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E se Trump non se ne va?

Luciana Grosso

C’è chi ride, c’è chi si preoccupa pensando alle alternative di golpe del presidente uscente. Questo è lo scenario peggiore

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Da quattro giorni le parole “colpo di stato” hanno preso a fare capolino dove non erano mai state, ossia nelle pagine di politica interna dei giornali americani. C’è chi lo fa con preoccupazione: la Cnn, per esempio, titola sul suo sito: “Cresce la preoccupazione per Donald Trump che si comporta come un dittatore”. C’è chi lo fa con aperta derisione, come il Washington Post, che scrive: “Grazie a Dio Trump è troppo incompetente per organizzare un colpo di stato”. Ma anche se nessuno, a partire dal presidente eletto Joe Biden, sembra davvero preoccupato dalla protervia mistificatrice di Donald Trump, l’idea circola: sulle pagine dei giornali, su quelle dei social network, e nella testa di Trump. Certo è difficile che da lì esca: tutte le strade che si aprono davanti a Donald Trump finiscono nello stesso modo: con Joe Biden alla Casa Bianca.

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Da quattro giorni le parole “colpo di stato” hanno preso a fare capolino dove non erano mai state, ossia nelle pagine di politica interna dei giornali americani. C’è chi lo fa con preoccupazione: la Cnn, per esempio, titola sul suo sito: “Cresce la preoccupazione per Donald Trump che si comporta come un dittatore”. C’è chi lo fa con aperta derisione, come il Washington Post, che scrive: “Grazie a Dio Trump è troppo incompetente per organizzare un colpo di stato”. Ma anche se nessuno, a partire dal presidente eletto Joe Biden, sembra davvero preoccupato dalla protervia mistificatrice di Donald Trump, l’idea circola: sulle pagine dei giornali, su quelle dei social network, e nella testa di Trump. Certo è difficile che da lì esca: tutte le strade che si aprono davanti a Donald Trump finiscono nello stesso modo: con Joe Biden alla Casa Bianca.

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La prima strada passa per la richiesta di riconteggio dei voti. Si può fare, anzi, in alcuni casi (come in Georgia, dove lo prevedono le leggi dello stato) si deve fare. Man mano che i giorni passano, il divario tra i voti presi dai due candidati si fa più grande: al momento è di circa 200 mila voti su sette stati. Ammesso e non concesso che, a una seconda occhiata, qualche scheda sia cancellata e qualche altra validata, appare improbabile che le cose possano cambiare (il divario più stretto è in Arizona: 12 mila voti, quello più ampio in Michigan: 146 mila). La seconda strada consiste nell’imballare le corti statali di ricorsi e cause pendenti, molte delle quali senza speranza di andare da nessuna parte (ne sono state presentate, da sabato a oggi, circa 22, quasi tutte rigettate), se non alla terza strada possibile.

 

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La terza strada è quella di alterare gli equilibri dell’Electoral college, ossia l’assemblea dei grandi elettori che concretamente sceglie il presidente. L’idea di Trump e del suo avvocato Rudy Giuliani è di rendere, per via di cavilli, queste nomine così legalmente controverse da doverle sospendere, così da dover lasciare la scelta dei grandi elettori alle assemblee legislative dei singoli stati. Questo darebbe un grande vantaggio a Donald Trump perché, anche in stati con governatore democratico e in cui ha vinto Biden, come il Michigan o la Pennsylvania, le assemblee legislative, sono a maggioranza repubblicana. Il piano – che è lo scenario peggiore – sta in piedi solo sulla carta e nella pratica ha varie falle: la legge federale prevede che ogni controversia, non importa quanto grave e circostanziata (e quelle sollevate da Trump non lo sono), sia risolta entro l’8 dicembre e quindi in tempo per una pacifica e corretta nomina dei grandi elettori. Poi, ammesso che Donald Trump possa riuscire con qualche trucco legale a rosicchiare qualche grande elettore in più, per questi non c’è vincolo di mandato e, in teoria, ogni grande elettore può votare per chi meglio crede e non è per nulla scontato che votino secondo i desiderata di Trump e non secondo l’esplicito e raggirato mandato degli elettori. Si può fare certo, ma ci vogliono determinazione e coordinamento ai limiti del sistema che non sono del tutto scontati. Quindi nella realtà, delle cose, non c’è nulla di legale che Donald Trump possa fare per impedire che il prossimo 14 dicembre 538 grandi elettori si riuniscano e che almeno 270 di questi votino per Joe Biden. Ma questa è la realtà. E si sa, Donald Trump è un uomo che con la realtà ha un rapporto complicato. La nega, la manipola, la ignora, la distorce. E quando proprio non gli piace prova a cambiarla. Così, in questi giorni, è tutto un twittare e un negare. Un proibire all’ufficio che dovrebbe avviare la transizione di parlare con Joe Biden e di firmare l’inizio del passaggio di poteri (in realtà questo non è un problema poi così grave: anche nel 2000 la transizione iniziò a dicembre) e un preparare azioni governative per il 2021.

 

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