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Trump o Biden? Per chi tifa il medio oriente

Luca Gambardella

Iran, Qatar e palestinesi sperano nella vittoria del candidato democratico. Arabia Saudita, Israele, Emirati e Turchia punterebbero ancora su The Donald

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Un sondaggio pubblicato qualche giorno fa dal giornale saudita Arab News dice che nessuno fra Joe Biden e Donald Trump scalda i cuori del mondo arabo. Entrambi sono dati al di sotto del 50 per cento dei consensi, sebbene il candidato democratico (40 per cento) sia più gradito di Trump (12 per cento). Per capire il perché di questo generale scetticismo nei confronti di chi siederà alla Casa Bianca, bisogna guardare a come è cambiato il medio oriente negli ultimi quattro anni. Nel 2016, prima dell'èra Trump, lo Stato islamico controllava grandi parti di Siria e Iraq, l'accordo sul nucleare iraniano divideva i paesi del Golfo, il dialogo di pace fra israeliani e palestinesi era bloccato. Nel 2020 il Califfato – inteso come entità territoriale – non esiste più, l'accordo con Teheran è stato stracciato e gli accordi fra Israele e alcuni paesi del Golfo hanno avviato una normalizzazione storica Nonostante questi stravolgimenti, come spesso accade quando si parla di elezioni americane in medio oriente, le inclinazioni dell'opinione pubblica sono influenzate da alcuni temi costanti e decisivi – su tutti Israele e Iran – a cui, negli ultimi anni, va aggiunto un altro: la consapevolezza che le priorità della politica estera americana oggi sono la crisi pandemica, la Cina e le nuove tecnologie. Il disimpegno americano dal medio oriente inaugurato da Obama nel 2011 e proseguito poi con Trump continuerà ancora con la nuova Amministrazione a prescindere da chi siederà alla Casa Bianca a partire da domani. 

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Un sondaggio pubblicato qualche giorno fa dal giornale saudita Arab News dice che nessuno fra Joe Biden e Donald Trump scalda i cuori del mondo arabo. Entrambi sono dati al di sotto del 50 per cento dei consensi, sebbene il candidato democratico (40 per cento) sia più gradito di Trump (12 per cento). Per capire il perché di questo generale scetticismo nei confronti di chi siederà alla Casa Bianca, bisogna guardare a come è cambiato il medio oriente negli ultimi quattro anni. Nel 2016, prima dell'èra Trump, lo Stato islamico controllava grandi parti di Siria e Iraq, l'accordo sul nucleare iraniano divideva i paesi del Golfo, il dialogo di pace fra israeliani e palestinesi era bloccato. Nel 2020 il Califfato – inteso come entità territoriale – non esiste più, l'accordo con Teheran è stato stracciato e gli accordi fra Israele e alcuni paesi del Golfo hanno avviato una normalizzazione storica Nonostante questi stravolgimenti, come spesso accade quando si parla di elezioni americane in medio oriente, le inclinazioni dell'opinione pubblica sono influenzate da alcuni temi costanti e decisivi – su tutti Israele e Iran – a cui, negli ultimi anni, va aggiunto un altro: la consapevolezza che le priorità della politica estera americana oggi sono la crisi pandemica, la Cina e le nuove tecnologie. Il disimpegno americano dal medio oriente inaugurato da Obama nel 2011 e proseguito poi con Trump continuerà ancora con la nuova Amministrazione a prescindere da chi siederà alla Casa Bianca a partire da domani. 

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Iran

La vittoria di Biden potrebbe essere cambiare molte cose a proposito del dossier iraniano e ci sono pochi dubbi sul fatto che a Teheran oggi si faccia il tifo per il candidato democratico. Le sanzioni decise da Trump, dopo che aveva cancellato anni di negoziati sul nucleare, stanno impoverendo l'Iran e lo hanno reso più isolato che mai. Il regime deve fare i conti con un risentimento crescente nella popolazione e, nonostante le ostilità con gli americani nello Stretto di Hormuz, l'assassinio del comandante delle forze al Quds, Qassem Suleimani e la retorica anti americana dell'ayatollah Ali Khamenei, l'Iran si augura una nuova distensione, sulla scia dell'èra obamiana. Più nel concreto, ci si aspetta che il petrolio iraniano possa tornare sul mercato americano e che le sanzioni siano rimosse in cambio di qualche passo indietro sul programma nucleare. 

