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Quel che è certo è che queste elezioni hanno acuito le divisioni dell'America

Alastair Campbell

Una netta vittoria di Biden sarebbe stata un sollievo per la quasi totalità dell'Occidente. Non è successo. Chi entrerà alla Casa Bianca lo deciderà il risultato elettorale di Michigan, Wisconsin e Pennsylvania. E potrebbe non volerci poco tempo

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Le elezioni presidenziali statunitensi sono una lotta per scegliere "l'uomo più potente della Terra", e per questo sarebbe molto bello se, per quelle elezioni, potessero votare tutti. Se così fosse, probabilmente, la landslide, la valanga di voti, in cui molti - inclusa, forse, la maggior parte delle persone che leggeranno queste righe - speravano per Joe Biden sarebbe probabilmente arrivata.

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Le elezioni presidenziali statunitensi sono una lotta per scegliere "l'uomo più potente della Terra", e per questo sarebbe molto bello se, per quelle elezioni, potessero votare tutti. Se così fosse, probabilmente, la landslide, la valanga di voti, in cui molti - inclusa, forse, la maggior parte delle persone che leggeranno queste righe - speravano per Joe Biden sarebbe probabilmente arrivata.

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Al momento, nel mondo, al di fuori di Russia, Brasile, India, Ungheria, Filippine, Downing Street e altri focolai populisti del coronavirus, ci sono pochi posti, oltre agli Stati Uniti, in cui le persone vogliono ancora sentir parlare di Donald Trump. E quelli che lo desiderano, al di fuori dei paesi citati, sono esigue maggioranze.

 

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Ma non vota tutto il mondo. Sono le elezioni presidenziali americane e non a caso Trump dice "America First". E anche se la Cina può considerarsi il paese più potente del mondo, l'America è la democrazia più potente. Quindi, che ci piaccia o no, gli elettori americani hanno molta più influenza sulle nostre vite di quanta ne abbiamo noi sulle loro.

 

Forse non è nemmeno il caso di prendersela con le stranezze e le anomalie del sistema americano, con i capricci del collegio elettorale, con la lentezza nel conteggio dei voti e con il fatto che prendere più voti non significa per forza vincere. Sono sicuro che che in molti negli Stati Uniti si sentono altrettanto confusi quando assistono alle elezioni in un paese europeo, per esempio nel Regno Unito, dove un partito può stravincere le elezioni senza nemmeno avvicinarsi alla metà dei voti.

 

Quindi, se mi è consentito usare una frase che non sopporto più per quanto l’ho sentita dire di recente in merito al Covid, “non ci possiamo fare niente”. Non ci possiamo fare niente, in questo momento. È un po' un disastro e lo sarà ancora per un po'. Ma ora che tutte le parole sono state dette e tutte le azioni compiute - e a giudicare da quel che si vede in tv in queste ultime ore è più quel che si dice di quello che si fa - l’unica cosa che conta davvero è chi entrerà alla Casa Bianca il prossimo gennaio.

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Ricordate lo spoglio al cardiopalma della Florida nel 2000 e la lotta di carte bollate che è arrivata fino alla Corte Suprema e che poi decise per George W. Bush invece di Al Gore? E ricordate il rispetto per le istituzioni, superiore a quello che riusciremmo a immaginare di Donald Trump, con cui Gore accettò quella decisione? Certo che lo ricordate. E allora ricorderete anche l’unica cosa che conta davvero: il presidente degli Stati Uniti fu Bush, non Gore.

 

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Nel mio cuore, certo, avrei voluto una vittoria clamorosa di Biden, una vittoria che fosse grande tanto quanto quella per cui ho lavorato con Tony Blair nel 1997, nel Regno Unito. Ma siete mai stati in Florida, Georgia o Texas? Sono posti complicati, e sono la prova di quanto Trump fosse nervoso quando ha detto che si trattava di stati nei quali "nessuno si aspetta di vincere ”.

