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traffici di armi e nuove alleanze

Turchia ed Emirati si contendono il Mediterraneo orfano dell’Ue

Luca Gambardella

Finché tocca chiedere permesso ai turchi per ispezionare le loro navi, Irini non funziona. Gli emiratini iperattivi fra Libia e Grecia

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Lo scorso 22 novembre, fra la Sicilia e Creta, a una nave turca sospettata di trasportare armi e mezzi blindati in Libia è bastato dire no alla fregata tedesca che voleva ispezionarla per continuare indisturbata il suo viaggio verso Misurata. L’episodio aumenta i dubbi sull’efficacia della missione europea Irini, che intende sorvegliare sul rispetto dell’embargo Onu in Libia.

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Lo scorso 22 novembre, fra la Sicilia e Creta, a una nave turca sospettata di trasportare armi e mezzi blindati in Libia è bastato dire no alla fregata tedesca che voleva ispezionarla per continuare indisturbata il suo viaggio verso Misurata. L’episodio aumenta i dubbi sull’efficacia della missione europea Irini, che intende sorvegliare sul rispetto dell’embargo Onu in Libia.

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La portacontainer Roseline A era salpata da Ambarli, vicino Istanbul, ed era diretta in Libia. Lo Spiegel ha rivelato che gli analisti del comando di EunavforMed – quello di Irini, che si trova a Roma – avevano inserito il cargo nella lista delle navi da tenere d’occhio. Questo perché dall’inizio dell’anno il Roseline aveva compiuto già otto viaggi dalla Turchia diretti a Tripoli, Misurata e Khoms. Di più, era stata intercettata mentre svolgeva operazioni di scarico di mezzi blindati nei porti libici. Così, una delle navi della flotta di Irini, la fregata tedesca Hamburg, aveva chiesto il permesso alle autorità turche di ispezionare il cargo. Per quanto possa sembrare paradossale, le procedure Nato prevedono questa particolare “forma di cortesia” fra stati membri dell’Alleanza. Dopo le canoniche quattro ore – anzi, cinque, una in più rispetto al protocollo – senza ricevere risposte, i militari tedeschi sono saliti a bordo del Roseline. Solo allora i turchi hanno comunicato il loro diniego al comando europeo. Senza potere eccepire nulla, i marinai tedeschi hanno abbandonato il cargo e si sono allontanati. “E’ stata un’azione illegale – ha detto il ministero degli Esteri di Ankara – Solo dopo le nostre proteste  Irini ha capito che non poteva abbordare la nave senza il nostro consenso”. 

 

   

La storia del Roseline non è che l’ultimo episodio di una serie di altri vani tentativi della missione Ue di fare rispettare l’embargo. Il problema non è solo quello di lasciare che i turchi facciano un po’ quello che vogliono in barba al diritto internazionale, a poche miglia dai paesi europei e dopo che si è faticosamente arrivati a un cessate il fuoco in Libia. Piuttosto è l’immagine dell’Ue a uscirne danneggiata. Solo un paio di giorni prima, Hervé Bléjean, capo di stato maggiore dell’Ue, aveva denunciato “la campagna di disinformazione che ha preso di mira le missioni europee”. In particolare Irini, perché i turchi – aveva detto l’ammiraglio francese – “usano ogni sua ambiguità a loro vantaggio” e “dipingono l’Ue come un partner poco affidabile”. Le criticità denunciate da Bléjean si sono materializzate subito dopo. Il 23 novembre, il giorno successivo all’intervento della Hamburg, il comando di Irini ha emesso un comunicato in cui si affermava “che a bordo del cargo non era stato trovato alcun tipo di materiale illecito durante l’ispezione”. Ma già il 27 novembre, Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue, ha smentito la versione del comando Irini: “I militari non hanno avuto il tempo di ispezionare tutta la nave – ha detto – e si sono dovuti fermare per via della risposta della Turchia”. In sostanza non è stato confermato che a bordo della nave turca non vi fosse del materiale bellico trasportato illegalmente in Libia. Semplicemente non c’è stato il tempo per appurarlo.

 

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Lunedì intanto è partita l’esercitazione Medusa 2020 nel Mediterraneo. Si tratta di manovre congiunte svolte come ogni anno da Grecia, Egitto e Cipro. Stavolta però partecipano anche unità di Francia ed Emirati Arabi Uniti. Se per Parigi si tratta di un’ulteriore conferma del suo ruolo di pivot nella contrapposizione europea alla Turchia nella regione, la partecipazione degli Emirati ha invece un significato ulteriore. Oltre a essere l’unico paese esterno al Mediterraneo a partecipare all’esercitazione, gli Emirati sono schierati al fianco della Francia in Libia a sostegno del generale della Cirenaica Khalifa Haftar e, lo scorso 18 novembre, hanno siglato un accordo di cooperazione nel settore della Difesa con la Grecia.  Infine, la settimana scorsa è stato reso pubblico il contenuto di un report del Pentagono  che, per la prima volta, ha provato  i finanziamenti degli Emirati ai mercenari russi della Wagner schierati in Libia al fianco di Haftar. Un tempo, tutte queste manovre di interposizione di una potenza terza nel Mediterraneo centrale spettavano quasi in esclusiva agli Stati Uniti. Oggi le cose sembrano andare diversamente.

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