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La Francia di Macron, una speranza per tutti

Giuliano Ferrara

Se in America i conti dovessero tornare, l’astuzia dei tempi affiderebbe ai francesi una chiave di volta diplomatica, culturale e politica immensa in un mondo traumatizzato da populismi, nazionalismi e pandemie

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La Francia di Macron, allonsanfan, è a un crocevia storico. Se la realtà decide per la perversità, con la rielezione di Trump, tutto da rifare. Ma se per una volta i conti dovessero tornare, con la cancellazione dell’escrescenza al potere più straordinaria da generazioni, l’astuzia dei tempi affiderebbe ai francesi una chiave di volta diplomatica, culturale e politica immensa. Gli osservatori fanno i conti con l’intreccio tra le élite di governo dell’Eliseo e lo staff di Biden, buoni conti che parlano di affinità e relazioni potenzialmente molto solide. Le cose però vanno al di là di un giro di valzer delle strutture di comando a Parigi e a Washington. Nell’ambito della coordinazione franco-tedesca, che per la prima volta ha generato una nuova dimensione dell’Europa politica e istituzionale, emergerebbe una vera nuova leadership. Due anni fa sugli Champs Elysées era la pantomima della guerra civile a manifestarsi con la guerriglia e il chiasso incendiario dei gilet gialli, ora è il momento delle sfide serie e della lingua chiara, fatta di assi cartesiani, con cui la Francia può individuare i punti dirimenti dello spazio politico. Alla crisi e trasformazione dell’esperimento americano fa da contrappunto la vitalità possibile dell’esperimento francese, dall’origine proceduto in parallelo, con scambio di significati e di Statua della Libertà.

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La Francia di Macron, allonsanfan, è a un crocevia storico. Se la realtà decide per la perversità, con la rielezione di Trump, tutto da rifare. Ma se per una volta i conti dovessero tornare, con la cancellazione dell’escrescenza al potere più straordinaria da generazioni, l’astuzia dei tempi affiderebbe ai francesi una chiave di volta diplomatica, culturale e politica immensa. Gli osservatori fanno i conti con l’intreccio tra le élite di governo dell’Eliseo e lo staff di Biden, buoni conti che parlano di affinità e relazioni potenzialmente molto solide. Le cose però vanno al di là di un giro di valzer delle strutture di comando a Parigi e a Washington. Nell’ambito della coordinazione franco-tedesca, che per la prima volta ha generato una nuova dimensione dell’Europa politica e istituzionale, emergerebbe una vera nuova leadership. Due anni fa sugli Champs Elysées era la pantomima della guerra civile a manifestarsi con la guerriglia e il chiasso incendiario dei gilet gialli, ora è il momento delle sfide serie e della lingua chiara, fatta di assi cartesiani, con cui la Francia può individuare i punti dirimenti dello spazio politico. Alla crisi e trasformazione dell’esperimento americano fa da contrappunto la vitalità possibile dell’esperimento francese, dall’origine proceduto in parallelo, con scambio di significati e di Statua della Libertà.

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Alla guida della cordata europea rediviva, la Francia ha vantaggi decisivi nella corsa al primato decisionale: ha un’esposizione drammatica e costosa sul fronte della guerra all’islam politico, che Macron ha cominciato a chiamare con il suo nome; ha una caratura notevole, esaltata dall’abbandono britannico e dallo storico  Sonderweg della Germania, in fatto di forza militare; il liberalismo che ha messo i denti si avvantaggia del ruolo protettivo dello stato nell’economia sociale e della svolta del Recovery Fund o Next Generation Eu; la diplomazia con la force de frappe ha subìto colpi nel Mediterraneo orientale, in Libia, in Africa, nel medio oriente allargato ma con una svolta americana sarebbe in grado di cominciare a restituirli; le relazioni con Russia e Cina hanno un fondo ambivalente che può diventare una spinta propulsiva sullo scacchiere globale. Insomma, se le cose si mettono per un verso meno assurdista e meno anomalo degli ultimi quattro anni, il Misogallo, l’atteggiamento antifrancese, dovrà vedersela con un progetto dalle radici forti. Quando progettava e riprogettava un’Europa delle convergenze nazionali, della solidarietà culturale e tecnologica, Macron fu delicatamente sfottuto dalla Merkel, nella sua fase forzatamente immobilista, che lo accolse dopo il discorso della Sorbona dicendogli gioviale: “Ma lei è davvero pieno di idee”, che era un modo di intellettualizzare e dunque indebolire o raffreddare il suo peso e impulso politico. Ora quelle idee sono in parte una realtà e la costellazione dei fatti comincia a brillare su di esse come uno strumento di lavoro e di politica internazionale.

 

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L’Inghilterra potrebbe essere raggiunta dalle conseguenze delle sue azioni e improvvisazioni, ritrovandosi in mare aperto senza un approdo e uno scudo di sicurezza commerciale fondato sulla relazione speciale con Washington, non si vede un altro centro di propulsione e di potere in Europa in grado di contestare una preminenza francese solida (né i frugali né Visegrád né un futuro cancelliere diverso da Merkel), e il raccordo con la fascia meridionale della partnership di Bruxelles (Italia e Spagna prima di tutto) ha fatto notevoli passi avanti. La Francia è piena di problemi, e il nuovo confinamento li sottolinea in modo spettacolare nel giorno della strage islamista di Nizza, ma allo stato dei fatti torna a essere una speranza e un augurio per un mondo scombussolato e traumatizzato da populismi, nazionalismi e pandemie. 

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