Il Golfo

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I paesi del Golfo non sono mai stati così divisi in vista del voto americano. Se il gruppetto formato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein fa il tifo per Trump, quello composto da Kuwait, Oman e soprattutto Qatar si schiera invece con Biden. Il primo terzetto ha sostenuto da subito la strategia inaugurata dall'attuale Amministrazione a proposito della normalizzazione delle relazioni con Israele. Doha invece è accusata da anni di sostenere i Fratelli musulmani e il terrorismo islamico e per questo dal 2017 è stata isolata dagli altri paesi del Gulf Cooperation Council. In generale,  gli equilibri delle alleanze nella regione sono influenzate da due punti in agenda: la chiusura americana all'Iran (che riguarda anche lo Yemen, dove gli Stati Uniti forniscono armi e sostegno militare alle forze sunnite) e l'apertura diplomatica a Israele. Entrambe le mosse sono state sostenute da Arabia Saudita, Bahrein e Emirati. Ma c'è anche un altro aspetto, quello dei diritti umani. Se Trump si è sempre dimostrato piuttosto insensibile all'argomento, più volte Biden ha invece condannato le violazioni dei sauditi nella guerra in Yemen, la espressione di ogni forma di dissenso e l'omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Difficile credere che il principe Mohammed Bin Salman voti per Biden. 

Israele e Palestina

Per il presidente americano le cose non vanno meglio se si guarda ai palestinesi. Dallo spostamento dell'ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme alla sponsorizzazione degli Accordi di Abramo fra Israele ed Emirati Arabi Uniti, le mosse di Trump hanno messo una pietra tombale sulla soluzione dei due stati. Senza dubbio, Abu Mazen voterebbe per Biden, ma attenzione: difficile credere che il candidato democratico, una volta alla Casa Bianca, decida di stracciato la via diplomatica segnata da Trump. La normalizzazione delle relazioni fra Israele e paesi del Golfo è il più importante passo successo conseguito dalla diplomazia americana nella regione negli ultimi anni. Per Biden, ignorarlo sarebbe un autogol imperdonabile. D'altra parte, Benjamin Netanyahu rischia di perdere con Trump un alleato decisivo: dall'Iran agli accordi di Abramo, il premier israeliano ha sposato la politica estera del presidente americano. Bibi è cosciente che, sebbene non sia Obama, è difficile credere che Biden resti in silenzio a proposito di questioni controverse come ad esempio quelle sugli insediamenti israeliani. 

Turchia

La propensione di Trump a chiudere un occhio quando si parla di diritti umani, ma soprattutto la sua fascinazione per lo stile di governo deciso e combattivo – a qualunque costo –, sono i motivi per cui il presidente americano riscuote l'apprezzamento di Recep Tayyip Erdogan. Se il presidente turco teme l'elezione di Biden è per almeno tre ragioni. La prima è che Trump – a parte le tensioni sull'interventismo turco in Siria lo scorso anno – ha finora lasciato mano libera a Erdogan in molti altri scenari (Libia, Nagorno Karabakh, Mediterraneo orientale), peraltro senza mettere in discussione l'adesione di Ankara alla Nato. La seconda, è che alcune dichiarazioni rilasciate in passato da Biden su un'ipotetica divisione dell'Iraq su basi etnico-religiose, accentuando così l'autonomia di sunniti, sciiti e – soprattutto – curdi, preoccupano Erdogan, in guerra perenne con il Pkk. La terza ragione è che Biden ha più volte attaccato i metodi autoritari del presidente turco e ha condannato le purghe di questi anni contro giornalisti, attivisti e giudici.

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