PUBBLICITÁ

"Apparent winner"

Viva la democrazia fondata sulla parola

Giuliano Ferrara

Inizia la transizione di Biden: per il bene del paese, che è poi la fiducia collettiva, anche un Trump ci deve stare e ci sta. L’informalità del sistema, che non prevede una crisi costituzionale se non in circostanze d’emergenza, è la sua salvezza

PUBBLICITÁ

"Apparent winner" è una formula fantastica, se ci pensate. Gli Stati Uniti hanno un nuovo presidente da quando l’Associated Press, come da tradizione, ha attribuito a Joe Biden la vittoria nel Collegio elettorale sulla base dei dati registrati dalle amministrazioni statali incaricate delle elezioni. In un clima di fiducia e di fair play l’uscente, in questo caso Trump, avrebbe dovuto conformarsi all’usanza di accettare questo verdetto per metà burocratico-amministrativo e per metà sulla parola della stampa, tenendo un breve concession speech con tanto di complimenti all’avversario e di auguri per il bene del paese. Non è accaduto, perché Trump ha una sua tecnica tutta televisiva e narcisista che non prevede fair play e riconoscimenti a chi non gli sia subordinato, figuriamoci a un successore eletto al posto suo.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


"Apparent winner" è una formula fantastica, se ci pensate. Gli Stati Uniti hanno un nuovo presidente da quando l’Associated Press, come da tradizione, ha attribuito a Joe Biden la vittoria nel Collegio elettorale sulla base dei dati registrati dalle amministrazioni statali incaricate delle elezioni. In un clima di fiducia e di fair play l’uscente, in questo caso Trump, avrebbe dovuto conformarsi all’usanza di accettare questo verdetto per metà burocratico-amministrativo e per metà sulla parola della stampa, tenendo un breve concession speech con tanto di complimenti all’avversario e di auguri per il bene del paese. Non è accaduto, perché Trump ha una sua tecnica tutta televisiva e narcisista che non prevede fair play e riconoscimenti a chi non gli sia subordinato, figuriamoci a un successore eletto al posto suo.

PUBBLICITÁ

 

Il drammone era cominciato prima del voto. Alla domanda se avrebbe riconosciuto una eventuale vittoria di Biden, il sitting president, quello in carica, l’incumbent, aveva detto: dipende. Scandalo, parossismo di alcuni, calma di Biden, che diceva: non vi perdete nei dettagli melodrammatici di un giochino propagandistico e intimidatorio, l’importante è il voto, questo solo conta. Poi il disconoscimento dalla Casa Bianca che fino al 20 gennaio è casa sua, ho vinto io!, i tweet, il malumore, il golf, le manifestazioni dei sostenitori più assatanati, le purghe al Pentagono e nella Sicurezza nazionale, i dispetti sulla transizione, le assurde iniziative legali senza basi contro i brogli elettorali, un mito da costruire e alimentare nello stesso stile politico e comunicativo che aveva portato Trump a negare legittimità al predecessore quando era in carica, perché secondo lui non era nato alle Hawaii, suolo americano, ma in Kenya, dunque era illegittimo per legge dopo sei anni di presidenza. Cose scellerate ma anche bambinate. A parte qualche brivido, ché quello è capace di tutto, specie con un Partito repubblicano ridotto ad assemblea di yesmen, per lo più la critica dei vincitori si appuntava sulla cattiva lezione di democrazia dell’alternanza e di lealtà istituzionale che veniva data ogni giorno dal 3 novembre e successivi, quando era divenuto chiaro come erano andate le cose.

 

PUBBLICITÁ

Il bello è che quel sistema, come tanti altri aspetti della vita pubblica americana, si basa su verità amministrative prive di solennità notarile, la semplice conta certificata dai funzionari, e sopra tutto sulla parola e sulla fiducia. Quella stessa fiducia per cui ti puoi sposare quasi senza documenti, e poi sono affari seri se hai mentito e tradito la fiducia, appunto, dell’amministrazione, o puoi dichiarare una identità fittizia, un incognito ufficiale, quando ti fermi in un albergo. La transizione a un nuovo staff presidenziale parte prima che il Collegio elettorale si riunisca e voti formalmente chi è uscito eletto dalle urne, cosa che avverrà solo a metà dicembre, il nuovo presidente nello status di president elect, di apparent winner, o come volete voi, deve essere messo in grado di partire col piede giusto, avendo completato il tirocinio suo e dei suoi collaboratori nella guida dello stato. Partono i protocolli del graduale trasferimento dei poteri, e di fronte ai protocolli indispensabili da attivare, pur non avendo riconosciuto la sconfitta, alla fine per il bene del paese, che è poi la fiducia collettiva, avendo fallito nei tentativi di disturbo e di rinvio, anche un Trump ci deve stare e ci sta. In fondo l’informalità del sistema, che non prevede una crisi costituzionale se non in circostanze d’emergenza che sradichino il facciamo-a-fidarci, cosa difficile da determinare, è la sua salvezza e la sua legittimazione.

 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