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#46

L'arte del ricucire secondo Joe Biden

Un caldo benvenuto per il presidente ragionevole. Scrive la vedova McCain, una che se ne intende di spirito bipartisan: “Joe lavorerà duro ed è la scelta giusta in questo drammatico momento"

Stefano Pistolini

Un razionalizzatore, un conoscitore della macchina politica e decisionale nella quale ha trascorso l’intera età adulta, intenzionato a mettersi alla guida di una squadra che restituisca alla nazione ciò che ha perduto negli ultimi anni, trasformandosi in qualcosa d’irriconoscibile, caotico e per molti versi indecente

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Uomo di passi piuttosto piccoli – provate a osservare come cammina – Joe Biden, appena ufficializzata la vittoria elettorale, di passo ne ha fatto subito uno significativo. Ha messo da parte le questioni che da mesi roteano come pianeti impazziti attorno a questo voto e ha detto agli americani: convoco subito i migliori scienziati per occuparsi della maledetta emergenza che ci sta ammazzando come mosche e che ha ridotto a brandelli il paese. Riparte la task force antipandemia e niente di più facile che alla sua testa Biden confermi il vituperato dottor Anthony Fauci, come atto di riconoscenza per la resilienza con la quale non si mai fatto spaventare da Donald Trump.

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Uomo di passi piuttosto piccoli – provate a osservare come cammina – Joe Biden, appena ufficializzata la vittoria elettorale, di passo ne ha fatto subito uno significativo. Ha messo da parte le questioni che da mesi roteano come pianeti impazziti attorno a questo voto e ha detto agli americani: convoco subito i migliori scienziati per occuparsi della maledetta emergenza che ci sta ammazzando come mosche e che ha ridotto a brandelli il paese. Riparte la task force antipandemia e niente di più facile che alla sua testa Biden confermi il vituperato dottor Anthony Fauci, come atto di riconoscenza per la resilienza con la quale non si mai fatto spaventare da Donald Trump.

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Decisioni operative. Interventi. Dritti allo scopo, senza giri di parole, senza pronunciamenti su quanto grande tornerà la nazione: pensiamo a curarci nel modo migliore, e dal momento che mi avete fatto presidente, io trasformerò questo problema nella principale emergenza da affrontare. Senza altre chiacchiere, distinguo, proclami e divisioni.

 

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C’è da credere che agli americani di buona volontà, che lo abbiano votato con entusiasmo o che fino all’ultimo minuto l’abbiano guardato con sospetto, il gesto non sarà passato inosservato. Un caldo benvenuto per il presidente ragionevole. Scrive la vedova McCain, una che se ne intende di spirito bipartisan: “Joe lavorerà duro ed è la scelta giusta in questo drammatico momento. E’ il leader su cui gli americani potranno contare per mettere la nazione sopra I partiti politici, e l’interesse nazionale sopra quello individuale”.

 

 

Molta stampa, anche di area liberal, ostentando un mix d’ironia e scetticismo, ora si affanna a definire il neoeletto alla Casa Bianca come un uomo fortunato, che ha avuto la ventura, quando ormai era fuori tempo massimo, di diventare il leader di un pacchetto di concorrenti non irresistibili, nel non impossibile compito di scalzare dalla poltrona un presidente pazzo, adorato in modo illogico dall’America dei bastian contrari, ma inchiodabile ai suoi peccati, ai suoi errori e alle sue responsabilità. Biden, insomma, avrebbe vinto un po’ per forza di gravità, per la dinamo connessa alla indispensabile candidatura anti Trump, ricordando tra l’altro che non si è trattato di un trionfo, ma di uno sprint conquistato per un soffio.

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Può esserci del vero, ma adesso conviene osservare la questione diversamente: Biden non arriva nello studio ovale circondato dall’acclamazione, come ai tempi di Barack Obama. Ma ce la fa, vince, diventa il prodotto, il sinonimo di un grande sollievo e di quella liberazione esplosa per le strade delle città americane quando è stato ufficializzato il verdetto. Il messaggio era: mettetela come volete, ma per favore voltiamo pagina. E’ qui che c’è Joe Biden. E con lui Kamala Harris, dal primo giorno, qualcosa di più, anzi di molto di più, di una diligente vicepresidente, lei stessa consapevole della forza rappresentativa che si trova a incarnare. con prospettive che sul medio termine – 2024? – potrebbero assumere dimensioni storiche.

 

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Ma non precorriamo i tempi, come viene naturale fare quando si ha davanti Biden – perché su di lui sembrerebbe esserci poco da chiarire, la sua professionalità, il suo posizionamento, le sue capacità sono esposte e lo sono i suoi limiti – una leadership a dir poco intermittente, un’audacia circospetta, un decisionismo smussato, un perbenismo innato al punto da meritargli quella definizione di “vintage” che evoca “American Graffiti” e un Novecento che non c’entra più niente con l’America d’oggi. Ma è proprio qui che Biden giocherà la sua partita come presidente: nel rendersi prevedibile in una condotta e in una serie di scelte che sono esattamente quelle di cui la nazione ha bisogno dopo lo choc dell’irrazionalità provocata dal passaggio di Trump, dopo l’accensione dei fuochi del conflitto sociale e razziale, dopo gli abbandoni delle cause dell’inclusività, dell’accoglienza, della consapevolezza ambientale, della responsabilità che spettano a una nazione-guida del mondo.

