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Lezioni per il mondo dal rigetto americano

Il dopo Trump e tutti i pozzi avvelenati in quattro anni di dibattito pubblico intossicato

L'insegnamento di McCain e l'eredità tossica del trumpismo. Passare dalla politica dei capri espiatori a quella delle soluzioni. Il dopo Trump, e non solo in America, in fondo è tutto qui

Claudio Cerasa

Si commetterebbe un grave errore ad archiviare la stagione trumpiana pensando che negli ultimi quattro anni il virus del trumpismo sia stato un qualcosa che ha infettato solo il dibattito pubblico americano. Il virus del trumpismo, che in attesa di un rigetto globale continuerà a esistere anche con Trump lontano dalla Casa Bianca, è stato molto altro e più che con una certa idea di come orientare la destra c’entra con una certa idea di come orientare il mondo.

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Non c’entrano le bugie. Non c’entrano le menzogne. Non c’entra l’etica. Non c’entrano le tasse. Non c’entra la Russia. Non c’entra il sessismo. Non c’entra il MeToo. Non c’entra il conservatorismo. Non c’entra il protocollo. Non c’entra la misoginia. Non c’entra la religione. E non c’entra neppure la destra. Per capire quello che è stato il mondo con cui Donald Trump ha flirtato nei suoi quattro anni di presidenza – e che ora si lascia alle spalle – occorre mettere da parte per un istante le tradizionali coordinate liberal dell’indignazione politica e fare un passo in avanti per comprendere quale sarà una delle eredità più pericolose del trumpismo con cui il mondo si ritroverà a fare i conti anche senza la presenza di Trump alla Casa bianca.

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Non c’entrano le bugie. Non c’entrano le menzogne. Non c’entra l’etica. Non c’entrano le tasse. Non c’entra la Russia. Non c’entra il sessismo. Non c’entra il MeToo. Non c’entra il conservatorismo. Non c’entra il protocollo. Non c’entra la misoginia. Non c’entra la religione. E non c’entra neppure la destra. Per capire quello che è stato il mondo con cui Donald Trump ha flirtato nei suoi quattro anni di presidenza – e che ora si lascia alle spalle – occorre mettere da parte per un istante le tradizionali coordinate liberal dell’indignazione politica e fare un passo in avanti per comprendere quale sarà una delle eredità più pericolose del trumpismo con cui il mondo si ritroverà a fare i conti anche senza la presenza di Trump alla Casa bianca.

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Si commetterebbe un grave errore ad archiviare la stagione trumpiana pensando che negli ultimi quattro anni il virus del trumpismo sia stato un qualcosa che ha infettato solo il dibattito pubblico americano. Il virus del trumpismo, che in attesa di un rigetto globale continuerà a esistere anche con Trump lontano dalla Casa Bianca, è stato molto altro e più che con una certa idea di come orientare la destra c’entra con una certa idea di come orientare il mondo.

 

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E’ stato questo il dramma del trumpismo, contro cui, con fatica, la società americana ha reagito. E’ stato quello di aver intossicato il dibattito pubblico. E’ stato quello di aver alimentato la retorica xenofoba. E’ stato quello di aver giocato con il complottismo. E’ stato quello di aver avallato il cospirazionismo. E’ stato quello di aver trasformato gli esperti in una casta di nemici del popolo. E’ stato quello di aver flirtato con i nemici della società aperta. E’ stato quello di non aver fatto tutto ciò che un presidente avrebbe potuto fare per combattere il suprematismo. E’ stato quello di aver dato un contributo cruciale alla diffusione di teorie antiscientifiche. E’ stato quello di aver trasformato l’America first non nel simbolo di un riscatto americano ma in un tentativo progressivo di lasciare con le spalle scoperte i difensori della democrazia liberale. E’ stato quello di aver strizzato gli occhi a tutti i politici decisi a trasformare l’Europa in un sogno da distruggere. E’ stato quello di aver trasformato, a colpi di dazi, la libera circolazione delle merci in un feticcio da abbattere. E’ stato quello di aver messo la democrazia della conoscenza sullo stesso piano della democrazia dei creduloni. E’ stato quello di aver messo il conservatorismo al servizio di una ideologia antisistema. E’ stato quello di aver applicato con costanza, per anni, una dottrina magnificamente sintetizzata dal sociologo Gérald Bronner come l’effetto Otello: non importa quanto una teoria sia accurata, anche una teoria palesemente falsa può avere successo se invade il dibattito pubblico e instilla il dubbio nella mente delle persone. “Nel libro terzo della Guerra del Peloponneso – ha ricordato Mark Thompson nel suo magnifico saggio sulla ‘Fine del dibattito pubblico’ dedicato a un’America trumpiana non così diversa dall’Italia sovranista – Tucidide sostiene che un fattore importante del declino di Atene da democrazia disfunzionale fino a tirannide e anarchia passando attraverso la demagogia fu una particolare mutazione nel linguaggio, quando cioè la gente cominciò a definire le cose in modo casuale, senza ordine, facendo perdere alle parole il loro vero e accettato significato”. In questo senso, il guaio del trumpismo non è quello di essere stato un veicolo di bugie eccessive, non è quello di essere stato un simbolo di un’etica tradita, non è quello di essere stato il simbolo di come si eludono le tasse.

 

Ma è stato molto altro. Ed è stato quello di aver allegramente contaminato i pozzi del dibattito pubblico mettendo in circolo un veleno con cui le democrazie liberali dovranno fare i conti chissà quanto a lungo. Il compianto John McCain, ex candidato alla presidenza degli Stati Uniti, ex senatore conservatore, simbolo di quell’Arizona conservatrice che a queste elezioni si è ribellata a Trump votando a sinistra per la prima volta dal 1996, poco prima di morire, nel 2018, usò delle parole perfette per inquadrare il trumpismo e che danno la dimensione esatta del perché la sconfitta di Trump sia una liberazione anche per un pezzo importante di mondo conservatore. “Il patriottismo di chi invece di risolvere i problemi cerca capri espiatori è un falso patriottismo”. Passare dalla politica dei capri espiatori a quella delle soluzioni. Il dopo Trump, e non solo in America, in fondo è tutto qui. 

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