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Elezioni americane

Joe Biden sta vincendo ma nessuno ha il coraggio di dire a Trump che ha perso

Parla Biden. L’ennesima versione riscritta e declinata alla prudenza di quello che avrebbe dovuto essere il suo acceptance speech

Luciana Grosso
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Il discorso della vittoria può aspettare. Ancora. Joe Biden ha vinto, lo dicono i numeri, la scienza, l’evidenza delle cose, ma non lui. Forse per il galateo istituzionale che deve - comunque - alla Casa Bianca o forse per non caricare gli animi già abbastanza surriscaldati di questi giorni, Joe Biden ha scelto di aspettare, ancora, a festeggiare la sua vittoria delle elezioni e a renderla ufficiale. Ha pensato, forse per prudenza, che se dall’altra parte c’è qualcuno che ti accusa di brogli, farlo tacere non spetta alle parole, ma solo alla specchiata evidenza dei numeri, contro la quale c’è poco da fare. E dunque, forse, Joe Biden ha deciso di aspettare che a parlare, eleggere e sconfiggere, fosse il conto dei voti veri.

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Così nel suo discorso di ieri notte, l’ennesima versione riscritta e declinata alla prudenza di quello che avrebbe dovuto essere il suo acceptance speech, Biden ha detto quello che, in buona sostanza, dice da tutta la vita: “Dobbiamo essere pazienti, è così che funziona la democrazia. Serve tempo. Serve contare ogni voto. Perché è così che funziona. Ed è questa la sua forza”. E Biden, di contare voti fino alla fine, è uno che se ne intende, dal momento che ha vinto la sua prima elezione a senatore, nel 1972, con uno scarto di 3000 voti.

 
Ma Biden non si è limitato a dire ai suoi di avere fiducia e pazienza. Al contrario, ha provato a fare un passo avanti, a disegnare un accenno di transizione perché, ha detto “Anche se questa elezione non è ancora stata chiamata, la vinceremo”. E così Joe Biden ha detto che lui e la senatrice Kamala Harris, sua vice, sono già al lavoro per arrivare alla Presidenza con un piano concreto e veloce per risolvere le crisi che affliggono l’America. A partire da quella del Covid (“non possiamo riportare in vita le tante persone che abbiamo perso. Ma possiamo evitare ne muoiano altre”) passando per quella del lavoro, per arrivare infine alla più profonda e pericolosa: la fenditura che attraversa il paese e le persone, la spaccatura che negli ultimi anni ha messo gli americani uno contro l’altro, “Possiamo essere avversari, ma non siamo nemici: siamo tutti americani. Il mio io impegno è di lavorare con la stessa determinazione per quelli che non mi hanno votato come per quelli che lo hanno fatto. Il mio impegno è per ricostruire il Paese e assicurare un futuro i nostri figli”.  Questo è quello che Joe Biden dice di essere pronto a fare e che farà. Solo, ci dice, “servirà ancora un po’ di pazienza”.

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Qualcuno trovi il coraggio di parlare con Trump

Spoglio delle elezioni americane, giorno quinto. L’adrenalina dell’attesa è scesa da un pezzo, perché ormai è evidente come è andata a finire. E poi, al punto in cui siamo arrivati, a nessuno interessa più sapere “come” finirà, ma solo “quando” finirà. A sostituire l’adrenalina, però, è arrivato un fastidioso senso di ridicolo, alimentato dal fatto surreale che, da giorni, nessuno dice quello che ormai sanno tutti, ossia che Biden ha vinto le elezioni. E surreale è anche il fatto che una delle ragioni di tanta reticenza sia non la necessità di avere numeri definitivi, ma la paura dell’ira di Trump.

   
Nessuno a CNN, dove sono prigionieri da ore di una diretta nella quale ripetono da giorni le stesse cose, al comitato Biden o persino alla Casa Bianca ha ancora avuto il coraggio di dire ad alta voce che Trump ha perso. Prigionieri, loro e noi con loro, della paura dell’ira di un uomo iracondo, paiono in attesa che qualcuno, nella West Wing, peschi la pagliuzza corta e bussi alla porta dello Studio Ovale. Umanamente li comprendiamo, quelli dello staff del presidente: gli stracci quando volano fanno male. Ma vorremmo si sbrigassero, perché, man mano che passano le ore, cresce la sensazione di essere burattini nelle mani di un burattinaio capriccioso che decide della nostra sorte.

  

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Quel che sta succedendo in queste ore alla Casa Bianca


Mentre aspettiamo che la situazione si sblocchi, però, arrivano voci e indiscrezioni dalla Casa Bianca. C’è chi dice che Trump sia furibondo e sbraiti con chiunque gli capiti a tiro; c’è chi dice che la rabbia maggiore la riservi al suo team di avvocati, colpevoli di non essere riusciti a fermare lo scrutinio in Pennsylvania e Georgia; c’è chi dice voglia licenziarli tutti (tranne - forse - il devoto Rudy Giuliani); c’è chi dice minacci qualunque repubblicano gli capiti a tiro; c’è chi dice che il Presidente parli quasi solo con Mark Meadows, il suo capo di gabinetto che lo vezzeggia e fomenta sussurrandogli teorie del complotto e insistendo che le elezioni sono state rubate; c’è chi dice che, tra una sfuriata e l’altra, il Presidente abbia tirato in ballo anche Hillary Clinton, dicendo che, in effetti, lei non gli ha mai riconosciuto la vittoria se non a parole, perché un minuto dopo aver pronunciato il suo discorso di sconfitta, gli ha dichiarato una guerra senza quartiere a base di Russiagate e tentativi di impeachment; e infine, c’è chi dice che i vertici del Partito Repubblicano stiano parlando da ore con Ivanka, per convincerla, lei che è l’unica capace di far ragionare suo padre, a lasciar perdere, magari lusingandolo con l’idea della rielezione nel 2024. 

  

Così, mentre Ivanka ci pensa, Biden verifica, la Pennsylvania conta e CNN cincischia, noi aspettiamo che Donald ci liberi dall’ossessione, la sua e quella di lui. A questo punto, l’unico che può farlo, lui. Ancora lui.

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