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Nella ridotta trumpiana

Perché i repubblicani non mollano Trump

Il presidente insiste: vinceremo! Il suo partito non lo abbandona. L'analisi di Anne Applebaum: il trumpismo ha creato un tesoretto che tornerà utile

Paola Peduzzi

Anche se Trump sarà costretto dai fatti a fare un rabbioso discorso di concessione, “è nell’interesse del presidente e del Partito repubblicano mantenere la finzione dell’elezione rubata. Perché questa base che non ha fiducia nella democrazia può essere ancora molto utile nei prossimi anni”, sostiene Applebaum

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“Vinceremo”, continua a ripetere Donald Trump, “stiamo facendo grandi progressi”, dice il presidente degli Stati Uniti, mentre il suo dipartimento di Giustizia – guidato da William Barr, che si è distinto in questi anni come solerte guardiano di Trump e dei suoi eccessi – ha dato mandato ai procuratori federali di investigare “le irregolarità” nel conteggio dei voti, scatenando così una serie di dimissioni di funzionari del dipartimento. I giornalisti raccolgono le indiscrezioni di alcuni repubblicani che, in privato, si sono congratulati con Joe Biden, il presidente eletto, anche se pubblicamente tacciono e diventano così anche loro complici di questa ultima, caparbia resistenza dei trumpiani.

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“Vinceremo”, continua a ripetere Donald Trump, “stiamo facendo grandi progressi”, dice il presidente degli Stati Uniti, mentre il suo dipartimento di Giustizia – guidato da William Barr, che si è distinto in questi anni come solerte guardiano di Trump e dei suoi eccessi – ha dato mandato ai procuratori federali di investigare “le irregolarità” nel conteggio dei voti, scatenando così una serie di dimissioni di funzionari del dipartimento. I giornalisti raccolgono le indiscrezioni di alcuni repubblicani che, in privato, si sono congratulati con Joe Biden, il presidente eletto, anche se pubblicamente tacciono e diventano così anche loro complici di questa ultima, caparbia resistenza dei trumpiani.

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Perché lo fanno? Perché i repubblicani sono “troppo timidi”, come scrive il New York Times, per dire al loro presidente che la guerra è finita, hanno perso, si organizzi la transizione e così sia?

 

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Anne Applebaum, scrittrice e saggista che già all’inizio dell’anno aveva scritto un articolo dal titolo “collaborazionisti” poi diventato un libro sul tramonto della democrazia, dice che “è ancora troppo presto per dare spiegazioni precise”, ma è convinta che la reazione di Trump all’esito elettorale non sia “casuale”, ma sia una “strategia politica, finanziaria e forse persino emozionale per danneggiare ulteriormente la fiducia dell’America nella propria democrazia”. La Applebaum ha spiegato questa strategia in un articolo sull’Atlantic dal titolo: “Trump non accetterà la sconfitta. Mai”. Al momento la retorica dell’elezione “rubata” serve per mandare avanti i ricorsi e magari per fare pressione sugli amministratori repubblicani degli stati in modo che considerino l’ipotesi di nominare una delegazione che vada a votare, quando i grandi elettori si riuniscono per conferire il mandato ufficiale, a favore di Trump (il capo del Partito repubblicano della Pennsylvania ha detto che sta considerando l’opzione). Ma anche se l’operazione di propaganda non dovesse funzionare, anche se Trump sarà costretto dai fatti a fare un rabbioso discorso di concessione, “è nell’interesse del presidente e del Partito repubblicano mantenere la finzione dell’elezione rubata. Perché questa base che non ha fiducia nella democrazia – sostiene la Applebaum – può essere ancora molto utile nei prossimi anni”. E’ un bottino da non sperperare, una realtà alternativa che può essere preziosa, con un hashtag semplice e potente: #FakeBiden.

 

Bret Stephens, commentatore conservatore del New York Times, scrive che Trump ha perso per due ragioni: la sua immoralità che ha compattato i suoi oppositori e il fatto che “i repubblicani abbiano razionalizzato, giustificato, aiutato e infine celebrato questa immoralità” e alla fine l’assenza di un “controllo della realtà” ha portato alla sconfitta. Da qui si riparte, sostiene Stephens, il matrimonio tra il carattere immorale di Trump e i suoi adepti ha portato velocemente tutti alla fine: ora “si regolano i conti”. Davvero? Timothy Naftali, direttore della biblioteca presidenziale di Nixon, dice di no: “E’ difficile, di fronte a 71 milioni di voti raccolti da Trump, un numero enorme per gli standard dei repubblicani, semplicemente voltargli le spalle. Non stiamo parlando soltanto di Trump o di fedeltà al trumpismo, ed è per questo che ora vediamo tante contorsioni. Se sei un repubblicano e sbagli questa mossa, sarai il primo a ritrovarti escluso”.

 

Fin dall’inizio della stagione trumpiana, i repubblicani si divisero in due: chi difendeva il presidente a ogni costo e con grande vanto – l’evoluzione del senatore riconfermato Lindsey Graham, amico e collaboratore di John McCain e poi cantore e difensore di Trump fino all’ultimo, è la sintesi di questo tipo di conservatore – e chi condivideva buona parte del suo operato ma si sfogava in privato delle brutture trumpiane – si dice che anche Rupert Murdoch ricada in questa categoria, e infatti l’andamento altalenante di Fox News riassume questo imbarazzo. Ora molti aspettano che questo secondo gruppo si faccia avanti, che convinca il presidente che questa battaglia non si vince e si rischia anche di sperperare il bottino raccolto in questi anni. Al momento il muro però non crolla: secondo la Applebaum il meccanismo oggi è lo stesso che si applicò ai tempi dell’impeachment, quando il fronte repubblicano rimase compatto. Ma questo è un presidente uscente, è diverso. “L’elezione ‘rubata’ è politicamente e commercialmente utile a Trump”, e ai suoi, sostiene la Applebaum, se ti agiti oggi tutto quel che accade domani sembrerà un’ingiustizia e una persecuzione: è così che la resistenza paga. 

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