 

Nella mia testa, dato quanto sono arrabbiati e polarizzati gli Stati Uniti in questo momento, sospettavo che sarebbe successo che alla fine la questione si sarebbe risolta in un piccolo numero di stati che, negli ultimi tempi e ogni quattro anni, diventano l'epicentro degli osservatori politici di tutto il mondo: gli osservati speciale Michigan, Wisconsin, Pennsylvania. Chi ottiene due di quei tre nelle prossime ore - per favore Dio, non lasciare che siano giorni - vince tutto. E poi, soprattutto se è Trump a perdere due di que tre si finisce in tribunale. È stato molto chiaro quando se ne è uscito con un "abbiamo già vinto".

 

Spesso per capire come è messo un concorrente è utile ascoltare quel che dice di lui il suo avversario. E questo è uno di quei casi. Il fatto che il primo commento di Trump sia stato un tweet nel quale diceva che i democratici stavano cercando di "rubare" le elezioni (con tanto di errore di ortografia che trasformava la parola polls, “risultati”, in poles, "polacchi") mi ha fatto riflettere e chiedere se Donald Trump non sappia qualcosa che noi non sappiamo in merito a quei tre stati chiave. E mi ha fatto chiedere se non fosse spaventato. Un Trump fiducioso e sicuro di sé avrebbe lasciato che Joe Biden facesse la sua dichiarazione "siamo sulla buona strada per vincere" e si schiantasse da solo, man mano che i voti venivano contati.

 

E non sorprende nemmeno quel che hanno fatto i media filo Trump, come Fox News che sembrava indirizzare Trump dalla fiducia e dalla calma a uno scoppio d'ira su Twitter (il tweet polacco è stato immediatamente cancellato) e alla sua furia, tralasciando che l'unico vero scandalo elettorale sia stato il deliberato tentativo dei repubblicani di sopprimere gli elettori, mentre di frode elettorale, al momento, non c’è traccia.

 

Certo, dopo quattro anni di Trump nelle nostre vite, niente di tutto questo dovrebbe sorprenderci. Non ci dovrebbe sorprendere la sua sfuriata contro Fox che chiama l'Arizona per Biden prima che tutti i voti siano stati contati e che è speculare e opposta alle parole stesse del Presidente sugli altri swing states, che invece, Trump, vorrebbe venissero chiamati il prima possibile, indipendentemente dall’avanzamento dello scrutinio. Così, negli stati in cui è indietro, secondo Trump occorre aspettare fino all’ultimo voto. In quelli in cui è avanti occorrerebbe chiamarli subito, prima che i democratici li rubino.

  

La storia della presidenza Trump ha sempre ruotato attorno a un interrogativo: i sistemi di garanzia e di check and balance della  democrazia e delle istituzioni americane sono in grado di reggere l’impatto della sua Presidenza devastatrice? Com’è andata in questi anni, lo sappiamo: il Partito Repubblicano ha ceduto quasi subito. Il Senato è stato debole. Neppure i media hanno resistito, dal momento che per lo più hanno avuto la tendenza ad alimentare la polarizzazione che Trump sfrutta e di cui si alimenta. Per i tribunali, invece, il quadro è misto. Ma in mezzo a tutto questo rumore e a tutta questa rabbia, c’è ancora solo una cosa che conta davvero: chi arriva per primo a 270 al collegio elettorale. Il mio cuore e la mia testa dicono ancora Biden. Ma potrebbe volerci un po'. Grazie all'azione molto deliberata di Trump questa mattina, la strada potrebbe farsi incidentata e persino violenta, che è in fondo, quello a cui lavorava fin dal suo messaggio "state indietro e state pronti"  rivolto ai suprematisti bianchi nel corso del primo dibattito presidenziale.

 

Se invece Trump vince due dei tre stati in bilico, rimane dov’è, alla Casa Bianca e mezzo mondo si sentirà mancare la terra sotto i piedi. Se non lo fa, ma continua con la sua attuale tattica di divisione, alla fine Biden entrerà in carica, ma ad attenderlo troverà un lavoro molto più difficile del previsto. E la ragione è che queste elezioni, e in particolare il modo in cui Trump le ha gestite, hanno acuito invece che lenito, le divisioni che lacerano l'America.

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