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"Senza via d'uscita"

I repubblicani non sono più un partito, sono un culto

Sidney Powell, Jenna Ellis e gli ultimi guardiani di Trump, che sbraita tutto il tempo. Molti altri tacciono e non rispondono alla domanda cruciale: a che serve?

Paola Peduzzi

Andrew Sullivan, intellettuale conservatore, parla di “lautodissoluzione” del Partito repubblicano: “Non è più un partito politico, questo è un culto pericoloso e allucinato”. Kevin Williamson, “inviato vagabondo” della National Review, rivista conservatrice, chiede: qual è esattamente il beneficio per il mondo conservatore e per l’America di aderire a questo culto?

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Di fianco a Rudy Giuliani, in quello che continua a essere definito il gruppo dei “consiglieri legali” di Donald Trump, ci sono Sidney Powell e Jenna Ellis: la prima è la teorica dei “soldi comunisti” che hanno fatto vincere Joe Biden, la seconda è la “garante dell’integrità di queste elezioni”. La Powell era cresciuta con “Perry Mason”, pochi soldi, molta determinazione e mansioni difficili, come quando lavorava in Texas contro i cartelli della droga e girava con il giubbotto antiproiettile. Poi era passata nel privato – con Enron – e nel 2014 si autopubblicò un libro dal titolo “Licensed to lie” in cui denunciava la costante pressione dei procuratori per sopprimere le prove della difesa: faceva i nomi e cognomi, fece anche una maglietta promozionale con tutte le faccine. Cercò di farsi notare taggando sui social soprattutto anchorman celebri di Fox News ma senza successo: rimase ignorata. La svolta ci fu nel 2017 quando un paio di quei nomi e cognomi del libro furono scelti dal superprocuratore Robert Mueller per costituire il tema investigativo dell’inchiesta sulle interferenze russe nella campagna 2016. La Powell disse: ehi, stanno assumendo dalla mia lista!, e fu finalmente notata. E’ così diventata l’avvocato di Michael Flynn, primo consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump coinvolto nell’inchiesta sulle ingerenze russe, ha iniziato a condividere le storie di QAnon sui social e quelle del “deep state” – di cui Flynn è un grande sostenitore, ricambiato – e via così, fino a Giuliani e al presidente.

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Di fianco a Rudy Giuliani, in quello che continua a essere definito il gruppo dei “consiglieri legali” di Donald Trump, ci sono Sidney Powell e Jenna Ellis: la prima è la teorica dei “soldi comunisti” che hanno fatto vincere Joe Biden, la seconda è la “garante dell’integrità di queste elezioni”. La Powell era cresciuta con “Perry Mason”, pochi soldi, molta determinazione e mansioni difficili, come quando lavorava in Texas contro i cartelli della droga e girava con il giubbotto antiproiettile. Poi era passata nel privato – con Enron – e nel 2014 si autopubblicò un libro dal titolo “Licensed to lie” in cui denunciava la costante pressione dei procuratori per sopprimere le prove della difesa: faceva i nomi e cognomi, fece anche una maglietta promozionale con tutte le faccine. Cercò di farsi notare taggando sui social soprattutto anchorman celebri di Fox News ma senza successo: rimase ignorata. La svolta ci fu nel 2017 quando un paio di quei nomi e cognomi del libro furono scelti dal superprocuratore Robert Mueller per costituire il tema investigativo dell’inchiesta sulle interferenze russe nella campagna 2016. La Powell disse: ehi, stanno assumendo dalla mia lista!, e fu finalmente notata. E’ così diventata l’avvocato di Michael Flynn, primo consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump coinvolto nell’inchiesta sulle ingerenze russe, ha iniziato a condividere le storie di QAnon sui social e quelle del “deep state” – di cui Flynn è un grande sostenitore, ricambiato – e via così, fino a Giuliani e al presidente.

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All’inizio del 2016, Jenna Ellis diceva che Trump era “anti americano”, “non un vero cristiano” e “un idiota”, che ai suoi sostenitori “non interessa la realtà dei fatti” e che lui e i suoi avrebbero “distrutto la democrazia americana”. Quando poi Trump fu eletto, la Ellis divenne il megafono del suo vittimismo – la mania di persecuzione che ora si sfoga con le elezioni “rubate” – e ancora oggi dice che i media hanno deciso che il presidente doveva perdere, ma sarà “stabilita la realtà dei fatti”.

 

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Giuliani e il suo team sono la rappresentazione di quella che Andrew Sullivan, intellettuale conservatore, definisce “l’autodissoluzione” del Partito repubblicano: “Non è più un partito politico, questo è un culto pericoloso e allucinato”. Kevin Williamson, “inviato vagabondo” (è definito così) della National Review, rivista conservatrice, scrive che Trump è “uno svitato complottista” che si circonda di “svitati complottisti” e che ora, “nel tramonto del complottismo trumpiano”, assistiamo “alla fusione di QAnon, del Partito repubblicano e della grande parte del movimento conservatore che si guadagna il pane spacciando alla radio pillole vegetali miracolose ad anziani creduloni. Quando ho iniziato a scrivere di QAnon – continua Williamson – alcuni conservatori dicevano che non è un fenomeno rilevante, che non aveva un’influenza concreta sul Partito repubblicano o sulla politica conservatrice. Evidentemente non è vero, ma anziché chiederci se questo delirio complottista è rilevante o no per la politica dei repubblicani, faremmo bene a chiederci se c’è qualcosa oltre a questo nella politica dei repubblicani oggi. Magari c’è, ma non tanto”. La domanda finale è quella che si fanno tutti: “Qual è esattamente il beneficio per il mondo conservatore e per l’America di aderire a questo culto?”. L’articolo è stato ripreso da molti commentatori conservatori  assieme alla frase reaganiana: “A time for choosing”.

 

Il sito Axios racconta che in realtà gli adepti del culto sono rimasti giusto questi che vediamo in tv: non hanno più niente da perdere e fuori da questa Casa Bianca comunque non avrebbero uno stipendio. In privato molti altri dicono che la strada su cui s’è messo Trump “è senza uscita”: anche Ivanka e Jared, silenti, la pensano in questo modo. Ma è impossibile – raccontano sempre due giornalisti di Axios, Alayna Treene e Jonathan Swan – “avere una conversazione seria in questi giorni senza che Trump non si metta a sbraitare citando teorie del complotto, in particolare quelle delle macchine elettorali Dominion”. Pare che alcuni collaboratori non rispondano al telefono e siano scomparsi aspettando “che passi la tempesta”. E secondo un retroscena di Abc News, ci sarebbe stato uno scontro molto duro tra “Rudy e Jenna” e gli altri consiglieri dall’altra, con insulti e urla: è stata poi pubblicata una  smentita. Si tenta di restare compatti, come se davvero ci fosse ancora un beneficio per il partito o per l’America in questa strada senza uscita.

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