 

Biden prestissimo compirà gesti semplici ma altamente simbolici: ricondurrà l’America ben dentro l’Organizzazione Mondiale della Sanità, tornerà ad associarsi agli accordi di Parigi sul clima. Biden farà ciò che è indispensabile e indifferibile per chiudere questioni scatenate o lasciate colpevolmente aperte dalla precedente amministrazione, badando a placare gli animi delle parti in gioco, richiamando tutti a una presa di coscienza consapevole e non istintiva, a comportamenti contenuti nei confini della decenza e della presentabilità – agenti di polizia che non siano più sceriffi dell’Ok Corral, saccheggiatori che smettano di fingersi dimostranti, fanatici armati che provino vergogna aggirandosi come rambo vitaminizzati, indecenti tifosi dei campi di concentramento per bambini che facciano ammenda.

 

Biden vorrà pacificare, restituire misura, dimensione e obbiettivi alla vita dei connazionali, ricucendo il disegno di un America non più stuzzicata da proclami incendiari e velleitarismi pericolosi, ma di nuovo associata ad alcune certezze svanite: un’assistenza sanitaria perlomeno accettabile per tutti, una dimensione occupazionale che esca dall’emergenza di pari passo a una normalità esistenziale garantita dalla rimozione dell’epidemia che ha colpito la nazione in un modo troppo simbolico per non essere còlto - come la febbre che colpisce gli uomini quando l’eccitazione dei sensi e il mito di un passato selvaggio s’impadroniscono della psiche nazionale.

Biden non dice parole di circostanza quando si affretta a ribadire di volersi insediare non per affermare un’ideologia o per lanciare il proprio progetto d’America, ma per porre rimedio alle gravi questioni oggi abbandonate nel disordine. Un razionalizzatore, un conoscitore della macchina politica e decisionale nella quale ha trascorso l’intera età adulta, intenzionato a mettersi alla guida di una squadra che restituisca alla nazione ciò che ha perduto negli ultimi anni, trasformandosi in qualcosa d’irriconoscibile, caotico e per molti versi indecente.

 

Ovviamente Biden ha di fronte un’America che l’aspettava, lo approva e lo sosterrà nello sforzo, augurandosi si dimostri il più efficace possibile. Ma anche un’America che lo identificherà col ritorno della vecchia ipocrisia, con la fine dell’effimero sogno di “liberazione” solleticato da Trump toccando gangli profondi in coloro che hanno inneggiato a lui, a dispetto dalla sua lampante non-presidenzialità, dell’irrazionalità dilagante che sgorgava dalle sue mosse, dalle decisioni, dalle apparizioni. Per costoro Biden sarà il sinonimo dell’America che non vogliono, di nuovo immersa nella definizione di un’identità normale e funzionale, dedita al riscatto dei suoi parametri etici e del proprio ruolo nel progresso e nel mondo. Ci saranno turbolenze, contraccolpi, provocazioni anche gravi, perché se il futuro di Donald Trump è in forse, quello del trumpismo appare più duraturo, sotto forma di una sacca di resistenza brutalmente apolitica e certamente anti-statalista.

 

 

Biden dovrà dragare questa transizione verso un periodo di ritrovato equilibrio nella vita nazionale - piattaforma indispensabile per qualsiasi ripartenza che non sia all’insegna del nichilismo. E’ un compito da restauratore, un lavoro da specialista, un’opera da perfetto conoscitore della materia, “onorato e confuso” dal compito assegnatogli dai connazionali, come ha detto lui stesso. Richiede massima cura nella selezione delle personalità (ma sentir sussurrare il nome di una Susan Rice alla segreteria di Stato e del poliglotta Pete Buttigieg alle Nazioni Unite è un indizio incoraggiante) e nella formazione delle squadre preposte. E che, riuscendo, difficilmente consegnerà alla Storia quest’uomo politico, ma piuttosto definirà il suo passaggio come l’indispensabile interludio verso un futuro del quale si è smarrito il filo.

 

Il bello è che appare chiaro che tutte queste cose Biden le sappia perfettamente e che da veterano saggio e da servitore della nazione per abitudine e vocazione, non guardi molto più in là e non si faccia illusioni. L’America adesso ha bisogno di un capoufficio efficiente, lucido e con la testa sulle spalle. Per il nuovo Joe-nazionale non poteva esserci ultimo incarico per il quale si sentisse più pronto, mettendo a frutto l’enorme know how accumulato, l’educazione che l’ha formato, la ragionevolezza tranquilla che con lui torna a essere invidiabile fattore americano: dear customer, sembra dire ai suoi “clienti”, siamo qui per servirvi, il lavoro verrà svolto nel minor tempo possibile. E sarà fatto ad opera d’arte.

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