsky Act

Si applica in casi di “genocidi, crimini contro l’umanità, uccisioni extragiudiziarie e arresti arbitrari”, possono essere punite anche altre violazioni se sono “ampie, sistematiche o destano serie preoccupazioni”

Paola Peduzzi

Il piano dà ai 27 paesi dell’Ue la possibilità di vietare di viaggiare sul territorio europeo; di congelare gli asset finanziari e di evitare che arrivino fondi europei a chi non rispetta i diritti. Per applicarlo ci vuole l'unanimità che, secondo Bill Browder, "comporta un grande disfunzionamento dell’intero processo della politica estera", ma le scuole di pensiero sono due

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L’Unione europea s’è dotata ufficialmente del potere di punire chi vìola i diritti umani, sanzioni e divieti che si applicano in caso di abusi da parte di persone o imprese. O meglio: ha allargato questo potere, l’ha reso più maneggiabile rispetto a prima, quando era ingabbiato in una serie di procedure e condizioni che di fatto rendeva molto complicato il suo esercizio – al netto della volontà politica, ovviamente, senza la quale nessun potere può essere efficace. Il “Global Human Rights Sanctions Regime” è più noto come il Magnitsky Act europeo perché  ricalca quello americano che era stato strutturato e adottato dopo che l’avvocato Sergei Magnitsky era morto, nel 2009, in una cella russa per aver scoperto e denunciato la corruzione di un gruppo di funzionari russi (dissero che era malato, fu dimostrato che era stato torturato e che non era stato curato). In realtà le connessioni  con l’America sono molto più profonde e sono state anche molto importanti, come ha raccontato Bill Browder, imprenditore e finanziere che aveva come avvocato per le questioni fiscali proprio Magnitsky e che dalla sua morte non ha mai smesso di chiedere reazioni adeguate in America e in Europa. All’inizio dell’anno, Browder aveva detto in un’intervista al sito americano Axios che un Magnitsky Act europeo sarebbe stato “con tutta probabilità la cosa più devastante che possa accadere al regime di Vladimir Putin”. Lunedì Browder ha fatto una conversazione con Politico Europe assieme all’architetto europeo di questa iniziativa umanitaria, il ministro degli Esteri olandese Stef Blok, e ha raccontato che l’Ungheria si era opposta  a questo piano d’azione e soltanto l’intervento di un senatore repubblicano americano, Roger Wicker, ha convinto il premier di Budapest, Viktor Orbán, a cedere (“Wicker di fatto ha chiamato gli ungheresi e ha detto: ‘Se non fate questa cosa, ne facciamo uno scandalo internazionale’. Era novembre dello scorso anno, e poco dopo tutto il processo si è sbloccato”, ha detto Browder).        

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L’Unione europea s’è dotata ufficialmente del potere di punire chi vìola i diritti umani, sanzioni e divieti che si applicano in caso di abusi da parte di persone o imprese. O meglio: ha allargato questo potere, l’ha reso più maneggiabile rispetto a prima, quando era ingabbiato in una serie di procedure e condizioni che di fatto rendeva molto complicato il suo esercizio – al netto della volontà politica, ovviamente, senza la quale nessun potere può essere efficace. Il “Global Human Rights Sanctions Regime” è più noto come il Magnitsky Act europeo perché  ricalca quello americano che era stato strutturato e adottato dopo che l’avvocato Sergei Magnitsky era morto, nel 2009, in una cella russa per aver scoperto e denunciato la corruzione di un gruppo di funzionari russi (dissero che era malato, fu dimostrato che era stato torturato e che non era stato curato). In realtà le connessioni  con l’America sono molto più profonde e sono state anche molto importanti, come ha raccontato Bill Browder, imprenditore e finanziere che aveva come avvocato per le questioni fiscali proprio Magnitsky e che dalla sua morte non ha mai smesso di chiedere reazioni adeguate in America e in Europa. All’inizio dell’anno, Browder aveva detto in un’intervista al sito americano Axios che un Magnitsky Act europeo sarebbe stato “con tutta probabilità la cosa più devastante che possa accadere al regime di Vladimir Putin”. Lunedì Browder ha fatto una conversazione con Politico Europe assieme all’architetto europeo di questa iniziativa umanitaria, il ministro degli Esteri olandese Stef Blok, e ha raccontato che l’Ungheria si era opposta  a questo piano d’azione e soltanto l’intervento di un senatore repubblicano americano, Roger Wicker, ha convinto il premier di Budapest, Viktor Orbán, a cedere (“Wicker di fatto ha chiamato gli ungheresi e ha detto: ‘Se non fate questa cosa, ne facciamo uno scandalo internazionale’. Era novembre dello scorso anno, e poco dopo tutto il processo si è sbloccato”, ha detto Browder).        

 

Il piano d’azione dà ai 27 paesi dell’Ue la possibilità di vietare di viaggiare sul territorio europeo; il potere di congelare gli asset finanziari e di evitare che arrivino fondi europei a chi non rispetta i diritti. Si applica in casi di “genocidi, crimini contro l’umanità, uccisioni extragiudiziarie e arresti arbitrari”. Possono essere punite anche altre violazioni se sono “ampie, sistematiche o destano serie preoccupazioni”. Per la Lituania le misure non sono ancora abbastanza ampie, per altri paesi sono invece adeguate – e anche gli Stati Uniti sono in questa seconda categoria. Il punto resta sempre l’applicabilità, perché ci vuole comunque l’unanimità per approvare sanzioni nei confronti di individui specifici. “Tutto questo affare dell’unanimità – dice Browder – comporta un grande disfunzionamento dell’intero processo della politica estera dell’Unione europea. Il fatto che un paese come Cipro o come l’Ungheria possa bloccare la volontà della maggioranza dei paesi europei che hanno molti più cittadini e molte più questioni aperte è davvero un enorme problema”. Browder si inserisce in un dibattito che va avanti da molto tempo nell’Unione europea e nelle sue istituzioni, anche alla luce delle molte e dolorose divisioni che ci sono state in passato nei confronti di grandi minacce. Una scuola di pensiero è come quella di Browder: l’unanimità blocca molte iniziative europee e diminuisce la sua capacità di poter diventare per davvero la superpotenza che vuole essere (sulla questione dell’autonomia strategica dell’Ue c’è in realtà un altro dibattito in corso, ora che l’America ha il volto di nuovo amico di Joe Biden). L’altra scuola di pensiero dice che invece l’unanimità è una garanzia imprescindibile di responsabilità: non si potrà mai essere davvero incisivi – e qui qualcuno introduce il tabù assoluto: l’utilizzo dell’hard power – se non si è tutti d’accordo. Si può, per farla breve, dichiarare una guerra senza il consenso di tutti i membri dell’Unione europea? Sarà difficile trovare una sintesi valida per tutti, ma intanto l’Europa festeggia questo suo nuovo slancio umanitario, di certo più autonomo di quanto non sia mai stato.

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