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Diplomazia e Covax

L'altro vaccino, quello cinese, è già in uso

La pillola rossa contro la pillola blu. Il governo di Pechino accelera sul vaccino e la fase tre, e intanto distribuisce ai cittadini dosi di immunità

Giulia Pompili

In Cina ci sono quattro vaccini sperimentali che sono stati messi già a disposizione dei cittadini per l’emergenza. Contemporaneamente le tre aziende produttrici stanno continuando i loro test clinici. Per Pechino c’è l’urgenza di mettere in sicurezza la popolazione e far ripartire l'economia. Ma c’è anche (forse soprattutto) la partita politica

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A fine ottobre il Washington Post ha raccontato la storia di Cai Qikie, studentessa cinese di ventitré anni che studia nella provincia dello Zhejiang, a cui è stata somministrata la prima dose del vaccino contro il Covid sviluppato dalla Sinovac Biotech. Cai deve fare un periodo di studio a Milano, in Italia, e secondo il sistema sanitario cinese si recherà in un’area ad alto rischio, per questo rientra nella categoria di persone a cui viene data priorità vaccinale. Cai non è una delle volontarie che si sottopone al test per lo studio del vaccino cinese: nella provincia dello  Zhejiang il vaccino della Sinovac è già a disposizione del pubblico nonostante non abbia superato ancora la fase 3 della sperimentazione. “Pechino ha fatto un’enorme scommessa nell’introdurre i vaccini contro il coronavirus prima che fosse confermata la loro sicurezza ed efficacia”, ha scritto Eva Dou sul Washington Post. “Centinaia di migliaia di persone hanno già ricevuto le iniezioni, secondo quanto riportato dai media statali il mese scorso”, e nel caso in cui dovessero emergere gravi effetti collaterali, “il governo cinese potrebbe subire contraccolpi sia in patria sia all’estero. Ma se la scommessa di Pechino dovesse risolversi, la Cina sarebbe potenzialmente mesi avanti rispetto ai paesi occidentali nell’eradicazione del virus”. 

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A fine ottobre il Washington Post ha raccontato la storia di Cai Qikie, studentessa cinese di ventitré anni che studia nella provincia dello Zhejiang, a cui è stata somministrata la prima dose del vaccino contro il Covid sviluppato dalla Sinovac Biotech. Cai deve fare un periodo di studio a Milano, in Italia, e secondo il sistema sanitario cinese si recherà in un’area ad alto rischio, per questo rientra nella categoria di persone a cui viene data priorità vaccinale. Cai non è una delle volontarie che si sottopone al test per lo studio del vaccino cinese: nella provincia dello  Zhejiang il vaccino della Sinovac è già a disposizione del pubblico nonostante non abbia superato ancora la fase 3 della sperimentazione. “Pechino ha fatto un’enorme scommessa nell’introdurre i vaccini contro il coronavirus prima che fosse confermata la loro sicurezza ed efficacia”, ha scritto Eva Dou sul Washington Post. “Centinaia di migliaia di persone hanno già ricevuto le iniezioni, secondo quanto riportato dai media statali il mese scorso”, e nel caso in cui dovessero emergere gravi effetti collaterali, “il governo cinese potrebbe subire contraccolpi sia in patria sia all’estero. Ma se la scommessa di Pechino dovesse risolversi, la Cina sarebbe potenzialmente mesi avanti rispetto ai paesi occidentali nell’eradicazione del virus”. 

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In questo momento in Cina ci sono quattro vaccini sperimentali che sono stati messi già a disposizione dei cittadini per l’emergenza. Contemporaneamente le tre aziende produttrici – la Sinovac, la Sinopharm e la CanSino Biologics – stanno continuando i loro test clinici. Per Pechino, da una parte c’è l’urgenza di mettere in sicurezza la popolazione che ha già subìto uno choc sociale notevole con i lockdown e i controlli a tappeto, e questo è anche un punto di partenza necessario per riattivare la macchina dell’economia della seconda potenza del mondo. Dall’altra parte, però, c’è anche (forse soprattutto) la partita politica: la Cina, cioè il paese dove l’epidemia è iniziata trasformandosi poi in pandemia, ritenuta “l’untrice del mondo”, vorrebbe trasformarsi nella salvatrice del mondo. E lo sta facendo. 

 

Il vaccino cinese è in fase di sperimentazione in diciotto paesi nel mondo, non solo in Cina. I prestiti agevolatissimi che Pechino sta fornendo ai paesi che ne fanno richiesta servono a consolidare rapporti diplomatici, in contrapposizione con il libero mercato su cui si fonda la ricerca vaccinale occidentale. Come scrivevano Eyck Freymann e Justin Stebbing su Foreign Affairs, questo genere di relazioni si fonda sull’uso emergenziale, e l’America di Donald Trump, seguendo l’approccio dell’America first, non ha voluto far parte del consorzio dell’Organizzazione mondiale della Sanità per far arrivare due miliardi di dosi di vaccino nei paesi in via di sviluppo. Di quell’emergenza se ne sta occupando la Cina.

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L’immagine perfetta per illustrare il nuovo mondo diviso tra vaccini l’ha pubblicata il Nikkei Asian Review. “Red pill?” è il titolo della storia di copertina, e l’illustrazione mostra due mani con due pillole, una rossa e una blu, come nel film “Matrix”. Il caso dell’Indonesia è emblematico: nel paese del sud-est asiatico l’epidemia è fuori controllo, “il vaccino è l’unico modo per uscirne”, hanno scritto in una lunga inchiesta Ck Tan e Erwida Maulia. Avendo la Cina di fatto messo sotto controllo i casi di Covid all’interno del suo territorio, l’azienda farmaceutica statale indonesiana, la Bio Farma, sta portando avanti la fase tre della sperimentazione del vaccino della Sinovac in Indonesia, ed è una corsa contro il tempo: la Bio Farma è pronta a produrre 15 milioni di dosi entro la fine di quest’anno e la Sinovac ne fornirà altre 125 milioni nel 2021. Secondo il governo di Giacarta, l’Indonesia spenderà  2,5 miliardi di dollari per i vaccini entro il 2022. Soltanto la Sinovac sta portando avanti la sperimentazione del suo vaccino anche in Turchia, in Brasile e nel Bangladesh. Secondo il Nikkei, non solo la Cina può permettersi di potenziare enormemente la produzione, e tre dei quattro vaccini cinesi sono vaccini inattivati, e non a Rna, una differenza che rende più facile anche la loro conservazione – per esempio, sono diversi dai vaccini di Pfizer e Moderna che richiedono la conservazione a bassissime temperature. La strategia politica di “dipendenza dai vaccini” è chiara: la Cina non è mai riuscita a entrare nel mercato occidentale della farmaceutica finale, anche perché gli standard di ricerca scientifici non sono sufficienti per la comunità scientifica occidentale. Ma i paesi in via di sviluppo, in mezzo a una pandemia, non hanno alternative.

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