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Un'operazione disperata dei trumpiani contro Biden finisce in fuffa

Daniele Ranieri

Lo "scoop" contro il figlio del candidato democratico non funziona perché il Wall Street Journal, che aveva tutto il materiale, non lo conferma. I media credibili contano di più della centrifuga online di scemenze e accuse che sembrava imbattibile

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All’inizio di ottobre anche nell’apparato trumpiano si pensava che la campagna di rielezione del presidente avesse bisogno “di una missione disperata di salvataggio”. Per questo motivo tre uomini della corte di Donald Trump – Arthur Schwartz, che si occupa di pubbliche relazioni, Eric Herschmann, che è un avvocato del presidente, e Stefan Passantino, ex consigliere della Casa Bianca – “si riunirono in una casa a McLean, in Virginia, per lanciare un’operazione” che secondo loro aveva il potenziale per rovinare la corsa di Joe Biden, a poche settimane dal voto. Come racconta Ben Smith, uno specialista di media che prima lavorava a Buzzfeed e ora ha un posto molto temuto al New York Times – temuto perché scova roba – i tre avevano invitato un reporter del Wall Street Journal, Michael Bender, per consegnargli del materiale compromettente contro il candidato democratico. Il Wall Street Journal è un giornale conservatore e credibile e l’uscita dell’inchiesta avrebbe coinciso con il secondo debate fra Trump e Biden. Il piano era trasformare il dibattito in un processo d’accusa.  Il materiale compromettente consisteva in una raccolta di messaggi di posta elettronica di Hunter Biden, il figlio di Joe, e nella disponibilità di un suo ex partner di affari, Tony Bobulinski, a testimoniare per dire che anche il candidato era coinvolto nei traffici del figlio.

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All’inizio di ottobre anche nell’apparato trumpiano si pensava che la campagna di rielezione del presidente avesse bisogno “di una missione disperata di salvataggio”. Per questo motivo tre uomini della corte di Donald Trump – Arthur Schwartz, che si occupa di pubbliche relazioni, Eric Herschmann, che è un avvocato del presidente, e Stefan Passantino, ex consigliere della Casa Bianca – “si riunirono in una casa a McLean, in Virginia, per lanciare un’operazione” che secondo loro aveva il potenziale per rovinare la corsa di Joe Biden, a poche settimane dal voto. Come racconta Ben Smith, uno specialista di media che prima lavorava a Buzzfeed e ora ha un posto molto temuto al New York Times – temuto perché scova roba – i tre avevano invitato un reporter del Wall Street Journal, Michael Bender, per consegnargli del materiale compromettente contro il candidato democratico. Il Wall Street Journal è un giornale conservatore e credibile e l’uscita dell’inchiesta avrebbe coinciso con il secondo debate fra Trump e Biden. Il piano era trasformare il dibattito in un processo d’accusa.  Il materiale compromettente consisteva in una raccolta di messaggi di posta elettronica di Hunter Biden, il figlio di Joe, e nella disponibilità di un suo ex partner di affari, Tony Bobulinski, a testimoniare per dire che anche il candidato era coinvolto nei traffici del figlio.

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Al Wall Street Journal una squadra di giornalisti cominciò a lavorare per confermare quel materiale e Trump dava la cosa ormai per fatta, tanto da comunicare ai suoi collaboratori che stava per uscire con un’inchiesta molto importante. Nella redazione questa anticipazione non fu accolta bene: si stava creando l’impressione che il Wall Street Journal facesse parte della campagna di rielezione del presidente. Comunque i giornalisti continuarono a lavorare. Nel frattempo Rudy Giuliani, avvocato e consigliere di Trump, aveva passato materiale simile – se non lo stesso –   a un tabloid di Murdoch, il New York Post, che il 14 ottobre provò a confezionare lo scoop-in-teoria-devastante contro Biden. Il pezzo accusava il democratico di essere coinvolto negli affari del figlio, ma non riusciva a provare la tesi. Inoltre Giuliani sostiene di avere trovato le mail dentro l’hard disk di un laptop abbandonato da Hunter Biden in un negozio per riparazioni, ma non ha ancora accettato di far esaminare l’hard disk a qualche esperto imparziale o a qualche giornalista e ci sono molti dubbi sulla sua versione. Anche Bobulinski, visto che la storia non decollava, decise di andare in tv a parlare ma senza cambiare la situazione. Il risultato è che il Wall Street Journal alla fine ha pubblicato un pezzo molto stringato, un antiscoop, per informare in modo laconico che “alcuni documenti d’affari non provano le accuse contro Biden”. Il terremoto prima del debate non ci fu. 

 
Ben Smith, che come si è detto viene da Buzzfeed e quindi non è un trombone che vagheggia sui valori del giornalismo ma un caimano che sguazza felice nel digitale, nota che c’è una differenza enorme con il 2016. Quattro anni fa i media tradizionali soffrivano di un complesso d’inferiorità rispetto all’assortimento infinito di pagine e gruppi social che era capace in un battito di ciglia di trasformare un sussurro non confermato in una notizia universale. Adesso il gioco non funziona più, è come se le notizie dovessero passare di nuovo per i media per acquistare il loro potere detonante. Apparire dal nulla nel circuito immenso dei tifosi non le rende credibili, non conferisce loro lo stesso peso. La storia dell’hard disk di Hunter è stata rilanciata da tutto l’apparato non ufficiale che fa da grancassa a Trump, ma non è diventata una notizia nazionale perché non è passata attraverso il lavoro di conferma di una redazione. Gli spettatori di Fox News e i fan del presidente sono stati esposti a una copertura ossessiva sull’argomento, il resto del paese no. 
E’ partito un secondo tentativo, questa volta più scadente, per tentare il “pizzagating” dell’hard disk di Hunter Biden: cioè per fabbricare una teoria del complotto a base di pedofilia e accuse infamanti, sempre con lo scopo di sabotare la campagna di Joe Biden (il Pizzagate era una bufala orrenda che spinse un uomo a fare irruzione armato in una pizzeria perché credeva che Hillary tenesse nello scantinato dei bambini. Il locale non aveva uno scantinato.  Il caso è conosciuto come Pizzagate, sarà studiato negli anni come esempio di propaganda che fa impazzire le persone). 

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