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Storie di "soft left"

La strategia "no drama" di Biden e Starmer

La calma strategica dei due leader di sinistra permette di vedere in modo nitido gli errori e l'implosione dei loro rivali

Paola Peduzzi

I laburisti britannici hanno deciso di astenersi sulla votazione ai Comuni delle regole per il contenimento della pandemia. Anche Joe Biden ha adottato la tattica di stare fuori dalla guerriglia di Trump e dei trumpiani

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I laburisti britannici hanno deciso di astenersi sulla votazione ai Comuni delle regole per il contenimento della pandemia e i conservatori si sono avventati su di loro: non hanno un’idea, non hanno una proposta, non hanno una leadership. In realtà Keir Starmer, leader del partito d’opposizione di Sua Maestà, ha deliberatamente chiesto ai suoi parlamentari di astenersi, un po’ perché litigare sui lockdown confonde, irrigidisce, alimenta complottismi di varia e pericolosa natura, e un po’ perché così si metterà a fuoco meglio l’immagine della politica inglese contemporanea: è sempre e solo una lotta intestina dei Tory. Si dirà: per forza, sono loro che governano. Certo, ma negli ultimi anni a Londra si sono decise cose che ci riguardano tutti, il divorzio più celebre e controverso della geopolitica moderna per esempio, e anche le scelte sulla pandemia, in un mondo che ha superato da decenni nella pratica i confini territoriali, hanno un effetto altrove. Eppure, questi temi giganteschi prendono forma e si distruggono sulla base degli equilibri interni del Partito conservatore inglese. La Brexit è l’esempio più calzante: accordo o non accordo entro la fine dell’anno (manca sempre il tempo a questo divorzio, come ai balli sgraziati), la Brexit del 2020 è molto diversa da quella che è stata variamente venduta dal 2016 a oggi. Quelle stesse fratture, quasi con le stesse persone, si rivedono oggi e così nella sala delle panche verdi di nuovo si va alla conta dei ribelli: quelli che sono contro ogni misura di restrizione, o contro alcune, o contro e basta.

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I laburisti britannici hanno deciso di astenersi sulla votazione ai Comuni delle regole per il contenimento della pandemia e i conservatori si sono avventati su di loro: non hanno un’idea, non hanno una proposta, non hanno una leadership. In realtà Keir Starmer, leader del partito d’opposizione di Sua Maestà, ha deliberatamente chiesto ai suoi parlamentari di astenersi, un po’ perché litigare sui lockdown confonde, irrigidisce, alimenta complottismi di varia e pericolosa natura, e un po’ perché così si metterà a fuoco meglio l’immagine della politica inglese contemporanea: è sempre e solo una lotta intestina dei Tory. Si dirà: per forza, sono loro che governano. Certo, ma negli ultimi anni a Londra si sono decise cose che ci riguardano tutti, il divorzio più celebre e controverso della geopolitica moderna per esempio, e anche le scelte sulla pandemia, in un mondo che ha superato da decenni nella pratica i confini territoriali, hanno un effetto altrove. Eppure, questi temi giganteschi prendono forma e si distruggono sulla base degli equilibri interni del Partito conservatore inglese. La Brexit è l’esempio più calzante: accordo o non accordo entro la fine dell’anno (manca sempre il tempo a questo divorzio, come ai balli sgraziati), la Brexit del 2020 è molto diversa da quella che è stata variamente venduta dal 2016 a oggi. Quelle stesse fratture, quasi con le stesse persone, si rivedono oggi e così nella sala delle panche verdi di nuovo si va alla conta dei ribelli: quelli che sono contro ogni misura di restrizione, o contro alcune, o contro e basta.

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Starmer ha deciso di non entrare nella mischia perché così lo spettacolo dello scioglimento del consenso del premier Boris Johnson sarà molto visibile e soprattutto ne sarà visibile la causa. Lotte interne, lotte di potere, barricate ideologiche, poca responsabilità. E’ lo stesso atteggiamento che, dall’altra parte dell’Atlantico in quella sinistra “soft” che assomiglia a quella inglese, ha adottato il presidente eletto Joe Biden. Per questa sua calma strategica Biden è stato molto criticato, anche durante la campagna elettorale: possibile che non attacchi mai? Ora che Donald Trump non riesce a dire di aver perso le elezioni – “loser” è la parola tabù per lui: non voleva chiamare suo figlio Donald perché, diceva, se poi è un perdente è un perdente che si chiama come me – e che cerca cavilli eversivi per contestare l’esito chiarissimo delle elezioni, Biden sta fuori dalla guerriglia. Anche in questo caso ci sono state polemiche: possibile che i democratici non reagiscono mai? Ma a ogni domanda diretta, Biden ha sempre risposto: io mi occupo solo delle cose serie. Secondo il racconto di Edward-Isaac Dovere sull’Atlantic, la mente di questa strategia “no drama” è Anita Dunn, consigliera di Biden e prima di lui di Obama, l’unica del cerchio ristretto del presidente che non andrà alla Casa Bianca – è lei che vuole così. Dalla campagna di Bernie Sanders, rivale di Biden nelle primarie, dicono che il “fattore Anita” è stato importante per aggirare i punti di rottura anche dentro al Partito democratico: se si può non ingaggiare una lotta nel fango, meglio. Soprattutto: se c’è il rischio di perdere, meglio stare fuori.


Nel processo di normalizzazione avviato dalle sinistre “soft” uno dei tratti decisivi è questo: no drama, così l’implosione degli altri e delle loro follie si vede più nitida.

 

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