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Volano stracci tra i liberal americani

L’ala anti establishment dei liberal americani se la prende persino con Obama che ha criticato la politica dell’intransigenza. L’elenco delle richieste a Biden e l’insofferenza su nomine e priorità

Paola Peduzzi

“Se pensi, come penso anche io, che dobbiamo riformare il sistema della giustizia in modo che non ci siano discriminazioni e tutti siano trattati in modo equo, puoi utilizzare slogan accattivanti come ‘togliere i fondi alla polizia’. Ma devi anche sapere che nel momento stesso in cui li usi, hai perso una grande fetta di pubblico, il che rende molto meno probabile il fatto che tu riesca a ottenere il cambiamento che desideri”, ha detto Obama. Le ragazze della Squad hanno reagito male

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Volano stracci nel Partito democratico americano mentre il presidente eletto, Joe Biden, cuce insieme il suo governo e cerca di mantenere  a bassa temperatura le polemiche interne, quel senso di rivalsa che prevale nell’ala anti establishment del partito: ti abbiamo sostenuto, abbiamo fatto campagna elettorale per te, abbiamo portato un sacco di gente a votare, abbiamo vinto, ti abbiamo reso il presidente più votato della storia, ora ci dai quello che ci spetta. Rilevanza, posti di governo, centralità. Lo straccio più  visibile è volato un paio di giorni fa quando le ragazze della Squad, la squadra di deputate giovani e agguerrite che guidano la lotta interna ai democratici (il nome è stato inventato da Nancy Pelosi, speaker della Camera e bersaglio di queste deputate; poi è stato utilizzato nei modi più beceri possibile da Donald Trump), si sono ribellate al beniamino di tutti, l’intoccabile Barack Obama. L’ex presidente ha detto che il movimento “defund the police”, nato durante le proteste contro il razzismo e contro la brutalità della polizia dell’estate scorsa, era soltanto uno “slogan accattivante”, e la Squad ha subito reagito: no, Mr President, non è una slogan, è una richiesta politica.

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Volano stracci nel Partito democratico americano mentre il presidente eletto, Joe Biden, cuce insieme il suo governo e cerca di mantenere  a bassa temperatura le polemiche interne, quel senso di rivalsa che prevale nell’ala anti establishment del partito: ti abbiamo sostenuto, abbiamo fatto campagna elettorale per te, abbiamo portato un sacco di gente a votare, abbiamo vinto, ti abbiamo reso il presidente più votato della storia, ora ci dai quello che ci spetta. Rilevanza, posti di governo, centralità. Lo straccio più  visibile è volato un paio di giorni fa quando le ragazze della Squad, la squadra di deputate giovani e agguerrite che guidano la lotta interna ai democratici (il nome è stato inventato da Nancy Pelosi, speaker della Camera e bersaglio di queste deputate; poi è stato utilizzato nei modi più beceri possibile da Donald Trump), si sono ribellate al beniamino di tutti, l’intoccabile Barack Obama. L’ex presidente ha detto che il movimento “defund the police”, nato durante le proteste contro il razzismo e contro la brutalità della polizia dell’estate scorsa, era soltanto uno “slogan accattivante”, e la Squad ha subito reagito: no, Mr President, non è una slogan, è una richiesta politica.

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In realtà il discorso di Obama era più articolato di così e anzi richiamava una teoria che l’ex presidente aveva già esposto: i test di purezza voluti dai più radicali ci fanno perdere. Intervistato da Peter Hamby nello show politico “Good Luck America” su Snapchat, Obama ha detto: “Se pensi, come penso anche io, che dobbiamo riformare il sistema della giustizia in modo che non ci siano discriminazioni e tutti siano trattati in modo equo, puoi utilizzare slogan accattivanti come ‘togliere i fondi alla polizia’. Ma devi anche sapere che nel momento stesso in cui li usi, hai perso una grande fetta di pubblico, il che rende molto meno probabile il fatto che tu riesca a ottenere il cambiamento che desideri”. Obama ha proposto piuttosto programmi per togliere i giovani da ambienti criminali, e di utilizzare psicologi invece che poliziotti per affrontare le situazioni più critiche. Ma ha insistito: “Questo punto è decisivo. Vuoi ottenere qualcosa? O vuoi soltanto stare bene assieme alle persone con cui già eri d’accordo? Bisogna andare incontro alle persone dove sono, giocare un gioco di addizioni non di sottrazioni”. Il senso del discorso di Obama è chiaro e in linea con la visione unitaria di Biden: si trovano compromessi, si dialoga, ci si avvicina, e il grande pubblico, come lo chiama lui, non sta agli estremi, sta nel centro.


