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il repubblicano che ha umiliato gli avvocati di the donald

Un giudice dimostra che il populismo non regge al confronto con la realtà

Pasquale Annicchino

Il giudice federale Matthew Brann ha respinto l’ennesimo ricorso del comitato elettorale di Donald Trump presentato con la speranza di ribaltare l’esito elettorale in Pennsylvania

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“Abbiamo un giudice!”. Nel mondo semplificato del populismo, dove tutto è chiaro e lineare, dove ci sono il bianco e il nero, i buoni e i cattivi e la catena del potere risponde con celerità agli istinti e alle volontà della maggioranza del momento, alla nomina dei giudici da parte di una determinata Amministrazione dovrebbero seguire immediate e certe conseguenze giuridiche. L’apparato del potere giudiziario non dovrebbe essere nient’altro che la cinghia di trasmissione del potere politico. Sono le caratteristiche del mimetismo e del parassitismo tipiche dell’approccio politico del populismo al fenomeno giuridico: piegare le norme ad un’idea di democrazia che usa come leva il solo principio maggioritario.

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“Abbiamo un giudice!”. Nel mondo semplificato del populismo, dove tutto è chiaro e lineare, dove ci sono il bianco e il nero, i buoni e i cattivi e la catena del potere risponde con celerità agli istinti e alle volontà della maggioranza del momento, alla nomina dei giudici da parte di una determinata Amministrazione dovrebbero seguire immediate e certe conseguenze giuridiche. L’apparato del potere giudiziario non dovrebbe essere nient’altro che la cinghia di trasmissione del potere politico. Sono le caratteristiche del mimetismo e del parassitismo tipiche dell’approccio politico del populismo al fenomeno giuridico: piegare le norme ad un’idea di democrazia che usa come leva il solo principio maggioritario.

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Sabato 21 novembre il giudice federale Matthew Brann ha respinto, con la decisione nel caso Donald J. Trump for President v. Boockwar l’ennesimo ricorso del comitato elettorale di Donald Trump presentato con la speranza di ribaltare l’esito elettorale in Pennsylvania. La richiesta dei ricorrenti, come ha evidenziato il giudice nella sentenza, era quella di annullare quasi 7 milioni di voti. Davanti a una richiesta del genere, scrive il giudice, “ci si aspetterebbe di trovarsi davanti a solidi argomenti giuridici e prove evidenti di corruzione, tanto da non lasciare alcuna alternativa alla Corte”. Tuttavia, non è questo il caso. Anzi, come scrive Brann: “Sono stati presentati alla Corte argomenti deboli, senza merito, accuse frutto di speculazione”, argomenti che, precisa, assomigliano piuttosto ad “un mostro di Frankenstein” tirato da ogni parte pur di non confrontarsi con i precedenti giurisprudenziali vincolanti.

 

Davvero poco per sperare di ribaltare il risultato elettorale. Non sappiamo ancora se dovremo aspettarci delle novità nei prossimi giorni, ma per ora la saga della litigation trumpiana davanti a diversi giudici ci ricorda della complessità della realtà del potere davanti alla sfida populista. Rende ancora più evidente quanto le semplificazioni del populismo non reggano al cospetto delle complessità della realtà. Brann infatti è un giudice dalle chiare simpatie repubblicane, nominato durante l’Amministrazione Obama sulla base di un accordo bipartisan. Devono averlo notato anche alcune delle persone più vicine a Donald Trump come Mark Meadows, Pat Cipollone e soprattutto quel Jay Sekulow che era stato il suo avvocato personale durante l’inchiesta del procuratore Mueller sul Russiagate.

 

In una serie di scambi hanno fatto forti pressioni affinché potesse finalmente incominciare la transizione con la futura Amministrazione Biden. Anche Pat Toomey, senatore repubblicano della Pennsylvania, subito dopo la decisione del giudice Brann aveva pubblicato un comunicato con cui si congratulava con Biden e Kamala Harris per la vittoria elettorale. Raramente i giudici nelle loro sentenze si spingono a criticare la professionalità degli avvocati che si trovano davanti. In questo caso il giudice Brann ha ritenuto opportuno farlo: “Il nostro popolo, le nostre leggi e le nostre istituzioni richiedono di più”. In altri paragrafi della sentenza il giudice si mostra esterrefatto del continuo sostituirsi di avvocati e delle continue richieste di aggiornare le memorie presentate dai ricorrenti.

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I giudici con le loro sentenze non risolvono solo casi concreti, ma sviluppano anche una narrazione del diritto e della società, una storia. Nella storia del giudice Brann potrebbe esserci la trama del prossimo cinepanettone natalizio. Una storia di avvocati spericolati e cialtronissimi, di conferenze stampa improvvisate in parcheggi suburbani, di assistenti in minigonna che ancheggiano nei tribunali. In alternativa, la sceneggiatura immaginaria potrebbe raccontare la storia, molto più nobile, della “struttura della libertà”. Quella che pensarono i padri costituenti statunitensi teorizzando la necessaria natura divisa del potere, i check and balances, l’attenzione all’impianto delle istituzioni ancor prima che al catalogo dei diritti. Enrico Vanzina però potrebbe davvero pensare a un film, sarebbe un sicuro successo.

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