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Prendere sul serio la rivoluzione di Macron

Giuliano Ferrara

Una svolta seria e ambiziosa, una rilettura di storia e futuro dell’occidente, esposta alla verifica dei fatti in tempo breve. Nato, globalizzazione, innovazione. L’Europa del dopo Trump non sarà come quella di un tempo. Elogio di una nuova sovranità

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Il momento di Macron è arrivato e le sue idee sono in pagina, sistematizzate e aggiornate, a poche settimane dal 3 novembre americano. Nel 2016 gli elettori britannici decidono per l’uscita dall’Unione europea, nel novembre dello stesso anno gli elettori americani scelgono Trump, tra l’altro un brexiteer ad honorem, che considera l’Unione un ostacolo commerciale e un ibrido politico. Nella primavera successiva i francesi eleggono Macron, che sull’Europa punta tutto. Per quattro anni Macron si fa leader mondiale, con discorsi idee progetti e atti politici, di una difesa del multilateralismo contro la logica dell’America First al centro della quale pone un’Europa a trazione franco-tedesca. Era intuibile che con l’uscita di scena dell’uomo forte di Washington, e con lo “splendido isolamento” del Regno Unito privo della copertura di un rapporto speciale con gli Stati Uniti, al presidente francese sarebbe immediatamente tornato il pallino della grande politica. Tanto più che, di crisi in crisi (gilet gialli, lavoro, pensioni e altre riforme strutturali di tipo liberale), la Francia ha tuttavia ottenuto, tra molti altri risultati, quello principale: l’aggancio con la Germania di Merkel nella decisione comune europea di fondare, in reazione alla pandemia, un nucleo di bilancio comune dell’Unione e uno sforzo ingente di convergenza, di spesa e di debito mutualizzato, uno sforzo di tipo trasformativo, una svolta anche politica.

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Il momento di Macron è arrivato e le sue idee sono in pagina, sistematizzate e aggiornate, a poche settimane dal 3 novembre americano. Nel 2016 gli elettori britannici decidono per l’uscita dall’Unione europea, nel novembre dello stesso anno gli elettori americani scelgono Trump, tra l’altro un brexiteer ad honorem, che considera l’Unione un ostacolo commerciale e un ibrido politico. Nella primavera successiva i francesi eleggono Macron, che sull’Europa punta tutto. Per quattro anni Macron si fa leader mondiale, con discorsi idee progetti e atti politici, di una difesa del multilateralismo contro la logica dell’America First al centro della quale pone un’Europa a trazione franco-tedesca. Era intuibile che con l’uscita di scena dell’uomo forte di Washington, e con lo “splendido isolamento” del Regno Unito privo della copertura di un rapporto speciale con gli Stati Uniti, al presidente francese sarebbe immediatamente tornato il pallino della grande politica. Tanto più che, di crisi in crisi (gilet gialli, lavoro, pensioni e altre riforme strutturali di tipo liberale), la Francia ha tuttavia ottenuto, tra molti altri risultati, quello principale: l’aggancio con la Germania di Merkel nella decisione comune europea di fondare, in reazione alla pandemia, un nucleo di bilancio comune dell’Unione e uno sforzo ingente di convergenza, di spesa e di debito mutualizzato, uno sforzo di tipo trasformativo, una svolta anche politica.

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Ora a noi europei tocca fare da soli, aveva più o meno detto Merkel poco dopo l’esordio nazional-populista della nuova Casa Bianca del 2016. Macron ha sempre cercato di spiegare come si fa a far da soli, cioè a investire la “sovranità o autonomia strategica” dell’Unione europea in un progetto per il nuovo mondo postatlantico, in un certo senso postoccidentale. Quando le sembrava che corresse troppo, Merkel gli diceva ironica, maternalista, che era “pieno di idee”, infatti i precari equilibri tedeschi, elettorali e politici, le suggerivano prudenza e equilibrio, tempi lunghi e idee pochissimo sbarazzine o avventurose. Con la pandemia, e alla luce della crescente popolarità della cancelliera nella fase finale del suo quarto mandato, Berlino ha compiuto una vera svolta, il Next Generation Eu o Recovery fund: da capo dei frugali, in alleanza con Parigi, la Germania ha riattivato il motore franco-tedesco dell’Europa unita. Di qui lo spazio e la nuova autorevolezza della lettura del mondo che diffusamente propone Macron nella lunga e bella intervista a Le Grand Continent, una rivista specializzata, diciamo così, in pensiero dell’innovazione.

