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Moderna, Pfzier, Biontech

Gli immigrati che fanno i vaccini

Paola Peduzzi

Storie di eccellenza, curiosità, migrazioni, sogni e moltissimo Mediterraneo nei manager e scienziati che stanno trovando la cura al coronavirus

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Noubar Afeyan, cinquantottenne cofondatore e presidente di Moderna, l’azienda che sta sviluppando un vaccino anti Covid che sarà distribuito principalmente in America, è due volte immigrato. Nato in Libano da genitori armeni, è andato a vivere in Canada appena adolescente e dopo il college si è trasferito in America, ha preso un PhD al Mit in ingegneria biochimica e ha fondato la sua prima azienda a 24 anni. Stéphane Bancel, ceo di Moderna, è un immigrato francese, passato dall’École Centrale de Paris all’Università del Minnesota (chissà che choc culturale), dove ha studiato ingegneria chimica per poi arrivare alla scuola di business di Harvard. Tal Zaks, capo della divisione medica di Moderna, è arrivato in America dopo un PhD all’Università Ben Gurion in Israele, ha fatto ricerca ma anche formazione in ospedale. Marcello Damiani, capo del digitale e di un’unità che si chiama Eccellenza operativa (qualsiasi cosa sia dev’essere bello dire che si lavora lì), è francese, mentre Juan Andres, capo delle operazioni tecniche e dell’Ufficio qualità, è spagnolo. Guardando il team che sta lavorando allo sviluppo del vaccino si trovano biografie multiculturali, passioni, eccellenze, sogni, anche molte fissazioni, perché certi processi virtuosi, in particolare nelle scienze ma non solo, nascono da questo miscuglio di culture, di curiosità, di ossessioni.      

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Noubar Afeyan, cinquantottenne cofondatore e presidente di Moderna, l’azienda che sta sviluppando un vaccino anti Covid che sarà distribuito principalmente in America, è due volte immigrato. Nato in Libano da genitori armeni, è andato a vivere in Canada appena adolescente e dopo il college si è trasferito in America, ha preso un PhD al Mit in ingegneria biochimica e ha fondato la sua prima azienda a 24 anni. Stéphane Bancel, ceo di Moderna, è un immigrato francese, passato dall’École Centrale de Paris all’Università del Minnesota (chissà che choc culturale), dove ha studiato ingegneria chimica per poi arrivare alla scuola di business di Harvard. Tal Zaks, capo della divisione medica di Moderna, è arrivato in America dopo un PhD all’Università Ben Gurion in Israele, ha fatto ricerca ma anche formazione in ospedale. Marcello Damiani, capo del digitale e di un’unità che si chiama Eccellenza operativa (qualsiasi cosa sia dev’essere bello dire che si lavora lì), è francese, mentre Juan Andres, capo delle operazioni tecniche e dell’Ufficio qualità, è spagnolo. Guardando il team che sta lavorando allo sviluppo del vaccino si trovano biografie multiculturali, passioni, eccellenze, sogni, anche molte fissazioni, perché certi processi virtuosi, in particolare nelle scienze ma non solo, nascono da questo miscuglio di culture, di curiosità, di ossessioni.      

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Questa è una storia “straordinariamente americana”, ha scritto Forbes, raccontando Afeyan, Bancel, Zacks e gli altri, ma in realtà questa è una storia anche europea e molto mediterranea, non soltanto perché il punto di partenza è spesso affacciato sul nostro mare ma perché  in questa parte di mondo ci sono i fenomeni migratori più corposi e complessi – le camminate a piedi scalzi – e mentre l’Europa va a caccia di una sua autonomia, di una sua misura più vicina alle superpotenze globali, ci sono questi flussi di persone e di speranze e di eccellenze che si muovono e trasformano il volto del continente. Anche i fondatori di BioNTech, quei due super ricercatori innamorati da decenni l’uno dell’altro e della scienza, sono turchi, hanno fornito il principio allo sviluppo del vaccino di Pfzier, il cui ceo, un greco, ha intuito già qualche anno fa il potenziale degli studi di BioNTech.

 

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Quando raccontiamo queste storie molti rispondono che è proprio questa integrazione malriuscita e malvoluta ad aver scatenato quel che chiamiamo populismo, con le sue sfumature xenofobe. Ma come ha scritto qualche giorno fa Mattia Feltri nel suo Buongiorno, questa non è una storia americana o europea, è una storia universale “dei nostri tempi”, e chissà se ci regalerà anche il “vaccino ai pregiudizi”.

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