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Sull'unità e il dialogo

Quell'abbraccio scandaloso

L’amicizia con John McCain è il manifesto dell’unità e del dialogo lanciato dal presidente eletto Joe Biden. Da qui riparte la ricerca dell’anima americana, con le ragazze più radicali del Partito democratico che dicono: con un repubblicano mai nella vita

Paola Peduzzi

Nel dramma dell’Arizona (vinta da Biden) che ha fatto impazzire i trumpiani c’è la sintesi di questo abbraccio indispensabile. “Eravamo come fratelli cresciuti da padri diversi”, ha detto Biden ricordando i valori condivisi del “codice McCain” senza tempo

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Quando le due Americhe si abbracciano possono succedere cose incredibili, contaminazioni che sembrano impossibili se stiamo barricati nei nostri recinti ideologici, o semplicemente cose belle, promettenti, durature come l’amicizia tra Joe Biden e John McCain.

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Quando le due Americhe si abbracciano possono succedere cose incredibili, contaminazioni che sembrano impossibili se stiamo barricati nei nostri recinti ideologici, o semplicemente cose belle, promettenti, durature come l’amicizia tra Joe Biden e John McCain.

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“Eravamo come fratelli cresciuti da padri diversi”, ha detto il presidente eletto nel 2018, ricordando l’ex senatore dell’Arizona scomparso nell’agosto di quell’anno. “Mi aveva detto di andare all’inferno e uscire dal ticket con Barack Obama alle elezioni del 2008”, ha ricordato Biden ridendo,  assieme a tanti altri aneddoti personali e politici che hanno scandito quest’amicizia bipartisan durata più di trent’anni, in salute e in malattia. Al funerale di McCain, Biden ha raccontato questa fratellanza, i tabù mai violati – McCain non parlava della sua prigionia e delle torture subite in Vietnam, Biden non parlava dell’incidente in cui era morta la sua prima moglie e la figlia di un anno – e le discussioni fino a tarda ora, mentre giravano il mondo assieme, negli anni Ottanta, qualche anno di differenza, due storie diversissime, una fiducia granitica e condivisa nel potenziale americano. “Eravamo entrambi ottimisti strampalati ed eravamo convinti che non esistesse nulla, e intendo nulla, nemmeno una cosa, al di fuori della portata del nostro paese”, ha detto Biden al funerale, tratteggiando le due Americhe politiche, la sua democratica, quella di McCain repubblicana, tenute insieme da “valori semplici, l’equità, l’onestà, la dignità, il rispetto, nessun posto per l’odio, nessuno uomo lasciato indietro, la consapevolezza del fatto che gli americani erano e sono parte di qualcosa di ben più grande dei singoli individui”. Biden diceva che questo era il “codice McCain”, lo chiamava proprio così, un codice che si è rivelato senza età e senza partito: un codice americano.

 

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John McCain – l’eroe di guerra deriso da Donald Trump che preferisce “chi non si fa catturare”,  il candidato alla presidenza americana che, dopo aver fatto una serie di stupidate tattiche conclamate durante la campagna elettorale del 2008, era andato in tv a dire: “I screwed up”, ho fatto una cazzata, con una naturalezza e gentilezza che oggi sembrano di un altro pianeta – era dell’Arizona. L’Arizona dei tormenti di queste elezioni 2020, l’Arizona assegnata prematuramente a Biden nella notte tra il 3 e il 4 novembre, con conseguente crollo emotivo di Trump&Co e telefonate impazzite come-è-stato-possibile? (Fox News, l’amatissima Fox News, aveva assegnato l’Arizona a Biden: se Trump si è messo a twittare furioso contro l’emittente di Murdoch, se ritwitta chi dice che Fox è morta, meglio Newsmax e Oann, è per quell’assegnazione imperdonabile). L’Arizona che ha votato per il presidente eletto, pure se non si concedeva a un candidato democratico dai tempi di Bill Clinton e per cercarne un altro bisogna tornare indietro fino al 1948. L’Arizona che con McCain aveva già registrato il senso di indecenza del trumpismo, e così oggi anche i due senatori dell’Arizona sono democratici. L’Arizona in cui gli ispanici, che altrove, come in Florida e in Texas, hanno preferito i repubblicani, hanno votato Biden in gran numero e ai giornalisti hanno raccontato di aver scelto “l’alternativa solida e centrista” a Trump anche per ricordare il loro eroe McCain, “se l’attuale presidente avesse mostrato un po’ di decenza e di buon senso” riguardo a McCain, forse sarebbe riuscito a tenersi l’Arizona. L’Arizona di Megan McCain, la figlia del senatore, che su Twitter ha detto: scusatemi, ma non so resistere, e ha postato un meme con la foto di suo padre e la frase “Detesto chi perde l’Arizona”.


