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Trump stravolge il Pentagono e vuole decisioni senza ritorno. Vedi: Afghanistan

Daniele Ranieri

Se l'Amministrazione procede a un ritiro improvviso e totale da Kabul e dalla Siria mette in difficoltà il successore Biden

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Il presidente americano, Donald Trump, ha eliminato i vertici del Pentagono quattro giorni fa – a cominciare dal segretario alla Difesa Mark Esper – e li ha sostituiti con alcuni ufficiali dalla reputazione pessima e ora ci si chiede se non lo abbia fatto perché vuole ordinare un ritiro accelerato e totale dall’Afghanistan, invece che un ritiro graduale e legato alle condizioni sul campo – come previsto dagli accordi con i talebani. Entro novembre secondo la tabella di marcia il numero di soldati americani in Afghanistan scenderà a 4.500, poi a gennaio dovrebbe scendere a 2.500 e infine a zero nel maggio dell’anno prossimo. Ma la tabella di marcia dice che questa riduzione deve andare d’accordo con quello che succede nel paese, dove la violenza è in aumento e non soltanto i talebani sono in piena offensiva contro il governo ma ci sono anche attacchi dello Stato islamico. Lunedì scorso, mentre a Vienna un attentatore uccideva quattro persone, due stragisti dello Stato islamico sono entrati all’università della capitale Kabul e hanno lanciato granate su studenti e professori – ventidue morti e decine di feriti. La settimana prima lo Stato islamico aveva attaccato un centro per studenti sempre a Kabul e aveva ucciso 24 persone. I comandanti americani in Afghanistan dicono che non ci sono ancora le condizioni per il ritiro totale. 

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Il presidente americano, Donald Trump, ha eliminato i vertici del Pentagono quattro giorni fa – a cominciare dal segretario alla Difesa Mark Esper – e li ha sostituiti con alcuni ufficiali dalla reputazione pessima e ora ci si chiede se non lo abbia fatto perché vuole ordinare un ritiro accelerato e totale dall’Afghanistan, invece che un ritiro graduale e legato alle condizioni sul campo – come previsto dagli accordi con i talebani. Entro novembre secondo la tabella di marcia il numero di soldati americani in Afghanistan scenderà a 4.500, poi a gennaio dovrebbe scendere a 2.500 e infine a zero nel maggio dell’anno prossimo. Ma la tabella di marcia dice che questa riduzione deve andare d’accordo con quello che succede nel paese, dove la violenza è in aumento e non soltanto i talebani sono in piena offensiva contro il governo ma ci sono anche attacchi dello Stato islamico. Lunedì scorso, mentre a Vienna un attentatore uccideva quattro persone, due stragisti dello Stato islamico sono entrati all’università della capitale Kabul e hanno lanciato granate su studenti e professori – ventidue morti e decine di feriti. La settimana prima lo Stato islamico aveva attaccato un centro per studenti sempre a Kabul e aveva ucciso 24 persone. I comandanti americani in Afghanistan dicono che non ci sono ancora le condizioni per il ritiro totale. 

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Trump ha piazzato cinque ufficiali considerati fedelissimi al Pentagono. Al posto del segretario Esper ha messo Christopher Miller, che avrà come consigliere speciale Douglas Macgregor, un colonnello in pensione che nel 2019 in un’intervista sulla Fox disse che il suo primo consiglio al presidente Trump sarebbe stato “lasciare l’Afghanistan il prima possibile”, rimuovere l’ambasciata americana da Kabul e non parlare con i talebani perché non è necessario. Macgregor sostiene anche che gli Stati Uniti devono subito ritirare i soldati dalla Siria, perché non hanno alcun interesse nazionale lì. Il colonnello è considerato un ospite sanguigno nei talk-show, dove chiede di sparare ai migranti e di ritirare i soldati anche dalla Corea del sud (dove ci sono molte basi militari americane come deterrente per la Corea del nord).

   

E’ possibile che Trump voglia mettere il suo successore Biden davanti al fatto compiuto. Se ritira tutti i soldati dall’Afghanistan entro Natale, come aveva promesso durante la campagna elettorale, rende molto difficile al prossimo presidente prendere decisioni che riguardano l’Afghanistan, perché una cosa è gestire un contingente che è già sul posto e ridurre o aumentare il numero dei soldati a seconda delle circostanze e un altro è mandare da zero dei soldati a Kabul. Questione di percezione, ma Trump ha spesso manipolato bene la percezione, soprattutto della sua base. Lo stesso vale per il contingente americano di meno di mille soldati che in questo momento è nelle zone curde della Siria orientale, a fare presenza in un’area infestata dallo Stato islamico – e desiderata dal regime del presidente siriano Bashar el Assad e dalla Turchia. Una volta che il presidente li riporta a casa, il presidente dopo diventa quello “che comincia la guerra”. E ancora, lo stesso vale per la supervendita di cinquanta bombardieri F-35 agli Emirati Arabi Uniti che l’Amministrazione Trump ha notificato martedì al Congresso. Se il trasferimento fosse reale, il medio oriente cambierebbe volto e forse non ci piacerebbe: erano i droni cinesi acquistati e manovrati dagli Emirati a bombardare Tripoli, davanti alle nostre coste, dieci mesi fa, figurarsi se lo facessero con gli F-35.

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Tra i nuovi arrivi al Pentagono c’è anche il generale in pensione Anthony J. Tata, che ha definito Barack Obama “un leader terrorista”. I giornali per descrivere questo subbuglio usano termini come “decapitation strike” e “lealisti” che di solito si usano per raccontare le guerre in medio oriente. La cacciata del segretario alla Difesa, Mark Esper, era scontata perché si oppose al presidente a giugno, quando si ipotizzava l’invio di truppe  nelle strade per fermare le proteste. Esper aveva dichiarato ai giornalisti che quell’opzione non era considerata e si era messo in aperta contraddizione con Trump. Potrebbe essere più di una vendetta stizzita e rappresentare il preludio a un’accelerata da parte del presidente, che in pubblico è sicuro del suo secondo mandato ma intanto mette nei guai il suo successore.

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