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Così Trump fa perdere il Senato ai repubblicani

Daniele Ranieri

La farsa del complotto potrebbe costare la Georgia ai repubblicani, ma rende molti soldi a Trump. Tanto esce sconfitto il partito, non lui. 

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È il 3 dicembre, è passato un mese dalle elezioni vinte da Joe Biden e negli Stati Uniti si parla molto delle strategie elettorali di Donald Trump, che non lascia mai il centro della scena, anche se si è ritirato in una clausura rancorosa dentro la Casa Bianca da quando è stato battuto. Se ne parla molto perché a questo punto i piani elettorali di Trump sono molto diversi dai piani del Partito repubblicano, anzi sono dannosi per i repubblicani. Il partito attende con ansia il risultato dei due ballottaggi del 5 gennaio nello stato della Georgia, che tradizionalmente vota repubblicano ma che alle presidenziali ha cambiato segno ed è passato, con una svolta storica, ai democratici.

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È il 3 dicembre, è passato un mese dalle elezioni vinte da Joe Biden e negli Stati Uniti si parla molto delle strategie elettorali di Donald Trump, che non lascia mai il centro della scena, anche se si è ritirato in una clausura rancorosa dentro la Casa Bianca da quando è stato battuto. Se ne parla molto perché a questo punto i piani elettorali di Trump sono molto diversi dai piani del Partito repubblicano, anzi sono dannosi per i repubblicani. Il partito attende con ansia il risultato dei due ballottaggi del 5 gennaio nello stato della Georgia, che tradizionalmente vota repubblicano ma che alle presidenziali ha cambiato segno ed è passato, con una svolta storica, ai democratici.

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Il ballottaggio è importantissimo perché se i repubblicani perdono non avranno più la maggioranza al Senato e quindi non avranno più  potere negoziale con i democratici, che invece potrebbero così conquistare quell’equilibrio indispensabile per portare fino alla fine riforme e progetti. Prudenza politica raccomanderebbe che il presidente Trump e repubblicani si concentrassero su una strategia sola, per evitare il disastro politico. Invece Trump continua a dire che le elezioni in Georgia sono state un grande broglio e quindi c’è il rischio che molti elettori trumpiani, a furia di sentirsi dire che sono vittime di un raggiro, restino a casa il giorno del voto. In pratica Trump sta facendo voter suppression contro la propria parte.

  

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Secondo Politico, i repubblicani della Georgia stanno implorando il presidente di smettere di sostenere questa linea autodistruttiva, ma lui non ascolta. C’è un motivo pratico: più Trump insiste a dire che le elezioni sono state rubate, più può trascinare avanti una campagna di raccolta fondi che lui reclamizza come “a difesa della verità” e invece va a formare la cassa del suo futuro progetto elettorale. Secondo il New York Times, con il pretesto di avere bisogno di denaro per finanziare i ricorsi contro i brogli ha già raccolto 170 milioni di dollari, tre quarti dei quali vanno nel nuovo fondo. Per chi si chiede la ragione della posa da irriducibile, è questa: più la trascina in lungo e più soldi raccoglie.

 

Il problema, come si è visto, è che questa campagna si gioca sul concetto che la democrazia americana non funziona più, che non è il tipo di messaggio che vuoi lanciare ai tuoi elettori a un mese da un voto locale che potrebbe decidere tutta la politica nazionale nei prossimi due anni. (Raineri segue nell’inserto IV)

Ma a Trump non importa, se davvero intende presentarsi nel 2024. Anzi, una vittoria totale dei democratici e una crisi profonda dei repubblicani potrebbero aprirgli di nuovo la strada, come fecero i due mandati del predecessore Obama. Sono i repubblicani che perdono, mica lui. Sabato farà un comizio ad Atlanta, i repubblicani locali gli hanno chiesto di lasciar perdere la lamentazione complottista, ma non succederà. Ci sarà anche un drappello di “Stop the Steal”, un gruppetto di destra che sta facendo campagna contro “il complotto dei democratici” ed è arrivato in Georgia per galvanizzare i trumpiani che non vogliono riconoscere la vittoria di Biden (anche se di fatto la transizione verso Biden è già cominciata – lunedì il presidente eletto ha ricevuto il primo briefing presidenziale dell’intelligence, lo stesso che riceve Trump). 

 

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Un altro problema è che questo clima rabbioso, lo stesso che fa scorrere le donazioni, crea un ambiente pericoloso per i repubblicani che occupano posti statali e in questi giorni stanno facendo il loro dovere e stanno certificando i risultati elettorali. Martedì un funzionario repubblicano che fa da supervisore nelle elezioni e nei riconteggi, Gabriel Sterling, durante una conferenza stampa al Campidoglio di Atlanta ha chiesto al presidente Trump di smetterla con i toni incendiari e di condannare le minacce continue da parte dei fanatici trumpiani. “Signor presidente, sembra che lei abbia perso lo stato della Georgia. Basta aizzare gente che potrebbe commettere atti violenti. Qualcuno finirà per essere ferito, a qualcuno spareranno, qualcuno sarà ammazzato. E non è giusto”.

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Sterling dice di avere una scorta della polizia e che lui e altri repubblicani sono bersaglio di minacce da parte della base convinta che siano complici di un disegno criminoso. “Queste sono le elezioni. Sono la spina dorsale della democrazia e tutti voi che non avete detto una parola siete complici di questa roba. E’ troppo”. Racconta che come lui altri repubblicani sono sotto assedio: insulti, minacce, tentativi di hackeraggio, aggressioni. La moglie di Brad Raffensperger, il segretario di stato (che è un trumpiano lealista), continua a ricevere minacce di violenza sessuale e sono arrivati intrusi nella sua proprietà.

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Trump non risponde, perché nel disegno di un’eventuale rivincita preservare la rabbia della base è troppo importante e questi repubblicani di rango minore sono soltanto vittime collaterali. Ha risposto il portavoce della sua campagna e ha detto di condannare ogni atto di violenza, ma è come se non avesse parlato nessuno. 

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