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Secondo quasi tutti (tranne Maduro) le elezioni di domenica in Venezuela sono state una farsa

Maurizio Stefanini

Per il Consiglio Nazionale Elettorale del regime ha votato il 31 per cento degli elettori, per gli osservatori anti frode meno del 20 per cento. "Malgrado la censura e l'egemonia nella comunicazione, la verità non si può nascondere", dice Guaidò, che ha organizzato una Consulta popolare

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Secondo un Osservatorio contro la frode del 6 dicembre vicino a Guaidó, in Venezuela alle politiche di domenica avrebbe votato solo il 18,33 per cento degli aventi diritto al voto. Secondo la società demoscopica Meganálisis, un po’ di più: 19.13 per cento. Per la precisione, 3.961.904, contro 16.748.517 astenuti. Per il Consiglio Nazionale Elettorale del regime sarebbero stati invece il 31 per cento: 5.264.104 milioni di voti. Ma che a boicottare il voto siamo stati solo sette su dieci piuttosto che otto su dieci, in effetti, non cambia molto. “La frode è stata consumata, e il rifiuto maggioritario del popolo del Venezuela è stato evidente. Malgrado la censura e l’egemonia nella comunicazione, la verità non si può nascondere”, è stato il commento di Guaidó.  

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Secondo un Osservatorio contro la frode del 6 dicembre vicino a Guaidó, in Venezuela alle politiche di domenica avrebbe votato solo il 18,33 per cento degli aventi diritto al voto. Secondo la società demoscopica Meganálisis, un po’ di più: 19.13 per cento. Per la precisione, 3.961.904, contro 16.748.517 astenuti. Per il Consiglio Nazionale Elettorale del regime sarebbero stati invece il 31 per cento: 5.264.104 milioni di voti. Ma che a boicottare il voto siamo stati solo sette su dieci piuttosto che otto su dieci, in effetti, non cambia molto. “La frode è stata consumata, e il rifiuto maggioritario del popolo del Venezuela è stato evidente. Malgrado la censura e l’egemonia nella comunicazione, la verità non si può nascondere”, è stato il commento di Guaidó.  

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“Le code sono tanto rapide che la gente vota e se ne va”, è stato il modo in cui la Primera Dama Cilia Flores ha cercato di spiegare le desolanti immagini dei seggi vuoti. Ma il figlio di Maduro, Nicolasito, lui stesso candidato, ha invece ammesso che “le cose non vanno bene”, in un audio che è filtrato, e in cui con voce abbattuta esortava i dirigenti del partito chavista ad andare a cercare i votanti “casa per casa”. Un po’ prima era filtrato anche un messaggio del governatore di Yaracuy, Julio César León Heredia, che anche lui chiaramente angosciato ammetteva la bassissima partecipazione, e chiamava i militanti a applicare “qualsiasi metodo” per obbligare la gente ad andare a votare. Sempre per allungare il brodo della partecipazione, i seggi sono stati chiusi un’ora dopo del previsto.

 

In effetti, secondo le cifre del regime il 19 per cento corrisponde effettivamente a chi avrebbe votato per il Grande Polo Patriottico del regime: 3.558.320 voti. Maduro l'ha definita “tremenda vittoria”. L’altro 12 per cento corrisponde a coloro che sono stati soprannominati con disprezzo “alacranes”: gli “scorpioni”, gli oppositori che si sono prestati alla farsa del regime. In dettaglio, 944.665 voti sarebbe andati alla lista in cui erano confluite le dirigenze collaborazioniste dei due partiti tradizionali Ad e Copei. 220.502 voti sono invece andati alla lista in cui sta la dirigenza pure collaborazionista del partito di Guaidó. 143.917 alla lista del Partito Comunista, che aveva rotto con Maduro.

 

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L’Assemblea Nazionale del 2015, però, dichiarando il voto illegittimo, si proclama in proroga, conservando il riconoscimento internazionale pro Guaidó. Non solo gli Stati Uniti, ma anche l’Unione Europea, il Canada e 15 paesi latino-americani sono su questa linea. Anche il governo spagnolo del socialista Sánchez, che è alleato con i filo-chavisti di Podemos ha anticipato che non riconoscerà il risultato elettorale. “Siamo l’ultimo ridotto democratico rimasto in Venezuela”, dice al Foglio la rappresentate della Assemblea in Italia Mariela Magallanes. “La strategia del regime è di controllare il popolo attraverso la fame, ma il popolo ha dimostrato che non ha paura. Non c’è più niente da perdere ma solo da guadagnare; la libertà”.

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È già iniziato il voto via Telegram e Internet che culminerà il 12 dicembre con l’afflusso a luoghi di votazione fisica, per una Consulta Popolare in cui Guaidó cerca di dimostrare di avere più sostegno del regime. E dopo? Secondo Mariela Magallanes, “aumenteranno la crisi e la repressione. È necessario dunque che aumenti anche la pressione della comunità internazionale. La politica degli Stati Uniti sul Venezuela non cambia da Trump a Biden, però la nostra lotta non dipende solo dall’appoggio degli Stati Uniti ma da una coalizione internazionale”. Di cui appunto la Consulta chiede formalmente l’intervento.

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