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Chi è il prossimo capo del Pentagono (e come ci è arrivato)

Daniele Ranieri

Biden nomina alla Difesa il generale anti-divo Lloyd Austin, che non gli complicherà le decisioni (ma la favorita era un’altra). Si erano conosciuti ai tempi del ritiro dall'Iraq dieci anni fa, il generale aveva previsto che lo Stato islamico sarebbe tornato. 

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Il presidente eletto Joe Biden ha scelto l’ex generale Lloyd Austin come prossimo segretario alla Difesa ed è un caso politico. Austin non è tra i comandanti militari che si sono fatti conoscere in questi anni per la loro visione intellettuale e per il rigore nel gestire la situazione sul campo, come David Petraeus o Jim Mattis, e la favorita per quel ruolo era una donna, Michèle Flournoy, ex sottosegretario alla Difesa con Barack Obama. Da molti la Flournoy era considerata un concentrato delle qualità giuste per comandare il Pentagono: supercompetente, aggiornata, capace di navigare nelle complesse procedure governative che a volte rallentano le decisioni e anche con un tocco di savoir faire quando si tratta di negoziare. Ma è molto antipatica ai gruppi di attivisti della sinistra americana, come tra gli altri le femministe di Code Pink che l’hanno definita “l’angelo della morte dell’impero americano”. L’ala radicale la vede come una militarista troppo legata ai grandi gruppi industriali. E per questo motivo ci si chiede: Biden ha preferito l’ex generale Austin alla Flournoy perché ha ceduto alle pressioni da sinistra? E quindi ha un po’ dato ragione alle critiche dei repubblicani, che durante la campagna l’hanno dipinto come un “ostaggio dei socialisti”? Non c’è abbastanza materiale per dire che Biden abbia ceduto, ma questa scelta parte da subito con l’aria di un ripiego, di un piano B. 

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Il presidente eletto Joe Biden ha scelto l’ex generale Lloyd Austin come prossimo segretario alla Difesa ed è un caso politico. Austin non è tra i comandanti militari che si sono fatti conoscere in questi anni per la loro visione intellettuale e per il rigore nel gestire la situazione sul campo, come David Petraeus o Jim Mattis, e la favorita per quel ruolo era una donna, Michèle Flournoy, ex sottosegretario alla Difesa con Barack Obama. Da molti la Flournoy era considerata un concentrato delle qualità giuste per comandare il Pentagono: supercompetente, aggiornata, capace di navigare nelle complesse procedure governative che a volte rallentano le decisioni e anche con un tocco di savoir faire quando si tratta di negoziare. Ma è molto antipatica ai gruppi di attivisti della sinistra americana, come tra gli altri le femministe di Code Pink che l’hanno definita “l’angelo della morte dell’impero americano”. L’ala radicale la vede come una militarista troppo legata ai grandi gruppi industriali. E per questo motivo ci si chiede: Biden ha preferito l’ex generale Austin alla Flournoy perché ha ceduto alle pressioni da sinistra? E quindi ha un po’ dato ragione alle critiche dei repubblicani, che durante la campagna l’hanno dipinto come un “ostaggio dei socialisti”? Non c’è abbastanza materiale per dire che Biden abbia ceduto, ma questa scelta parte da subito con l’aria di un ripiego, di un piano B. 

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Ci possono essere altre mille ragioni in realtà. Biden apprezza con discrezione Austin da dieci anni e ha con lui un rapporto di fiducia. La Flournoy era cofondatrice assieme ad Antony Blinken, che è appena stato scelto per il ruolo di segretario di Stato, di una società di consulenze chiamata WestExec e forse il presidente eletto non vuole dare l’idea di un governo formato da un cartello di obamiani troppo a loro agio con le grandi aziende. O forse Biden ricorda quando la Flournoy vinse lo scontro con lui, quando si trattò di consigliare il presidente Obama a proposito di cosa fare in Afghanistan: Biden, che proponeva una soluzione leggera con poche forze speciali da lasciare nel paese, faceva parte della fazione perdente contro i generali e il Pentagono che invece proponevano un rilancio degli sforzi. O ci sono ragioni che non possiamo conoscere.

 

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Austin ha lasciato il comando del CentCom, il settore del Pentagono che si occupa di medio oriente e Asia occidentale, soltanto nel 2016, quindi per nominarlo capo del Pentagono il Congresso dovrà votare una deroga apposta per lui perché secondo la legge devono essere passati sette anni almeno tra il congedo e quell’incarico. Alcuni democratici storcono il naso perché quella norma, sostengono, c’è apposta per evitare la militarizzazione di posti che dovrebbero essere occupati da civili. Inoltre anche Austin, come la Flournoy, aveva un posto in grandi società e sedeva nel consiglio di amministrazione di Raytheon, una delle più grandi industrie militari americane – del resto trovare persone con esperienza che non siano state chiamate a lavorare anche nel privato è una missione impossibile.

 

Può essere che Biden abbia scelto l’ex generale Austin e i suoi quarant’anni di carriera schiva proprio perché non è uno dei comandanti già noti al grande pubblico e quindi garantisce di non ostacolare con il suo carisma personale le decisioni della nuova Amministrazione. La frizione è un rischio potenziale. Non c’è stato soltanto il grande scontro tra Trump e il suo segretario alla Difesa Jim Mattis, anche Obama dovette cacciare il comandante americano in Afghanistan, Stanley McChrystal. Austin è il generale che nel 2011 gestì con efficienza e discrezione il ritiro delle circa cinquantamila truppe americane dall’Iraq anche se riteneva che fosse necessario lasciarne almeno ventimila per assicurarsi che lo Stato islamico non si avvantaggiasse del ritiro. “Dobbiamo farlo bene”, diceva ai suoi, “così ad altri soldati americani non toccherà tornare qui” per riprendere il lavoro non finito. Aveva ragione, due anni e mezzo più tardi i soldati americani dovettero tornare in Iraq perché lo Stato islamico era molto cresciuto e aveva conquistato un terzo del paese, ma nel 2011 si adeguò a eseguire il ritiro come gli era stato ordinato dall’Amministrazione Obama. 

 

Austin sarà – se passerà il voto di conferma al Senato –  il primo segretario alla Difesa afroamericano e questa sarà una notizia accolta con favore dagli afroamericani che hanno votato in stragrande maggioranza per Biden alle elezioni di novembre. 
 

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