La vittoria in questo stato ex roccaforte dei repubblicani e il “codice McCain” sono il manifesto dell’unità che Biden propone come primo cantiere della sua transizione.  L’abbraccio indispensabile per iniziare quel processo di guarigione che promette il nuovo presidente eletto. L’abbraccio da cui tutto riparte. Biden vuole trovare e riscoprire e rimostrare l’anima della nazione, come l’ha chiamata nel primo discorso dopo l’annuncio ufficiale della vittoria. “Mi rivolgo a chi ha votato il presidente Trump – ha detto Biden – Comprendo la vostra delusione, ho perso anche io un paio di elezioni. Ma ora diamoci una possibilità, mettiamo da parte le parole ruvide, abbassiamo la temperatura, riconosciamoci di nuovo, ascoltiamoci di nuovo: non siamo nemici, siamo americani”. Questo è il ritornello che abbiamo sentito e sentiremo in queste settimane, che Trump faccia il discorso di concessione della vittoria o no, che Trump lasci fare la transizione o no: Biden ha deciso che non gli importa che cosa fa il presidente, fa come se fosse tutto a posto e deciso. E’ quel che ha fatto anche in campagna elettorale e molti pensavano che fosse un errore, che il trumpismo si combatte e si batte rispondendo colpo su colpo alle provocazioni. Biden no, Biden ha detto fin dalla mattina del 4 novembre: la guerra è finita, lasciate stare, è finita, e credo che l’abbiamo vinta.


E’ presto per dire come si assesterà questa urgenza di pace e  di unità, quanto voglia di abbracciarsi resterà dopo il pericolo scampato. Helen Lewis ha scritto un articolo sull’Atlantic in cui pone una questione non banale: “Quando sei abituato a combattere dei nemici, come fai a tornare ad avere semplici oppositori?”. La Lewis, che lavora a Londra ed è immersa nelle guerre e guerricciole inglesi, dice che sul trumpismo ci metteremo d’accordo, capiremo quanto dura e fino a dove arrivano le sue radici, ma che ne sarà degli anti Trump? “Per più di mille giorni, Trump ha catalizzato l’attenzione del mondo intero. Ha generato paure e furore, è stato estenuante ma ha creato anche una dipendenza ed è difficile immaginare che gli americani vadano in crisi di astinenza” in breve tempo, una volta che hai messo in campo tali e tante emozioni è una fatica tornare indietro. Detto in altri termini: come li tieni insieme, gli anti Trump senza Trump? Risposta: forse non ce la fai.

 

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Il “codice McCain”, per quanto nella sostanza condiviso, sarà la forza e la debolezza di Biden. Perché il dialogo con il nemico che non è più nemico rimette in discussione l’alleanza interna agli antitrumpiani e al Partito democratico, fa crollare la tregua raggiunta in campagna elettorale, riporta a galla quell’insofferenza presentissima durante le primarie democratiche nei confronti dei moderati, dell’establishment, dei centristi, fa venir voglia di voltarsi le spalle, altro che abbracci e rimpatriate. I segnali ci sono già tutti. L’ala più radicale del partito dice: Biden ha vinto grazie a noi, con la sua campagna dal seminterrato non ci sarebbe stata questa affluenza da record e questa mobilitazione che ha portato a spostare margini a volte piccini di elettorato dal rosso al blu. “Gli unici indecisi che mi interessano sono tra chi non vota e chi vota”, aveva detto  Alexandria Ocasio-Cortez, il volto nuovo del partito, quello più a sinistra, più giovane, più tribale, che ora presenta il conto ai moderati e anche a Biden: se pensate di voler abbracciare i repubblicani, se pensate che sia il “codice McCain” a tenerci uniti, se pensate che io possa mai abbracciare un repubblicano nella vita, avete sbagliato a capire.

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I moderati rispondono, come ha fatto il deputato Hakeem Jeffries: “Vogliamo vincere, vogliamo governare o vogliamo essere delle star di internet?”. O come ha fatto la deputata Abigail Spanberger: “Non dobbiamo usare il termine ‘socialismo’ o ‘socialista’ mai più”. Le dichiarazioni sono trapelate sui giornali, perché questa faida non si terrà nei seminterrati o nelle chat private: la vivremo in diretta, molti vogliono che sia alla luce del sole (maledetta trasparenza) perché soltanto così si potranno riconoscere schieramenti e proposte, il nuovo e il vecchio, il traino della sinistra americana e l’eventuale minoranza. Vinca il migliore, ma che il pubblico guardi e giudichi e scelga.