La Squad, che rifiuta questo confronto perché lo considera la ragione fondativa dell’establishment che vuole abbattere, ha reagito male. Ilhan Omar, deputata del Minnesota, ha scritto su Twitter: “La gente muore nelle mani della polizia. Non è uno slogan, è una richiesta politica. E rendere rilevanti le richieste di investimenti e di fondi per la collettività ci dà progresso e sicurezza”.  Ayanna Pressley, deputata del Massachusetts, ha twittato: “L’omicidio di generazioni di persone di colore disarmate da parte della polizia è orrendo. Le vite umane sono in gioco ogni giorno e ho perso la pazienza con chi critica il linguaggio utilizzato dagli attivisti”. Alexandria Ocasio-Cortez, deputata di New York, ha scritto: “Gli attivisti non sono società di pubbliche relazioni dei politici e le loro richieste esistono perché il budget per la polizia sta esplodendo, le risorse per quartieri e comunità sono così in calo che quasi vanno in bancarotta. La gente ha parlato di questa cosa per decenni ma soltanto quando si è detto ‘defund’ si è creata attenzione attorno alle brutalità”. Cori Bush, neoeletta deputata del Missouri che idealmente fa parte della Squad, ha commentato sempre su Twitter: “Con tutto il rispetto, Mr President, parliamo della gente che muore. Abbiamo perso Michael Brown Jr. Abbiamo perso  Breonna Taylor. Stiamo perdendo le persone che amiamo a causa della violenza della polizia. Non è uno slogan, è il mandato di mantenere in vita la nostra gente. Defund the police”.


Nell’intervista ad Hamby, Obama ha parlato anche d’altro, e anzi ha criticato il Partito democratico per aver dato poco spazio a Ocasio-Cortez durante la convention  (online) di agosto. Quanto avrà parlato, Ocasio-Cortez, tre, cinque minuti?, ha chiesto Obama. Troppo poco per una deputata talentuosa che sa parlare ai giovani come fa lei,  e pazienza se non si condivide quello che dice, la parola “socialismo” è ancora molto “sovraccaricata”, ha detto l’ex presidente, ma le nuove leve vanno coltivate, ospitate, fatte crescere, bisogna dare loro “una piattaforma” (Obama ha aggiunto anche un commento su se stesso: “Lo dice uno che è stato un giovane e brillante ragazzo cool, ma oggi è un vecchio brizzolato”).

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La piattaforma è appunto il problema. Biden sta costruendo la sua nuova Amministrazione e la Squad con tutto il suo mondo di elettori e di politici non si sente rappresentata. Anzi, di più: si sente tradita. Biden sceglie persone dell’establishment e che conosce da tempo, qualcuna è più a sinistra qualcuna di meno, ma le richieste dei più radicali vengono per lo più ignorate. C’è una grandissima insofferenza: normale, si dirà, questo è il momento in cui si è scelti o si è scartati, non esserci fa male. Ieri il gruppo degli ispanici al Congresso ha incontrato il chief of staff di Biden, Ron Klain, e parte del team della transizione per ribadire quello che aveva già scritto in una lettera: il presidente eletto non sta facendo abbastanza per rispettare la promessa di creare un’Amministrazione che rappresenti la diversity che c’è nella popolazione americana. Anche la comunità afroamericana, che fu decisiva nel suo sostegno alle primarie in South Carolina che fece girare il vento a favore di Biden, si lamenta: non è abbastanza. Secondo questi gruppi, il presidente eletto sta sì provando a dare seguito alla sua promessa, ma  riserva alle minoranze soltanto i posti non di primo livello (le donne sono le uniche che non si stanno lamentando). Il reverendo Al Sharpton, che guida il National Action Network, ha detto esplicitamente che gli elettori potrebbero sentirsi presto “traditi” dal presidente che non si è nemmeno ancora insediato. Il senso è sempre lo stesso: Biden ha un debito da pagare, e non lo sta facendo come i suoi presunti creditori si aspettavano.


