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i ballottaggi al senato americano

Il sapore della Georgia, terra dei rimpianti che non sa lasciare il suo passato

Stefano Pistolini

Una terra dove si è lottato per riparare i torti della storia. I giovani e gli afroamericani hanno premiato Joe Biden e Kamala Harris. Ma i repubblicani rimangono ancora dominanti. Attesa per il ballottaggio al Senato

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Per la Georgia è difficile lasciare il passato. Non sono bastate le Olimpiadi del ’96, non è servita la riprogettazione delle città, Atlanta divenuta metropoli, Athens college town per antonomasia (c’è la suburbana Sparta, poco lontano, per riequilibrare il mito), Savannah meta turistica a base di “sweet south”, magnolie e rimembranze frou frou.

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Per la Georgia è difficile lasciare il passato. Non sono bastate le Olimpiadi del ’96, non è servita la riprogettazione delle città, Atlanta divenuta metropoli, Athens college town per antonomasia (c’è la suburbana Sparta, poco lontano, per riequilibrare il mito), Savannah meta turistica a base di “sweet south”, magnolie e rimembranze frou frou.

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Lo spirito dello stato resta legato alla sua ideazione, allo splendore maligno d’una natura esplosiva affidata alla cura di uomini-schiavi trattati come bestie. In Georgia s’è fatta una quantità di strada nel risarcimento, nella riparazione, nel pentimento, nel ravvedimento, fino a produrre oggi una figura politica di statura nazionale come Stacey Abrams, con ciò che incarna, descrive e dice, parlando di riscatto e parificazione degli afroamericani. Ma al fondo l’appartenenza di questa terra non è mutata, perché quella è la sua origine ed è stata la sua terribile utopia: il razzismo normalizzato eletto a sistema e, una volta archiviata quella tragica esperienza, tradotto in silenzioso vagheggiamento dell’epoca d’oro, pura nostalgia bianca, educatamente celata agli sguardi indiscreti.

 

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La cosa interessante è che adesso proprio questa terra a cui l’Unione ha concesso una specie di perenne permesso di rimpiangersi, questa gente che parla una lingua morbida e sonnacchiosa, questa borghesia avvinghiata ai principi classici, questa gioventù che ha elaborato modi per dimostrarsi creativa e perfino razzialmente risolta, questa comunità nera il cui figlio illustre è M.L. King jr, faro che ne ha illuminato la rinascita, insomma proprio in questo scenario si decide un bel pezzo del futuro dell’America. Con Joe Biden alla Casa Bianca anche grazie alla Georgia, che dopo un’infinità di anni è tornata a premiare il candidato democratico – l’ultima volta, nel 1992, era Bill Clinton, che nel 1996 avrebbe perso da Bob Dole, e i democratici del sud allora erano diversi da oggi, e non in meglio – e mentre prende forma una piattaforma per l’America intra-Covid, l’ago della bilancia che segnerà gli sviluppi della nazione oscilla proprio qui. Oggetto della questione: l’ancora possibile conquista del Senato da parte del partito del neopresidente, con ciò che ne conseguirebbe, ovvero la strada spianata alle riforme in stile Biden senza la decisiva opposizione del Senato a bloccarne le iniziative.

 

A oggi i repubblicani controllano 50 seggi al Senato, i dem, includendo gli indipendenti, 48. I due seggi mancanti verranno assegnati nel ballottaggio del 5 gennaio prossimo, entrambi votati nello stato della Georgia. Aggiudicandoseli, i democratici arriverebbero alla fatidica parità 50-50, sulla quale sarebbe decisivo il voto della neovice e presidente del Senato, Kamala Harris. Il gioco sarebbe fatto, per poter dire, come con prematuro entusiasmo ha esclamato Chuck Schumer, capo dem al Senato: “Abbiamo preso la Georgia, ora cambiamo l’America!”. Ma ci credono in pochi, per un motivo semplice: nei ballottaggi, in Georgia, vincono sempre i repubblicani. Anzi, c’è chi teorizza che il meccanismo stesso del ballottaggio in occasione delle presidenziali, rimasto in vigore solo in Georgia e Alabama, altro non sia che un residuato d’altri tempi, istituito per fermare, attraverso il double check, gli slanci elettorali di candidati in odore di eccessi progressisti. E questa occasione potrebbe non distaccarsi dal passato, per un motivo essenziale: il numero di partecipanti al voto di un ballottaggio del genere è di norma notevolmente più basso di quello raggiunto in occasione del voto per il nuovo presidente.

 

La Georgia ha contribuito a spedire Biden alla Casa Bianca grazie ai voti dei giovani e degli afroamericani, ma proprio queste categorie sono le più predisposte a disertare le urne in occasione di un ballottaggio: non c’è più un Trump da cacciare ed è facile immaginare che la solida e stagionata base repubblicana riprenderà il controllo numerico del voto. Tanto più se si soppesano i candidati in corsa per i due seggi. Il primo dei quali è quello lasciato libero dal repubblicano Johnny Isakson, al ritiro per motivi di salute. Al suo posto puntano colei che l’ha momentaneamente sostituito, ovvero la compagna di partito Kelly Loeffler, e lo sfidante dem Raphael Warnock, un afroamericano ministro del culto, una specie di prete di strada impegnato nel sociale e nell’assistenza alle comunità disagiate. Di contro la biondissima Loeffler ama descriversi come la repubblicana più conservatrice del Senato, trumpiana convinta, antiabortista, nemica dei transessuali, sostenitrice dell’Nra, l’associazione dei costruttori di armi, della costruzione del muro con il Messico e altre amenità del genere.

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Facile pronosticare il vincitore tra il prete nero progressista e la beniamina della Vecchia America, se la mobilitazione non prenderà una forma oggi improbabile. E anche nell’altro testa a testa le cose si mettono male per i democratici: a fermare il senatore uscente, il repubblicano David Perdue, ci prova Jon Ossoff, attivista bianco di soli 33 anni, giornalista investigativo e titolare di documentari sull’Isis, radicale su molte questioni sociali, ma abbastanza furbo da non alienarsi le simpatie dei centristi sui temi economici e della sicurezza. Perdue è il classico repubblicano del sud di vecchio corso, trumpiano d’occasione e particolarmente aggressivo nei confronti di Kamala Harris, la nera che ha avuto l’ardire di aspirare alla vicepresidenza. Le sue vergognose canzonature da comizio indirizzate a Kamala sono approdate alle cronache nazionali. Questo dunque lo scenario e gli sfidanti: la scommessa sicura recita Loeffler e Perdue, per un 2-0 repubblicano destinato a frenare l’amministrazione Biden. Ma la variabile è il tempo: manca un mese e mezzo ai ballottaggi e adesso l’importanza di questo voto è chiaro a tutti.

 

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Per i democratici si tratta di produrre un nuovo sforzo eccezionale per riportare al voto coloro che pensavano d’aver finito mandando a casa Trump. E poi di smuovere la sonnolenta comunità degli ispanici dello stato, compattandola al fronte progressista. Possibilità di successo? Scarse, ma esistenti. Bisognerà fare rumore e avere soldi da spendere. Del resto c’è di mezzo di più di uno stato: c’è di mezzo l’Unione. Della quale una taciuta percentuale dei figli della Georgia è tutt’altro che orgogliosa d’essere parte.

 

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