 

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Per comprendere meglio cosa è accaduto poi non bisogna tanto guardare a Biden e alla contesa presidenziale – dove ha vinto, dicono gli esperti, la persuasione: Biden ha convinto molti elettori di Trump a votare per lui, come voleva la strategia originaria che non è più cambiata durante la campagna elettorale – quanto al Congresso, dove i democratici hanno perso dei seggi (i dati non sono ancora tutti definitivi, ma sono una decina). Queste sconfitte  pesano più di tutte, perché raccontano debolezze diverse e profonde, perché mostrano una forza inattesa dei repubblicani –  le candidate donna  – e perché non risolvono la grande questione che spezza i democratici americani e un po’ tutto l’occidente: si vince al centro o si vince agli estremi? Poi c’è ancora il Senato in bilico nella difficile Georgia e così, secondo molte fonti, il mandato del partito è: radicali state zitti, non è il vostro tempo, e per Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, gli esponenti di questa ala del partito, non ci saranno posti nell’Amministrazione. Si tratta di indiscrezioni, ovviamente, ma intanto la moglie di McCain, Cindy, che già aveva parlato alla convention dei democratici e aveva reinterpretato l’abbraccio delle due Americhe al posto del marito, e che ha ringraziato l’Arizona perché ha scelto Biden,  è già stata selezionata come membro del team di transizione. Non che la signora McCain abbia mai avuto un ruolo politico in proprio: qui ci si muove per simboli e ispirazioni e abbracci.

Dall’altro campo la risposta non si è fatta attendere. A parte Ocasio-Cortez e le ragazze della Squad – “la sisterhood è così potente che il presidente degli Stati Uniti non riesce a levarsela dalla testa”, aveva scritto Ocasio-Cortez su Instagram postando una foto con Ayanna Pressley, Rashida Tlaib e Ilhan Omar, le compagne della squadra: si rivolgeva a Trump, ma il messaggio vale anche per il nuovo presidente, probabilmente – bisogna seguire quel che dicono i Justice Democrats, il gruppo che ha scoperto e fatto eleggere Ocasio-Cortez, che ha portato alla vittoria, a queste elezioni, Jamaal Bowman a New York e Cori Bush a Saint Louis, Missouri. I Justice Democrats hanno pubblicato la loro lista dei desideri per la prossima Amministrazione, che parte con l« creazione di un ufficio alla Casa Bianca dedicato al cambiamento climatico: ci sono Sanders (al dipartimento del Lavoro) e la Warren (al Tesoro), ricorre il nome del deputato californiano Ro Khanna che ha fatto campagna senza prendere soldi dai Pac, e ovviamente non ci sono nomi repubblicani (ma nemmeno centristi). Hanno anche fatto circolare un documento in cui si denunciano tutti i distretti in cui i candidati democratici hanno usato lo stesso schema “razzista” dei repubblicani.  E danno risonanza alle parole dell’ala più radicale, come quella di Bowman che dice: ci sono molte critiche nei nostri confronti perché “siamo neri, ispanici, indigeni, poveri”. Alla domanda di unità e di centrismo di Biden, i Justice Democrats rispondono con una politica identitaria ancora più sfacciata, e considerano scandaloso se non addirittura contro natura l’abbraccio tra Biden e McCain, simbolo della politica del dialogo cui il presidente eletto vuole educare tutto il paese.

 

Alcuni si appigliano a Kamala Harris, che parla di politiche molto progressiste e che sembra quindi destinata a dare voce alle istanze più radicali. Ma piano: la Harris è clintoniana, ha ottimi rapporti con le aziende del big tech della sua California, è stata un procuratore tostissimo e per niente prono alle politiche identitarie, era scoppiata a ridere in faccia alla giornalista di “60 Minutes” che le aveva chiesto se fosse socialista, non ha insomma i requisiti  che soddisfano l’identikit del democratico perfetto secondo i Justice Democrats (e comunque la progressivissima California ha votato contro la reintroduzione dell’affirmative action e contro la trasformazione dei rider in dipendenti).


Sarebbe quasi meglio che reggesse la tregua, almeno per un altro po’, perché l’urgenza dell’unità si placa oggi con tanti più abbracci possiamo immaginare. Abbracci fraterni, abbracci prevedibili, abbracci scandalosi, abbracci rivelatori: se cerchi l’anima dell’America, questo è il tuo tesoro.

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