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Il caso

Perché la riammissione di Corbyn nel Labour rischia di scontentare tutti

Luciana Grosso

Nonostante le accuse di antisemitismo, la direzione del partito ha deciso di riammettere l'ex leader nei laburisti e di espellerlo dal gruppo parlamentare. Protestano sia il Jewish Labour Movement che la sinistra del partito

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I tormenti del Labour inglese ricominciano lì da dove non si sono mai mossi: da Jeremy Corbyn, dalla sua figura divisiva, dal suo carisma magnetico o urticante, dalla sua ingombrante eredità politica fatta di cocciutaggine socialista, disfatte elettorali e di tentennamenti su Brexit. Ma anche, anzi: soprattutto, dal suo mai chiarito antisemitismo. È questo l’elefante nella stanza di ogni discussione della dirigenza labour inglese: “Abbiamo avuto, davvero, per anni, un segretario antisemita? Come abbiamo potuto permetterlo?  E soprattutto: cosa intendiamo fare perchè non succeda più?”.

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I tormenti del Labour inglese ricominciano lì da dove non si sono mai mossi: da Jeremy Corbyn, dalla sua figura divisiva, dal suo carisma magnetico o urticante, dalla sua ingombrante eredità politica fatta di cocciutaggine socialista, disfatte elettorali e di tentennamenti su Brexit. Ma anche, anzi: soprattutto, dal suo mai chiarito antisemitismo. È questo l’elefante nella stanza di ogni discussione della dirigenza labour inglese: “Abbiamo avuto, davvero, per anni, un segretario antisemita? Come abbiamo potuto permetterlo?  E soprattutto: cosa intendiamo fare perchè non succeda più?”.

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La parola fine ad anni di dubbi e accuse (sempre respinte dall’interessato) a Corbyn di essere antisemita e di tollerare con fastidio la presenza di ebrei nel suo partito e nel suo elettorato, è arrivata lo scorso ottobre, quando un report della Commissione contro le discriminazioni e per i diritti umani ha scritto nero su bianco che il  partito dei Labour aveva mostrato, negli anni della gestione Corbyn (2015-2020), gravi mancanze in termini di non discriminazione nei confronti degli ebrei; che all’interno del partito era stato tollerato il peggior antisemitismo e negazionismo travestito da appoggio per la Palestina; che le numerose denunce di antisemitismo erano state ignorate o derise; che per gli ebrei all’interno del partito si era creato un ambiente tutt’altro che confortevole. L’esito dell’indagine era gravissimo, e non riguardava solo Corbyn ma, per competenza, l’intera classe dirigente del secondo partito inglese. A rendere le cose peggiori c’era il fatto che l’indagine arrivava da una Commissione per il rispetto dei diritti umani che, in genere, non si occupa di istituzioni autorevoli e prestigiosi come il Labour Party, ma di gruppi smaccatamente razzisti. Inoltre le denunce da cui l’inchiesta aveva preso le mosse non erano arrivate da avversari politici di destra o da irriducibili blairiani desiderosi di far fuori un indigesto segretario ma da gruppi rispettati e di chiara collocazione sinistrorsa come il  Movimento operaio ebraico, la Campagna contro l'antisemitismo, Jewish Voice for Labour o il Jewish Ledership Council. 

 

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Per Jeremy Corbyn, cha al momento della pubblicazione del report non era più segretario da quasi un anno si trattava di una tempesta perfetta, dalla quale avrebbe potuto uscire (forse) inondandosi il capo di cenere. Ma, manco a dire, non lo ha fatto. Anzi. E’ riuscito a peggiorare le cose, dicendo di essere sì “dispiaciuto” ma anche che a suo dire tutta la faccenda era stata “ampiamente esagerata”  e che comunque lui “non era parte del problema”. 

 

   

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Parole di rara maldestrezza che, in un colpo solo,  disconoscevano e minimizzavano (ancora!) le denunce e le conclusioni della Commissione. La reazione della direzione del Labour fu- giustamente- immediata e durissima, ossia la sospensione di Corbyn dal partito che aveva guidato

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Una decisione a cui sono seguite settimane di fuoco, con il segretario Keir Starmer (un uomo la cui missione è riunire quel che Corbyn ha diviso, ricucire quel che Corbyn ha lacerato) costretto a camminare su un filo sottilissimo “Riammettere Corbyn - scrive Guardian- significherebbe abbozzare sul fatto che non abbia accettato tutte le conclusioni della Commissione, e sarebbe un colpo di spugna sugli sforzi fatti fin qui da Starmer per riparare lo scandalo dell'antisemitismo; espellerlo però sarebbe esplosivo”. Cacciare Corbyn, nonostante tutte le ombre, è una cosa che, al momento il Labour proprio non può fare (anche se forse vorrebbe) perché la sua presa su una buona parte dell’elettorato è ancora troppo forte, così come forte è il suo controllo su molti quadri intermedi del partito: “Cacciare un ex leader è una manovra pericolosa- scrive The Economist- in particolare quando quel leader è un eroe non solo per i vecchi coriacei di sinistra, ma anche per i giovani idealisti che si sono riversati nel partito al suo arrivo, nel 2015. Inoltre, gli estremisti di sinistra sono nemici pericolosi da avere, vista la loro abitudine di nascondersi, con il coltello in mezzo ai denti, nei labirintici corridoi del partito”.

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Così, dopo quasi un mese di esitazione, Starmer (o meglio il NEC, la direzione) ha deciso di riammettere Corbyn (che nel frattempo si è nuovamente scusato, anche per le sue infelici parole) nel Labour, ma anche di espellerlo dal gruppo parlamentare (“togliergli la frusta” si dice in gergo).  Il che significa che il parlamentare laburista Corbyn non potrà parlare a Westminster in nome e per conto del suo partito, ma solo per sé stesso. Una decisione, questa, che sembra concepita per dare un colpo al cerchio dei corbinisti irriducibili e uno alla botte di chi non lo vuole vedere nemmeno dipinto. Ma che probabilmente scontenterà tutti: il Jewish Labour Movement, per esempio, che ha già espresso tutto il suo disappunto per la riammissione di Corbyn che considera un lasciapassare per l’antisemitismo nel partito, ma anche i corbiniani di Momentum che hanno definito la decisione Labour “un attacco esplicito alla sinistra del partito, invece che alla destra del partito”. Magari è anche vero. Ma lo dicevamo all’inizio: è un vizio dei partiti di sinistra quello di essere ossessionati, più che dal presente e dal futuro, dalle sorti dei loro ex leader.

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