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"La liberté avant tout”

Le battaglie di Richard Malka

“Dov’è la Ligue des droits de l’homme? Dov’è il collettivo #NousToutes? Una ragazza di 17 anni, lesbica, è in pericolo per aver criticato la religione. Cosa deve accadere ancora per avere una reazione da parte loro?”

Mauro Zanon

Considerato il “il campione della libertà d’espressione” nel foro parigino, è l'avvocato storico di Charlie Hebdo e oggi difende Mila, la studentessa minacciata per aver detto su Instagram che "nel Corano c'è solo odio"

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Parigi. Come sta Mila? “Beh, potete immaginarlo. La sua vita è stata stravolta. Vive come i giornalisti di Charlie Hebdo ora: bunkerizzata. È una situazione insopportabile”. Richard Malka, avvocato storico di Charlie, non ci ha pensato due volte quando lo scorso gennaio è venuto a conoscenza della vicenda di Mila, studentessa  di 17 anni  minacciata di morte e di stupro per aver detto su Instagram che “nel Corano c’è solo odio”: ha scritto una lettera aperta sul Journal du dimanche in difesa della “libertà di blasfemia” e si è incaricato della difesa legale dell’adolescente originaria dell’Isère. “Dov’è la Ligue des droits de l’homme? Dov’è il collettivo #NousToutes? Una ragazza di 17 anni, lesbica, è minacciata di morte per aver criticato la religione. Cosa deve accadere ancora per avere una reazione da parte loro?”, ha detto al Point Malka, denunciando il silenzio assordante delle associazioni che dovrebbero essere in prima linea nella difesa della libertà d’espressione e invece si autocensurano per paura di essere tacciate di islamofobia. Domenica scorsa, Mila ha pubblicato su TikTok un nuovo video in cui critica l’islam, e in poche ore è diventata il bersaglio di una violenta campagna di cyberodio islamista, tale da spingere la procura di Vienne (Isère) ad aprire un’inchiesta per “minacce di morte”.

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Parigi. Come sta Mila? “Beh, potete immaginarlo. La sua vita è stata stravolta. Vive come i giornalisti di Charlie Hebdo ora: bunkerizzata. È una situazione insopportabile”. Richard Malka, avvocato storico di Charlie, non ci ha pensato due volte quando lo scorso gennaio è venuto a conoscenza della vicenda di Mila, studentessa  di 17 anni  minacciata di morte e di stupro per aver detto su Instagram che “nel Corano c’è solo odio”: ha scritto una lettera aperta sul Journal du dimanche in difesa della “libertà di blasfemia” e si è incaricato della difesa legale dell’adolescente originaria dell’Isère. “Dov’è la Ligue des droits de l’homme? Dov’è il collettivo #NousToutes? Una ragazza di 17 anni, lesbica, è minacciata di morte per aver criticato la religione. Cosa deve accadere ancora per avere una reazione da parte loro?”, ha detto al Point Malka, denunciando il silenzio assordante delle associazioni che dovrebbero essere in prima linea nella difesa della libertà d’espressione e invece si autocensurano per paura di essere tacciate di islamofobia. Domenica scorsa, Mila ha pubblicato su TikTok un nuovo video in cui critica l’islam, e in poche ore è diventata il bersaglio di una violenta campagna di cyberodio islamista, tale da spingere la procura di Vienne (Isère) ad aprire un’inchiesta per “minacce di morte”.

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“Sembra ci sia una nuova moda: minacciare di fare la stessa cosa che è accaduta a Samuel Paty. Sono queste le minacce che riceve, con immagini di teste decapitate”, ha dichiarato lunedì Richard Malka. Anche lui, figlio di ebrei sefarditi arrivati a Parigi dal Marocco – il padre era un sarto per signore, la madre casalinga – vive sotto scorta da parecchio tempo. “Tutto è iniziato l’8 gennaio 2015 e da allora non c’è stata pace. Aggravo regolarmente la mia situazione difendendo Mila o una ragazza che non viene lasciata salire in un autobus della Ratp (la società dei trasporti pubblici parigini, ndr) perché è maghrebina e porta una gonna sopra al ginocchio (…) Se si analizza ciò a freddo, ci si rende conto che è qualcosa di inverosimile. E lo è ancor di più perché sotto scorta ci sono anche dei pacifici vignettisti, dei caricaturisti inoffensivi, ma tutti sembrano essersi abituati. Del resto era ciò che si cercava: instaurare una nuova normalità, la paura e il silenzio per il terrore delle conseguenze dell’irriverenza”, ha detto al Point a fine agosto, alla vigilia del maxi processo degli attentati di Charlie Hebdo e dell’Hyper Cacher, attaccando duramente “i complici intellettuali” dei fratelli Kouachi e di Amedy Coulibaly. Richard Malka è considerato “il campione della libertà d’espressione” nel foro parigino, una medaglia che si è conquistato in trent’anni di arringhe in difesa della laicità, del diritto di satira e della libertà di blasfemia. Nel 2010, ha difeso con successo l’asilo Baby Loup di Chanteloup-Les-Vignes, attaccato per aver licenziato una dipendente musulmana che aveva iniziato a indossare il velo violando le regole interne sulla neutralità religiosa. Nel 2012, ha tutelato la libertà d’espressione delle due scrittrici Caroline Fourest e Fiammetta Venner, trascinate in tribunale dal Front national e da Le Pen padre e figlia per la biografia “Marine Le Pen” (Grasset). Nel 2016, è stato il legale di Mohamed Louizi, autore del libro “Pourquoi j’ai quitté les Frères musulmans” perseguito dall’Union des organisations islamiques de France, e ha ottenuto la sua assoluzione da parte del tribunale di Nanterre. E nel 2019, ha fatto assolvere la giornalista Isabelle Kersimon, accusata di diffamazione per aver messo in dubbio l’affidabilità delle statistiche del Collectif contre l’islamophobie en France (collettivo che l’attuale ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha definito “un’officina islamista” dopo anni di ipocrisie gosciste, ed è pronto a dissolvere). 

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Ma è per Charlie Hebdo che questo avvocato e autore di fumetti si è conquistato un posto di primo piano tra i grandi tenori del barreau di Parigi. “Charb era il mio miglior amico”, e Charlie, prima dell’attentato jihadista del 7 gennaio 2015, “era una famiglia gioiosa”, dice Malka. Ed è una storia, quella che coinvolge il settimanale satirico, identica all’affaire Mila, secondo l’avvocato parigino. “La storia di Mila è uguale a quella di Charlie Hebdo, o comunque lo è da un punto di visto politico e giuridico, perché fortunatamente le conseguenze non sono le stesse. Sì, la sua è una blasfemia, critica una credenza con parole volgari e ritiene a giusto titolo di essere libera di farlo. Negarle questo diritto significherebbe distruggere l’intera architettura delle nostre libertà”, spiega Malka. Quando gli chiedono qual è il suo motto, lui risponde così: “La liberté avant tout”. La libertà prima di tutto. 

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