 

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Il lettore interessato e paziente vedrà da sé, districandosi tra i dieci punti della dottrina Macron proposti dal testo dell’intervista e selezionati dagli intervistatori. Suggerisco attenzione in particolare a qualche passaggio. Macron dice netto: con Biden tutti felici, ma non come prima. Il Washington Consensus, chiusa la parentesi di Trump, deve essere sostituito da un’altra caratura strategica. Non si vive di residui bellici, guerra, guerra fredda, dopoguerra fredda. E’ noto che il presidente francese aveva dichiarato con ardimento che la Nato ha l’encefalogramma piatto. Punto di vista radicale, a specchio con quello di Trump, detestatore della Nato come alleanza multilaterale troppo costosa per gli Usa, ma indicativo (il motivo immediato è la politica estera e militare, oltre alle provocazioni antifrancesi, della Turchia di Erdogan).

 

Su questa idea di un reset generale delle relazioni transatlantiche il ministro della Difesa tedesco, la merkeliana Annegret Kramp-Karrenbauer, ha pubblicato su Politico un articolo di segno contrario: ora tutto può più o meno tornare come prima, con Biden alla Casa Bianca. La Germania non ha il nucleare, ha una dislocazione meramente difensiva e di pace delle sue Forze armate, diffida delle avventure geostrategiche, ma Macron assicura che su questo la Merkel è d’accordo con lui più che con le idee conservatrici del suo ministro. Si vedrà. La contesa sottolinea il punto della sovranità o autonomia strategica dell’Europa unita, che da sempre è vincolata alla capacità autonoma di difesa (su questo grandi progressi, afferma il presidente francese). L’idea che siamo oltre le tre grandi date spartiacque, il 1945, il 1968 e il 1989, che siamo appunto in un mondo radicalmente nuovo, nel bene e nel male, è elaborata da molti punti di vista diversi e con conseguenze interessanti su un multilateralismo che non è più solo degli stati ma di stati e soggetti decisivi della società e dello sviluppo tecnologico globale. E si collega alla sfiducia che Macron mostra nel capitalismo così com’è e come si è presentato nella lunga èra del Washington Consensus e decenni recenti.

 

Macron era in un certo senso l’anti Piketty, era l’uomo della finanza, il liberale in capo, e ora le funzioni di protezione sociale, l’economia sociale di mercato, sono con un ruolo attivo dello stato la sua prima preoccupazione, associata a una riflessione complessa e sfaccettata (dalla transizione ecologica in modalità elitistica, sulla quale fa esplicita autocritica, al rapporto tra commercio internazionale e modelli di sviluppo). Il punto focale è che la classe media non può essere la “variabile d’aggiustamento” della globalizzazione: le radici dell’aggressività populista vanno sradicate nel momento del suo declino, almeno apparente e transitorio, questo il senso implicito. C’è molto altro sulla tecnologia, sul diritto, sulla geopolitica mediorientale e africana, sulla Cina e la Via della seta. Insomma il ragazzo, come diceva una volta la Mutti, è “pieno di idee”. E prospetta un pensiero di svolta, con l’impulso che gli conferisce la nuova situazione internazionale. Un capriccio francese, come dicevano di lui qualche anno fa? No, una svolta estremamente seria e ambiziosa, una rilettura di storia e futuro dell’occidente, esposta alla verifica dei fatti in tempo breve.

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