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Figlie di regime

Legittime, segrete o viziatissime. Putin, Erdogan e l’ironia della discendenza femminile

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Una figlia segreta, il cui volto altrettanto segreto porterebbe però indubitabili tratti paterni, e una madre che da donna delle pulizie è diventata proprietaria di immobili, banche, yacht e ristoranti, trasferendosi da un appartamento in coabitazione a uno degli indirizzi più prestigiosi di Pietroburgo, dove invece delle pupe dei gangster locali ha per vicini tutti gli uomini del presidente. Il team di giornalismo d’inchiesta russo Proekt ha aggiunto un altro tassello al mosaico sempre più ricco del cerchio magico di Vladimir Putin.

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Una figlia segreta, il cui volto altrettanto segreto porterebbe però indubitabili tratti paterni, e una madre che da donna delle pulizie è diventata proprietaria di immobili, banche, yacht e ristoranti, trasferendosi da un appartamento in coabitazione a uno degli indirizzi più prestigiosi di Pietroburgo, dove invece delle pupe dei gangster locali ha per vicini tutti gli uomini del presidente. Il team di giornalismo d’inchiesta russo Proekt ha aggiunto un altro tassello al mosaico sempre più ricco del cerchio magico di Vladimir Putin.

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All’ormai classico kit dei potenti russi – una collezione di orologi svizzeri tempestati di diamanti, aerei privati, un garage zeppo di Bentley e un paio di dacie che per dimensioni e arredi ricordano Versailles – la storia di Svetlana Krivonogikh, una vistosa bionda il cui patrimonio ufficiale si aggira sui 100 milioni di dollari, aggiunge un paio di particolari interessanti: la proprietà di una quota della banca pietroburghese Rossija, finita nel mirino delle sanzioni americane come la “cassa” dei putiniani, e una figlia adolescente, Elizaveta, che di patronimico fa Vladimirovna.

 

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C’è una sorta di ironia – o maledizione, dipende dai punti di vista – nell’insistenza della cicogna di portare agli autocrati post-comunisti quasi soltanto figlie, e nella resa incondizionata di questi leader rudi, paladini dei valori tradizionali e del suprematismo machista, di fronte alle pargole. Già all’epoca sovietica i diamanti di Galina Brezhneva hanno screditato il socialismo al tramonto quasi quanto lo scandalo della collana della regina. Tatiana, figlia e consigliera di Boris Eltsin, finì nel mirino per le carte di credito su cui si diceva andassero i fondi destinati alla ristrutturazione del Cremlino, che all’epoca appariva di un lusso scandaloso quanto pacchiano. Fu però sufficiente a far vacillare la presidenza, e per salvarla venne convocato un pietroburghese quasi sconosciuto ma molto discreto, un certo Putin.

 

Vent’anni dopo, le figlie, segrete o semisegrete (le due del matrimonio, Ekaterina e Maria, usano altri cognomi e il Cremlino ufficialmente non conferma la loro identità), restano al centro dei gossip. Quella scovata dai reporter di Proekt a Pietroburgo porterebbe a tre i figli illegittimi di Putin, con i due più piccoli attribuiti alla ginnasta Alina Kabaeva, anche lei fortunata proprietaria di pacchetti azionari e di cariche importanti. Ekaterina, la secondogenita, si fa assegnare a 33 anni appalti milionari come vicerettore dell’università di Mosca. Ma restano briciole rispetto a Dariga Nazarbaeva, la primogenita del primo presidente del Kazakhstan, che tra tv, banche e miniere possiede mezzo paese, e i Panama Papers le attribuiscono anche proprietà estere, tra cui una da vera intenditrice: la sede del museo di Sherlock Holmes al 221B di Baker Street a Londra. Il patrimonio di Gulnara Karimova, figlia del leader uzbeko, veniva valutato, all’apice della gloria, a più di un miliardo di dollari, derivati da “commissioni” e “partecipazioni” che la diplomatica-cantante pop-designer di gioielli si faceva versare da chi voleva ingraziarsi il padre. Inciampata a un passo dall’ereditare il trono, ora è agli arresti domiciliari: la prudenza di un leader populista ha prevalso sull’istinto paterno.

  

Non tutte le principesse sconfinano nella politica, come Sümeyye Erdogan in Bayraktar, o come Ivanka Trump, due figlie e consigliere predilette che sono riuscite a piazzare bene anche i propri mariti. Tutte però finiscono per farsi notare, per i lussi e i capricci, e per quell’arroganza quasi innocente con la quale mangiano le brioches del privilegio, incuranti della rabbia che suscitano nei sudditi dei padri. In paesi dove la corruzione è ormai l’unico metodo di arricchimento e carriera, l’opposizione vince scommettendo sull’onestà e la denuncia, come hanno fatto Volodymyr Zelensky in Ucraina e Maia Sandu in Moldova, come sta facendo Alexei Navalny in Russia, combattendo con le sue inchieste il “partito dei farabutti e dei ladri” di Putin. La rabbia contro la corruzione è trasversale dovunque, ma rischia di colpire con più forza proprio nei regimi populisti: il paternalismo troppo selettivo di un “padre del popolo” diventa un tradimento difficile da perdonare.

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