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Valéry Giscard d’Estaing, il liberale che ha portato la Francia nella modernità

Mauro Zanon

L'ultimo presidente delle Trente glorieuses è morto ieri a causa del Covid-19. “Gli orientamenti che aveva dato alla Francia guidano ancora i nostri passi", ha detto Macron salutando la sua memoria

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È il 27 maggio 1974, quando un uomo imponente, magro e con aria disinvolta varca la porta dell’Eliseo a passo spedito. Ha lasciato la sua Citroën sportiva a duecento metri dal palazzo presidenziale per concludere a piedi la sua ascesa al vertice della République, per assaporare quell’entrata trionfale che aveva sognato fin da quando era stato eletto deputato nelle fila del gollismo e non aveva ancora trent’anni. “Oggi, inizia una nuova era della politica francese”, annunciò ai suoi concittadini il giorno della sua investitura. Valéry Giscard d’Estaing (1926-2020), morto ieri nella sua casa di Authon (Loir-et-Cher) a causa del Covid-19, è stato il primo presidente moderno e l’ultimo delle Trente glorieuses, i trent’anni di euforia economica e industriale che la Francia ha vissuto dal 1945 al 1975.

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È il 27 maggio 1974, quando un uomo imponente, magro e con aria disinvolta varca la porta dell’Eliseo a passo spedito. Ha lasciato la sua Citroën sportiva a duecento metri dal palazzo presidenziale per concludere a piedi la sua ascesa al vertice della République, per assaporare quell’entrata trionfale che aveva sognato fin da quando era stato eletto deputato nelle fila del gollismo e non aveva ancora trent’anni. “Oggi, inizia una nuova era della politica francese”, annunciò ai suoi concittadini il giorno della sua investitura. Valéry Giscard d’Estaing (1926-2020), morto ieri nella sua casa di Authon (Loir-et-Cher) a causa del Covid-19, è stato il primo presidente moderno e l’ultimo delle Trente glorieuses, i trent’anni di euforia economica e industriale che la Francia ha vissuto dal 1945 al 1975.

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“Gli orientamenti che aveva dato alla Francia guidano ancora i nostri passi. Servitore dello stato, uomo politico di progresso e di libertà, la sua morte è un lutto per la nazione francese”, ha scritto il presidente Macron, salutando la memoria di colui che più di tutti i suoi predecessori lo ha ispirato. Vge fu il primo presidente della “rupture” e il primo a definirsi “liberale” in un paese che allora, più ancora di oggi, guardava di sbieco tutto ciò che non faceva rima con statalismo e colbertismo.

 

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Nato a Coblenza, in Germania, dove il padre lavorava come alto funzionario, a diciotto anni partecipa alla Liberazione di Parigi, facendo parte del servizio d’ordine incaricato della protezione del rappresentante civile del generale de Gaulle in zona occupata, Alexandre Parodi. Quando finisce la guerra, entra all’École polytechnique, poi alla neonata École nationale d’administration, la fornace delle élite istituita da De Gaulle per ridare alla Francia la sua grandeur. Nel 1959, a soli 32 anni, dopo essere stato ispettore delle finanze, vice direttore di gabinetto del presidente del Consiglio Edgar Faure e deputato dell’Assemblea nazionale, diventa segretario di stato all’Economia e le finanze. “Il mio miglior tesoriere”, dirà De Gaulle. Inizialmente vicino alle posizioni del fondatore della Quinta Repubblica, si smarcherà nel corso degli anni affermando la sua appartenenza alla corrente liberale e passerà alla storia come il “fossoyeur du gollisme”: il becchino del gollismo. Dal 1969 al 1974, è ministro dell’Economia e delle finanze sotto la presidenza di Georges Pompidou.

 

“Lei non ha il monopolio del cuore”, lanciò a François Mitterrand, candidato rivale dell’Union de la gauche, al secondo turno delle elezioni presidenziali, organizzate in anticipo per la morte prematura di Pompidou. Fu la frase decisiva, che toccò le corde profonde dei francesi e lo portò all’Eliseo. Il suo settenato, all’insegna del “cambiamento nella continuità”, rivoluzionò la società francese. Abbassò la maggiore età da 21 a 18 anni, instaurò il divorzio consensuale, e grazie alla sua ministra delle Salute, Simone Veil, depenalizzò l’aborto (la famosa loi Veil, che creò una spaccatura con l’elettorato cattolico) e migliorò l’integrazione delle persone disabili nella società (dal diritto al lavoro all’installazione obbligatoria di accessi per i disabili negli edifici pubblici).

 

Con le Apl (Aides pour le logement), permise anche alle famiglie più modeste di potersi pagare un affitto: una misura progressista che ancora oggi ha effetti benefici nella società francese. Si diceva promotore di una “società liberale avanzata”, Giscard, e lottò per una Francia grande in Europa. Fu uno dei maggiori sostenitore della Comunità europea, l’architetto del Consiglio europeo, e assieme al tedesco Helmut Schmidt colui che più di tutti tra i leader d’Europa contribuì all’unione monetaria. Con orgoglio, Giscard diventò poi presidente della Convenzione sul futuro dell’Europa, incaricata di redigere un progetto di Costituzione europea: progetto che i francesi rigettarono nel 2005 con il “non” al referendum. Fu una delle sue più grandi delusioni.

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Vge era anche uno sportivo. Fu il primo a mostrarsi ai francesi in tenuta da tennis e da sciatore. E fu un homme des lettres. Nel 2003, era stato eletto membro dell’Académie française, il santuario della lingua francese. “Maupassant e Baudelaire furono le sue guide insuperabili”, ha detto Macron di Giscard, salutando un grande uomo che “non ha mai smesso di coltivare l’amore per la nostra lingua”. E ha portato la Francia nella modernità.

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