PUBBLICITÁ

due chiacchiere con lo scrittore Bryan Washington

Dentro le finestre di un condominio di Houston ci sono i confini dell’America

Francesca Pellas

A spasso nella città della Nasa, la città senza confine. Un incontro con lo scrittore di "Lot", che parla di etnie e margini. Tra le letture preferite di Obama

PUBBLICITÁ

Houston, Texas, è un grande mistero dentro un mistero più grande che è l’America. E’ la città della Nasa, il nome in bocca agli astronauti quando nei film parlano con la Terra dalle stazioni spaziali. La città del petrolio, con una downtown fatta di grattacieli che riverberano un sole implacabile, quel sole texano che di notte lascia il posto a distese di stelle impossibili da vedere altrove (c’è anche un detto, e racconta il vero: “The stars at night are big and bright, deep in the heart of Texas”, le stelle di notte sono grandi e luminose, nel cuore profondo del Texas).

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Houston, Texas, è un grande mistero dentro un mistero più grande che è l’America. E’ la città della Nasa, il nome in bocca agli astronauti quando nei film parlano con la Terra dalle stazioni spaziali. La città del petrolio, con una downtown fatta di grattacieli che riverberano un sole implacabile, quel sole texano che di notte lascia il posto a distese di stelle impossibili da vedere altrove (c’è anche un detto, e racconta il vero: “The stars at night are big and bright, deep in the heart of Texas”, le stelle di notte sono grandi e luminose, nel cuore profondo del Texas).

PUBBLICITÁ

 

E’ una città attraversata da piccoli corsi d’acqua paludosa chiamati bayou, e da qui prende uno dei suoi soprannomi: the Bayou City. Soprattutto, è una città senza un piano regolatore, e questo è forse l’elemento più importante per provare a capirla; a Houston mancano del tutto le “zoning laws”, ovvero quelle leggi che in urbanistica consentono “di suddividere il territorio di un comune in aree omogenee a cui viene riconosciuta una determinata funzione”. A Houston non ci sono zone commerciali, scolastiche, residenziali: esiste tutto insieme, sovrapposto, senza confini. Proprio per questo, poiché non esistono confini, il vero confine è dappertutto. Quello tra bianchi e neri, tra neri e ispanici, tra poveri e ricchi, tra etero e gay. Ed esattamente per questo, un giovane scrittore di Houston di nome Bryan Washington (nato nel 1993 e già apparso sul New Yorker e la Paris Review) compie nel suo libro d’esordio “Lot” quella che Luis Alberto Urrea sul New York Times definisce “una profonda esplorazione del vero significato di confine, scritto più che mai per questo momento storico e culturale”.

 

PUBBLICITÁ

“Lot”, in Italia grazie alla preziosa casa editrice indipendente Racconti edizioni (nella traduzione di Emanuele Giammarco), è una magnifica raccolta di racconti autoconclusivi eppure legati tutti da un filo, come in un romanzo più ampio che guarda dentro le finestre di un condominio di periferia, dentro vite che popolano la stessa topografia. Il libro negli Stati Uniti è stato un successo, candidato al National Book Award nella sezione under 35 e finalista al PEN, citato da Barack Obama tra le sue letture preferite del 2019.

 

Bryan Washington, nonostante sia giovanissimo, è già molto riconosciuto e stimato (cose che in America succedono). Afroamericano, nato in Kentucky ma cresciuto a Houston, ha fatto della città la sua ispirazione costante: non sarebbe infatti sbagliato dire che è proprio Houston il personaggio principale di questa raccolta. “Ho iniziato a scrivere ‘Lot’ nel 2016, con l’obiettivo di tenere traccia della geografia della mia città”, racconta al Foglio a pochi giorni dall’uscita americana del suo nuovo libro, il romanzo “Memorial” (Riverhead). “Provando a renderla nero su bianco, le molteplici diversità del suo tessuto sociale – a livello etnico, finanziario, religioso – sono saltate tutte fuori, perché le avevo dentro, addosso. L’anima multiforme di Houston era una cosa che, essendo cresciuto lì, davo per scontata. Ma sarei una persona molto diversa se fossi cresciuto altrove”.