Se su minoranze e diversity il margine di manovra è ampio, sulle questioni ideologiche non lo è. Un po’ perché la frattura nelle due ali del partito è molto profonda e dura da molto tempo, un po’ perché l’intransigenza è massima. I Justice Democrats, il gruppo nato all’interno del mondo legato a Bernie Sanders, senatore del Vermont candidato alle primarie nel 2016 e nel 2020 (entrambe le volte è stato battuto dall’establishment), avevano pubblicato nei giorni successivi alle elezioni una wish list di persone da nominare nell’Amministrazione. Via via che Biden riempie le caselle, le aspettative non vengono rispettate e la rabbia aumenta. In particolare, i Justice Democrats, che danno voce all’ala anti establishment del partito e che hanno in curriculum la scoperta e la vittoria elettorale di Ocasio-Cortez, vorrebbero che ad avere un incarico di governo fossero le loro star,  Sanders ed Elizabeth Warren, senatrice del Massachusetts che aveva corso alle primarie. “Vorrebbero” è troppo morbido: diciamo che lo pretendono, sarebbe un ripianamento del debito adeguato. Su questo fronte il team della transizione è abbottonato: molti commentatori dicono che la Warren potrebbe essere nominata nel governo, è una figura meno controversa rispetto a Sanders. Intanto gli anti establishment però ingaggiano guerre preventive sui social quando sentono circolare nomi a loro non graditi: petizioni, appelli, campagne di boicottaggio, c’è chi la chiama proprio “cancellazione”. Sta succedendo con Brian Deese, l’ex manager di BlackRock che Biden ha appena nominato, nonostante le tante pressioni, al National Economic Council (se ci sono porte girevoli in questo giro di nomine, quella della società finanziaria BlackRock è la più citata), e con Rahm Emanuel, clintoniano ex chief of staff di Obama ed ex sindaco di Chicago che compare nella rosa dei nomi per il segretario ai Trasporti. Soltanto a nominare questi due, assieme a Neera Tanden, scelta per il potente Ufficio del budget, i sostenitori dell’ala sandersiana anti establishment si incattiviscono: ridateci i soldi, dicono. C’è anche un discreto scontro sul seggio lasciato vacante in California da Kamala Harris, eletta vicepresidente: i Justice Democrats avevano sostenuto con molto anticipo la candidatura di Ro Khanna, ex copresidente della campagna elettorale di Sanders e deputato della California di origine indiana che si è fatto conoscere anche perché non accetta donazioni dalle aziende e non ha mai voluto (rarità) un Pac che lo sostenesse. Se si guardano le cronache sulla sostituzione di Kamala – che sta avvenendo con ritardo perché il partito non si accorda, e il New York Times titola: no, non è normale che la Harris sia ancora al Senato – il nome di Ro Khanna compare molto in basso. La sua candidatura non pare  decollata, anche se potrebbe avere nuova vita contro il favorito Alex Padilla se il mantra “deve-essere-donna-di-colore” dovesse prevalere: due politiche che rientrano nella categoria fanno il tifo per il giovane avvocato e potrebbero quindi dargli lo slancio che gli è finora mancato.


In ogni caso, il debito di cui si sentono intestatari gli anti establishment non sembra ripagato. Alcuni sospettano che non lo sarà in ogni caso, perché l’intransigenza avrà il sopravvento e, come ha spiegato Obama, questo approccio non è vincente. Ma intanto il tentativo di Biden di tenere bassa la temperatura diventa sempre più faticoso: finché ci sono le follie di Trump e dei trumpiani a tenere banco, il contenimento può funzionare. Ma gli stracci ci sono, si vedono, e già volano.

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