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L'Ue non è l'Urss

Il premier polacco Morawiecki e la corsa "controcorrente" contro l'Unione europea

Il discorso di Morawiecki che getta “in mare la Polonia e il progetto più importante della storia dell’Europa”

Micol Flammini

Il PiS  insegue Orbán e in una settimana ha inasprito le tensioni con l’Ue. Il giudice simbolo, le proteste e un occhio ai sondaggi

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L’idea di convincere la Polonia, che pure ieri al vertice con i capi di stato e di governo ha detto di voler trovare una soluzione,  ad abbandonare il veto posto assieme all’Ungheria  al bilancio europeo e al Recovery fund non sembra   per ora percorribile. La speranza è venuta meno nel momento in cui, mercoledì, Mateusz Morawiecki, primo ministro della nazione, ha tenuto  un discorso  davanti al Parlamento di Varsavia per dire che l’Ue è   diventata un club di oligarchi che fa pressione   sui più deboli. Ha detto di essere stanco di vedere Bruxelles che tratta la sua nazione come se fosse un “bambino piccolo”, “stiamo nuotando controcorrente” e “la corrente principale a Bruxelles è una visione specifica dell’Ue”

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L’idea di convincere la Polonia, che pure ieri al vertice con i capi di stato e di governo ha detto di voler trovare una soluzione,  ad abbandonare il veto posto assieme all’Ungheria  al bilancio europeo e al Recovery fund non sembra   per ora percorribile. La speranza è venuta meno nel momento in cui, mercoledì, Mateusz Morawiecki, primo ministro della nazione, ha tenuto  un discorso  davanti al Parlamento di Varsavia per dire che l’Ue è   diventata un club di oligarchi che fa pressione   sui più deboli. Ha detto di essere stanco di vedere Bruxelles che tratta la sua nazione come se fosse un “bambino piccolo”, “stiamo nuotando controcorrente” e “la corrente principale a Bruxelles è una visione specifica dell’Ue”

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Una visione che, secondo il premier, “non ha alcuna possibilità di sopravvivere. Ecco perché abbiamo deciso di  lottare per la Polonia, ma anche per il futuro dell’Unione europea”. Poi si è unito alle accuse del suo omologo ungherese, Viktor Orbán, e anche Morawiecki ha detto che Varsavia rifiuta l’approccio dell’Ue che usa lo stato di diritto come arma di propaganda: “Conosciamo bene dai tempi del comunismo l’uso di questi bastoni di propaganda”. Nessun passo indietro, il veto in Polonia è diventato una questione politica nazionale, di lotta interna al partito di maggioranza e la speranza che Mateusz Morawiecki – la cui  nomina a  primo ministro al posto di Beata Szydlo era stata vista  come un segnale di distensione nei confronti dell’Ue, perché era un giovane poliglotta che sapeva parlare agli ambienti internazionali – potesse far ragionare la maggioranza in Polonia è svanita. Jaroslaw Kaczynski, leader del partito di maggioranza PiS e da settembre anche vicepremier, era d’accordo sin dall’inizio con la possibilità di porre il veto, il suo sogno è ripercorrere i passi di  Orbán. Era d’accordo anche Zbigniew Ziobro, ministro della Giustizia e autore delle riforme della magistratura per le quali scatterebbe il meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto. Anzi, quando il premier era tornato dal vertice di luglio con la promessa di 27 miliardi di euro aggiuntivi da destinare alla Polonia in sei anni, più che gioire per la somma, Ziobro si era preoccupato di  quali fossero le condizioni: temeva che  l’Ue volesse cambiare  la riforma della Giustizia. Kaczynski protegge il suo programma, Ziobro la sua legge, e vedendo aumentare l’affinità tra i due, Morawiecki ha iniziato a proteggere la sua carica, con la conseguenza di bloccare tutta l’Ue, congelare il denaro  che serve a riprendersi dalla pandemia e dalla crisi, e di privare la sua nazione di miliardi  preziosissimi. 

 

In un commento sul quotidiano d’opposizione Gazeta Wyborcza, il vicedirettore Roman Imielski ha scritto che ascoltando il discorso in Parlamento ha visto  in Morawiecki  un politico cinico che “per salvare il posto è in grado di gettare a mare la Polonia e il progetto politico ed economico più importante della storia d’Europa”. Se la Polexit non è un’opzione, nella testa di alcuni politici c’è già un certo modo di pensarsi fuori dagli schemi dell’Ue: il governo polacco ha già rotto il patto con i valori europei cinque anni fa, ma in queste settimane il PiS sta inasprendo le polemiche con Bruxelles. 

 

Questa settimana Igor Tuleya, uno dei giudici più famosi in Polonia,  che si era opposto alla riforma della magistratura, è stato privato dell’immunità. Si era battuto per il rispetto dello stato di diritto e adesso non potrà più partecipare ai procedimenti giudiziari. Per le strade di Varsavia vanno avanti le proteste contro la nuova  legge sull’aborto, e per la prima volta  nella notte tra mercoledì e giovedì la polizia ha risposto in modo violento, come Kaczynski aveva chiesto di fare – secondo alcuni giornali –  già alcune settimane fa. La polizia ha ferito diversi manifestanti e subito sono venute fuori le similitudini con gli Omon bielorussi che da mesi picchiano chi protesta pacificamente contro il dittatore Aljaksandr Lukashenka. Ci sono due cose di  cui i polacchi vanno fieri, due conquiste storiche, la democrazia e l’adesione all’Ue.  Tutte e due sono compromesse da  un processo illiberale  che è diventato velocissimo. Un sondaggio Kantar, pubblicato giovedì, mostra che il presidente della repubblica, Andrzej Duda, rieletto a luglio con il 51 per cento dei voti, oggi ha un consenso del 32 per cento. Il PiS, invece, che dall’inizio della pandemia ha iniziato a perdere voti, in un mese  è crollato di dieci punti. 
 

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