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La tela della democrazia

Giuliano Ferrara

Biden e i fatti alternativi. Le reazioni alla nuova America mostrano il volto cupo di una deriva non più invincibile

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La democrazia si salva dagli uomini forti con la tela di ragno. Bolsonaro e Putin, a parte la grottesca comparsa che è il senatore Salvini, sono rimasti isolati, riluttanti e neghittosi, frustrati e pensosi, nel rifiuto di ammettere, con un gesto di congratulazioni al presidente eletto Biden, la transizione istituzionale da un inquilino all’altro della Casa Bianca. I cinesi, che hanno una scuola diplomatica plurimillenaria, come il Papa d’altronde, si sono congratulati con un modesto ritardo, commerce oblige. Inoltre Bolsonaro e Putin detestano le democrazie liberali, a Pechino nella Città proibita non sanno bene nemmeno di che cosa si tratti.

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La democrazia si salva dagli uomini forti con la tela di ragno. Bolsonaro e Putin, a parte la grottesca comparsa che è il senatore Salvini, sono rimasti isolati, riluttanti e neghittosi, frustrati e pensosi, nel rifiuto di ammettere, con un gesto di congratulazioni al presidente eletto Biden, la transizione istituzionale da un inquilino all’altro della Casa Bianca. I cinesi, che hanno una scuola diplomatica plurimillenaria, come il Papa d’altronde, si sono congratulati con un modesto ritardo, commerce oblige. Inoltre Bolsonaro e Putin detestano le democrazie liberali, a Pechino nella Città proibita non sanno bene nemmeno di che cosa si tratti.

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Gli europei, goccia a goccia, hanno invece scavato da subito la lapide della transizione con i loro gesti di apertura al fatto non alternativo, l’avvenuta elezione del candidato opposto al presidente uscente. Della tela fa parte la decisione di Boris Johnson, un altro che ha telefonato a tempo gli ossequi al protettore dell’Irlanda Biden, di sciogliere la “Leave vote gang”, il gruppazzo di pressione influente a Downing Street sotto il coordinamento di Dominic Cunnings, il vero inventore con la Brexit dura e pura  della strategia comunicativa degli alternative facts. Due donne con la testa sulle spalle, la compagna di BoJo Carrie Symonds e Allegra Stratton, vanno al posto di una banda di machos che aveva puntato tutto sulla rottura e l’inceppamento dei caratteri tradizionali del potere britannico, in parallelo con l’esibizionismo decisionista e maniacale di Trump.

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Cominciano a tessere la loro tela, quella in questo caso più importante, governatori e senatori repubblicani che chiedono di ammettere ai briefing sulla sicurezza il presidente eletto, accennano all’opportunità di guardare avanti, di uscire di scena con grazia e dignità. La tremenda Fox News e il giornalismo tabloid di Rupert Murdoch distillano sottili veleni contro il vecchio idolo dei loro spettatori e lettori. Anche l’esercito americano fronteggia con cautela le purghe di fine regno, ma emette segnali sicuri, sottotono, di lealismo alla costituzione più che alla leadership personale o al potere pro tempore. Biden, che saggiamente non aveva dato peso alle smargiassate, ai toni di intimidazione impliciti nel rifiuto di concedere la eventuale sconfitta borbottati da Trump in campagna elettorale, ora che ha in pugno la vittoria gestisce le cose con delicatezza, si dice imbarazzato dal comportamento dell’avversario, nulla di meno e nulla di più.

   
C’è del metodo in questa saggezza della democrazia incorporata dalle relazioni interne e internazionali, da quel che comunque sopravvive della vita dei partiti e delle classi dirigenti. Il decisionismo è una risorsa rilevante nei sistemi multipartitici, nelle democrazie parlamentari, dovunque nelle repubbliche debba contare sopra ogni altra cosa il funzionamento di istituzioni garantite da consenso e principio dell’autogoverno, ma quando venga impugnato come un nodoso bastone o come una cupa minaccia populista, il decisionismo messo in scena da personalità autoritarie si affronta con l’opposta risorsa della gradualità, dell’esprit de finesse, dell’ironia e perfino di una certa amabilità di modi. È una lezione generale.

 

L’Italia è uscita dalla crisi del Papeete, con tutto quello che di minaccioso e di burlesco conteneva e esprimeva, a forza di piccoli passi nella giusta direzione. Viviamo in un periodo turbolento e affannato, è il gesto o la gesticolazione a dominare, in apparenza, poi c’è la confortante sostanza del negoziato, della mediazione, del sapere politico depositato nei corposi archivi non ancora distrutti o incendiati dalla vociferazione. La liquidazione dei fatti e la ricerca di alternative ai fatti sono sport alla moda, non una invincibile deriva.

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