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Oltre la restaurazione

Biden non sarà l'Obama 3

L’obamismo, il clintonismo, la terza via, la tradizione del Partito democratico. C’è tutto questo nelle prime scelte del presidente eletto. Poi c'è Biden

Paola Peduzzi

Nel mondo di Biden c’è la consapevolezza del fatto che non si possono riproporre nel 2020 formule buone ma antiche, perché sono cambiati gli americani ed è cambiato il mondo

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C’è un po’ di clintonismo nelle scelte di Joe Biden delle persone con cui governare. C’è anche molto obamismo, visto che quella di Barack Obama è l’ultima stagione di successo dei liberal americani prima della tempesta – e si vede quanto è presente, onnipresente l’ex presidente. C’è un po’ di terza via, un po’ di anni Duemila, tutta la tradizione democratica degli ultimi trent’anni, considerata l’età del presidente eletto. Ma soprattutto c’è Biden.

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C’è un po’ di clintonismo nelle scelte di Joe Biden delle persone con cui governare. C’è anche molto obamismo, visto che quella di Barack Obama è l’ultima stagione di successo dei liberal americani prima della tempesta – e si vede quanto è presente, onnipresente l’ex presidente. C’è un po’ di terza via, un po’ di anni Duemila, tutta la tradizione democratica degli ultimi trent’anni, considerata l’età del presidente eletto. Ma soprattutto c’è Biden.

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Nel mondo di Biden c’è la consapevolezza del fatto che non si possono riproporre nel 2020 formule buone ma antiche, perché sono cambiati gli americani ed è cambiato il mondo. Il bidenismo è naturalmente un concetto molto astratto detto oggi, dopo una campagna incentrata sulla nostalgia e in un partito che da quattro anni cerca invano di farsi una ragione della sconfitta del 2016 e che ha già sciolto il fronte anti Trump costruito durante la campagna elettorale. Per ora vediamo e sappiamo che Biden fa riferimento a un establishment conosciuto, competente e moderato (come è lui), che fa scelte normali e prevedibili, che preferisce evitare scontri con i repubblicani in fase di conferma al Senato – sembra che tra la lotta interna con l’ala più radicale e quella esterna con l’opposizione Biden preferisca provare a gestire la prima: al Senato comunque ci sarà bisogno di dialogo – e che l’unico vezzo finora che si è concesso è quello delle calze con su i disegnini.


Il Washington Post ha cercato di mettere a fuoco questa consapevolezza di Biden e scrive: “Quel che è stato compreso della sconfitta del 2016 e il modo con cui si deciderà di governare questa volta saranno il test principale per capire: se Biden sente il bisogno di rispondere all’ansia dei sostenitori di Trump, che è secondo soltanto a Biden nel numero totale di voti ricevuti; se considera la sua elezione come un mandato per spazzare via il passato e andare in una direzione completamente nuova; se troverà una strada in mezzo a queste due alternative”. Se i primi passi di Biden sono quelli della restaurazione – dell’immagine dell’America nel mondo, della stabilità, della normalità del sistema democratico – le persone scelte hanno modificato o meglio adattato le loro convinzioni rispetto al 2016, cioè non pensano che le ragioni del trumpismo siano da mettere tra parentesi come una stagione oscena da dimenticare (questo semmai vale per la leadership di Trump), ma che anzi debbano essere affrontate. Jake Sullivan, che ha lavorato con Hillary Clinton e Obama   ed  è stato scelto da Biden come consigliere per la Sicurezza nazionale, ha spiegato che nella loro grande spinta per i trattati di libero scambio come il Tpp avevano sottovalutato l’impatto sui lavoratori americani (ci ha pensato poi Trump). Allo stesso modo Sullivan oggi dice che una politica più decisa in Siria contro il dittatore Assad avrebbe potuto portare a risultati migliori.


  Questo è soltanto un esempio per spiegare quello che Jenna Ben-Yehuda, presidente del Truman Center, dice alla perfezione: “Sarebbe uno sbaglio pensare che siccome ci sono nomi che conosciamo ci sarà anche una ripetizione di politiche che abbiamo già visto. Si tratta di persone intelligenti che hanno sperimentato quanto è cambiato il mondo con Trump”. Così, mentre l’ala radicale del Partito democratico rumoreggia – ieri Alexandria Ocasio-Cortez si è scagliata contro la possibilità che sia nominato al governo l’ex chief of staff di Obama e clintoniano Rahm Emanuel – e il mondo dell’establishment si ricompatta, c’è chi sussurra: c’è Clinton, c’è Obama, ma c’è stato anche Trump, let Biden be Biden.
 

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