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Due presidenti in una settimana. Perché il Perù è ingovernabile

Cecilia Sala

Il presidente Vizcarra destituito dal Congresso, Manuel Merino che si dimette dopo cinque giorni: il Perù è entrato in una crisi istituzionale senza precedenti, che si somma a quella pandemica e a quella economica. Le proteste e i morti per le strade

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Il Parlamento peruviano si appresta a designare un nuovo capo di stato, il quarto in due anni, il secondo nel giro di una settimana, e dopo che tra il 10 e il 15 di novembre hanno lasciato l’incarico ben due presidenti. Il paese è entrato in una crisi istituzionale senza precedenti, che si somma a quella pandemica e a quella economica. Certo, l’instabilità politica non è una novità in Perù, ma un presidente destituito e uno costretto a dare “dimissioni irrevocabili” nell’arco di una manciata di giorni sono un record anche lì, dove da anni i vertici delle istituzioni di diversi schieramenti e colori politici cadono come le foglie in autunno sotto i colpi delle inchieste per corruzione.

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Il Parlamento peruviano si appresta a designare un nuovo capo di stato, il quarto in due anni, il secondo nel giro di una settimana, e dopo che tra il 10 e il 15 di novembre hanno lasciato l’incarico ben due presidenti. Il paese è entrato in una crisi istituzionale senza precedenti, che si somma a quella pandemica e a quella economica. Certo, l’instabilità politica non è una novità in Perù, ma un presidente destituito e uno costretto a dare “dimissioni irrevocabili” nell’arco di una manciata di giorni sono un record anche lì, dove da anni i vertici delle istituzioni di diversi schieramenti e colori politici cadono come le foglie in autunno sotto i colpi delle inchieste per corruzione.

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Un presidente messo in stato di accusa, un presidente in carcere o in esilio: sarebbe un trauma per qualsiasi democrazia, e nella storia recente del paese sudamericano si sono verificate tutte queste circostanze contemporaneamente, e non solo. Gli ex presidenti peruviani indagati per corruzione sono sei, uno è detenuto, uno è scappato dal paese, un altro, Alan Garcia Peres, si è suicidato per la paura, le accuse, gli interrogatori (l’“aperturista” Garcia che era stato un grande amico del Partito socialista italiano e di Bettino Craxi). Sei giorni fa anche il penultimo presidente peruviano Martín Vizcarra è stato destituito per via di un’indagine per corruzione: i fatti risalgono ai tempi in cui era governatore della provincia meridionale di Moquegua.

 

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“Indegnità morale” è la motivazione fornita dal Congresso, il Parlamento unicamerale che lo ha destituito al termine di una procedura di messa in stato di accusa. La decisione è stata presa a larga maggioranza, votata da 105 deputati su 130, la ragione addotta recita che il Parlamento attribuisce a Vizcarra una “incapacità morale permanente”. Mario Vargas Llosa, peruviano, liberale, Premio nobel per la Letteratura ed ex candidato alla presidenza del Perù, ha rilasciato un’intervista al quotidiano El Comercio: nel processo di destituzione del presidente Martín Vizcarra il Congresso “ha violato la Costituzione”, dice. Vargas Llosa aggiunge: “Credo si tratti di un fatto deplorevole, come hanno segnalato molti giuristi peruviani, fra cui l’ex premier Pedro Cateriano, il quale ha bollato il comportamento del Congresso come quello di chi mette in atto un autentico colpo di stato".

 

 

Con Vizcarra fuori dal palazzo presidenziale, era stato nominato al suo posto Manuel Merino, la cui presidenza – la più breve della storia: soli cinque giorni – si è subito inabissata sotto il rimbombo del cacerolazo, le proteste spontanee tipiche dell’America Latina, quelle in cui, dalle finestre, i cittadini iniziano a battere con il mestolo sulle pentole. E sotto quello degli scontri di piazza. Con l’inizio delle proteste il 10 novembre, Merino aveva garantito che sarebbe rimasto al potere solo fino alle elezioni previste per il prossimo aprile, ma la rassicurazione si era rivelata insufficiente.

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La notizia di due studenti, Jack Pintado (ventidue anni) e Jordan Sotelo (ventiquattro anni), uccisi dalle forze dell’ordine durante una manifestazione pacifica, cui ha fatto seguito la notizia delle dimissioni di tredici ministri del governo (che continueranno a mantenere i rispettivi incarichi fino a quando l’attuale incertezza non sarà superata), lo ha costretto a rassegnare dimissioni “irrevocabili” domenica. Le proteste non erano soltanto contro il neo presidente Merino, ma erano anche contro di lui, terminale di un sistema istituzionale considerato fallimentare, di un paese che appare ogni giorno più ingovernabile per qualsiasi schieramento politico.

 

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La transizione sembra impossibile, Lima continua a protestare, le università restano chiuse in segno di lutto e in segno di protesta, si contano cento feriti e, secondo la Rete per i diritti umani peruviani, quarantuno dispersi, probabilmente arrestati senza che ne sia stata data comunicazione. Dal 2019 l’America Latina ci ha abituati a imponenti proteste, in Venezuela, in Colombia, in Ecuador, in Bolivia, in Cile, questo è il momento del Perù. Il “continente inquieto” non si smentisce mai.

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