 

Gli chiedo allora dei confini, se siano diversi a seconda delle persone che hanno davanti, e quali abbia sperimentato lui nella sua vita. “Esistono confini che per alcuni sono quasi impenetrabili e per altri praticamente invisibili. La ricchezza in questo gioca un ruolo importante, purtroppo”, risponde. “Io ne ho sperimentati molti; alcuni si sono poi rivelati più permeabili di altri, ma c’è da dire che ho anche goduto di enormi privilegi: sono in salute, ho un lavoro, e sono un uomo cis, vale a dire che mi identifico nel mio genere. La pandemia sta aggravando giorno dopo giorno le disuguaglianze e le discriminazioni”. Parliamo delle proteste che si sono scatenate dopo l’uccisione di George Floyd, che ormai sembrano successe molto tempo fa anche se in realtà si tratta solo di pochi mesi. Forse, riflettiamo, paiono lontane perché in mezzo è successo di tutto: ci sono state le elezioni, la vittoria di Joe Biden e Kamala Harris, Trump trincerato dietro al rifiuto della sconfitta. In larga parte, questa vittoria democratica si deve proprio al voto dei cittadini afroamericani. “Sì, per fortuna. Anche se negli Stati Uniti l’etnia sarà sempre un elemento chiave del discorso: in politica ma anche in tutto il resto, compresa la letteratura. Se poi in politica porterà a cambiamenti positivi, come in questo caso, allora c’è solo da esserne felici”.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Arriviamo a parlare di Nicolás, che nel libro è il personaggio più importante oltre alla città: un ragazzo di madre afroamericana e padre latinoamericano, che rappresenta quindi in un colpo solo due delle cosiddette minoranze: “Se si scrive una storia ambientata in America, a muovere il racconto è sempre l’etnia, in modo esplicito o implicito. Nicolás è un ‘prodotto’ di questa città, una sua espressione all’ennesima potenza. Ed è gay, perciò vive su un confine ulteriore”.

 

PUBBLICITÁ

L’etnia, l’orientamento sessuale, la ricchezza o la povertà: confini invisibili eppure reali, che spesso decidono le sorti di una vita, specie negli Stati Uniti. Con Washington concordiamo sul fatto che sovente anche in letteratura, se un personaggio è povero, la sua povertà diventi la caratteristica che lo definisce, come se la sua persona non contenesse altro. Lui in “Lot” fa un ottimo lavoro nel chiarire che anche gli individui cosiddetti “ai margini” hanno una voce e una vita, e che nessuna delle due è racchiusa solo nel fatto di essere poveri: condizionata sì, ma c’è anche molto altro, perché c’è sempre altro in ogni esistenza. “Ho sempre saputo che erano queste le storie che volevo scrivere: mi interessa raccontare le comunità che so di poter raccontare al meglio, che poi sono quelle che conosco”, spiega. “Ecco perché molto spesso i miei personaggi sono omosessuali, e vengono da comunità storicamente ai margini. Quello che non mi interessa però è porre questo elemento al centro della storia. Può essere il punto di partenza, ma poi c’è tutto il resto, che è la somma dei molteplici elementi che compongono ogni vita, dalle delusioni, alle felicità momentanee, all’amore”.

 

Le ex prostitute che leggono Calvino, le cucine roventi dei ristoranti piene dei clandestini che popolano e mandano avanti la ristorazione americana, i giovani prostituti maschi che vivono insieme e si proteggono a vicenda, e poi Nicolás, sempre Nicolás, deluso da tutti, che cerca l’amore e al tempo stesso ne ha paura e fugge via, o forse no. Proprio l’amore è difficile da trovare qui dentro, nel senso che quando c’è è doloroso, o destinato a finire (a volte con un omicidio, come nel racconto “Alief”), o è qualcosa che uno deve convincersi di poter meritare (come Poke nel racconto “Waugh”). Non posso perciò non chiedere a Washington che cosa sia l’amore per lui. “Un’entità sempre in movimento e in evoluzione”, risponde. “Una cosa senza limiti”. Come Houston. “Non ci avevo pensato”, dice. “Ma è esattamente così”.

 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