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Il console italiano uscito "illeso" da un attentato a Gedda illeso non è

Daniele Ranieri

Lo Stato islamico una settimana fa ha attaccato con una granata una cerimonia in Arabia Saudita, tra i feriti un nostro diplomatico. La Farnesina ha preso il vizio della mancanza di trasparenza

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Mercoledì 11 novembre lo Stato islamico attacca con una granata i diplomatici stranieri che partecipano a una cerimonia nel cimitero dei non musulmani a Gedda, in Arabia Saudita. C’è anche il console generale italiano Stefano Stucci. La Farnesina scrive subito in un comunicato che “sta bene”, i giornali riportano che è “illeso”. Non è andata proprio così. I medici gli devono mettere nove punti a una gamba per due ferite da schegge, secondo informazioni del Foglio. Anche lui è tra le persone, almeno una decina, colpite durante la commemorazione che era stata organizzata dal console francese e che quindi era un incontro ad alto rischio. Appena due settimane prima – il 29 ottobre, nello stesso giorno dell’attacco della basilica di Nizza in Francia – un uomo aveva tentato di accoltellare la guardia all’ingresso del consolato francese a Gedda. Due attacchi in pochi giorni nella stessa città. Il cimitero non era aperto al pubblico, il servizio di sicurezza saudita che avrebbe dovuto proteggere la cerimonia ha fallito in qualche modo anche se era chiaro che c’era da stare all’erta. Un greco è stato ferito in modo grave. Il giorno dopo lo Stato islamico ha rivendicato l’attacco: “I nostri combattenti hanno fatto detonare una bomba contro i diplomatici europei che partecipavano a una commemorazione organizzata dalla Francia e hanno ferito diversi di loro ”. 

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Mercoledì 11 novembre lo Stato islamico attacca con una granata i diplomatici stranieri che partecipano a una cerimonia nel cimitero dei non musulmani a Gedda, in Arabia Saudita. C’è anche il console generale italiano Stefano Stucci. La Farnesina scrive subito in un comunicato che “sta bene”, i giornali riportano che è “illeso”. Non è andata proprio così. I medici gli devono mettere nove punti a una gamba per due ferite da schegge, secondo informazioni del Foglio. Anche lui è tra le persone, almeno una decina, colpite durante la commemorazione che era stata organizzata dal console francese e che quindi era un incontro ad alto rischio. Appena due settimane prima – il 29 ottobre, nello stesso giorno dell’attacco della basilica di Nizza in Francia – un uomo aveva tentato di accoltellare la guardia all’ingresso del consolato francese a Gedda. Due attacchi in pochi giorni nella stessa città. Il cimitero non era aperto al pubblico, il servizio di sicurezza saudita che avrebbe dovuto proteggere la cerimonia ha fallito in qualche modo anche se era chiaro che c’era da stare all’erta. Un greco è stato ferito in modo grave. Il giorno dopo lo Stato islamico ha rivendicato l’attacco: “I nostri combattenti hanno fatto detonare una bomba contro i diplomatici europei che partecipavano a una commemorazione organizzata dalla Francia e hanno ferito diversi di loro ”. 

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Ora, può darsi che il console Stucci non abbia voluto dare pubblicità alla faccenda. In un mondo di mitomani c’è ancora qualcuno che per indole tende a minimizzare. All’estero ci sono professionisti italiani che cercano di non far preoccupare chi è rimasto in Italia – il personale dell’ambasciata di Tripoli e il contingente militare chiuso nel compound di Misurata in Libia, tanto per fare due esempi. Oppure, e questo sarebbe grave, è il ministero degli Esteri che manca di trasparenza perché si sta abituando così. Se i terroristi attaccano diplomatici stranieri in pieno giorno durante una cerimonia pubblica si crea una situazione imbarazzante per le autorità di Riad, che dovrebbero garantire la sicurezza. Da anni i sauditi investono moltissimo per dare una nuova immagine al loro paese, fatta di turismo, innovazione e timidi avanzamenti nei diritti civili, e vogliono stendere un velo sopra la vecchia immagine di culla dell’estremismo globale. Un titolo come “Attacco a Gedda, ferito anche il console italiano” non suona benissimo. Abbiamo deciso di dare loro una mano in questa occasione? 

 

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Se è andata così il caso saudita fa parte di un problema più generale. La tendenza all’opacità e alla compiacenza. Più di due mesi fa quattro libici armati (quattro di numero) a bordo di due imbarcazioni hanno sequestrato due pescherecci italiani e i loro equipaggi al largo della costa della Libia e da quel giorno non c’è stato alcun progresso. Sappiamo tutti che sono nelle mani del generale libico Khalifa Haftar, ma su di loro è sceso il silenzio che di solito si chiede nei casi di rapimento da parte di gruppi terroristici. Soltanto che in questo caso non si tratta di gruppi terroristici, si tratta di un personaggio che spesso è venuto in Italia ed è stato accolto con tutti gli onori. A Roma, dirimpetto all’ingresso del Parlamento, c’è la tenda dove dormono i famigliari dei pescatori che hanno promesso di non andarsene fino a quando non avranno ricevuto la notizia della liberazione. Perché non ci sono novità? Perché l’Italia è tenuta in sospeso da un generale libico quasi ottantenne con risorse infinitamente inferiori? 

 

A eccedere nell’arte della diplomazia, a voler minimizzare sempre, a scegliere la discrezione come la  politica da preferire in ogni circostanza – dall’attacco di Gedda in Arabia Saudita al sequestro dei pescatori  in Libia al caso Regeni in Egitto (che non è ancora stato risolto) si corre il rischio di sembrare meno di quello che si è. E nel Mediterraneo di oggi, pieno di lupi, non è  una cosa raccomandabile. 


 

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