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La salvezza di Samsung

Il conglomerato più potente della Corea del sud perde il suo Caro leader ma aiuta il paese a uscire dalla crisi

Giulia Pompili

L'economia della Corea del sud ricomincia a crescere dopo la pandemia. Merito del contenimento dell’epidemia senza lockdown, dell’aumento dell’export, ma soprattutto grazie a un particolare sistema economico guidato dai grandi conglomerati industriali. Che cosa significa la morte di Lee Kun-hee per i chaebol sudcoreani

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Quella sudcoreana, dopo la Cina, è la seconda economia che ricomincia a crescere dopo la pandemia. Secondo i dati della Banca centrale coreana, diffusi ieri, nel periodo luglio-settembre il prodotto interno lordo del paese è cresciuto dell’1,9 per cento rispetto al trimestre precedente, quando era diminuito del 3,2 per cento. Merito del contenimento dell’epidemia senza lockdown, dell’aumento dell’export, ma soprattutto grazie a un particolare sistema economico guidato dai grandi conglomerati industriali, che per convenienza economica, certo, hanno aiutato il governo centrale nella risposta: negli ultimi giorni quel mondo industriale ha assistito alla notizia più importante degli ultimi anni.   

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Quella sudcoreana, dopo la Cina, è la seconda economia che ricomincia a crescere dopo la pandemia. Secondo i dati della Banca centrale coreana, diffusi ieri, nel periodo luglio-settembre il prodotto interno lordo del paese è cresciuto dell’1,9 per cento rispetto al trimestre precedente, quando era diminuito del 3,2 per cento. Merito del contenimento dell’epidemia senza lockdown, dell’aumento dell’export, ma soprattutto grazie a un particolare sistema economico guidato dai grandi conglomerati industriali, che per convenienza economica, certo, hanno aiutato il governo centrale nella risposta: negli ultimi giorni quel mondo industriale ha assistito alla notizia più importante degli ultimi anni.   

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 Adesso che l’uomo più ricco, potente e controverso della Corea del sud è morto a settantotto anni, probabilmente sarà più facile capire ciò che ha lasciato in eredità alla quarta economia d’Asia. Lee Kun-hee, l’imprenditore che ha trasformato la Samsung in un colosso mondiale, è stato uno degli uomini chiave dello sviluppo della Corea del sud: odiato, certo, ricchissimo, con quel senso di potere e intoccabilità che è tipico dell’industria sudcoreana, un tratto talmente caratteristico da essere periodicamente descritto anche nei film e nelle serie tv. Non si era mai ripreso dall’infarto avuto nel 2014, e la famiglia non ha reso note le cause del decesso, sabato scorso. Ma appunto, per raccontare l’evoluzione economica della Corea del sud, che oggi punta ad avere lo stesso peso politico del Giappone, perfino della Cina, bisogna conoscere la famiglia Lee: già da sei anni il colosso Samsung era nel caos, nel mezzo di una transizione difficile proprio per la struttura stessa dell’azienda, e per la tradizione che fa delle grandi aziende un affare di famiglia in Corea del sud.   Lo stesso Lee Kun-hee aveva ereditato la Samsung (si pronuncia “sam-son”, che in coreano significa “tre stelle”) nel 1987 dal padre e fondatore, l’imprenditore Lee Byung-chull, che nel 1938 aveva messo in piedi una azienda di import-export a Daegu. La storia del gruppo business più ricco e potente della Corea del sud ha a che fare con lo sviluppo del paese, proprio perché nel giro di due, tre generazioni non solo una piccola azienda si trasforma in un conglomerato mondiale ma l’intero paese esce dalla povertà e diventa trainante per l’economia asiatica. La relazione fortissima tra l’imprenditoria e la politica a sud del Trentottesimo parallelo ha creato un modello unico nel mondo: il sistema dei chaebol, i colossi industriali quasi sempre a conduzione familiare che come una piovra diramano le proprie aziende satellite in tutti i settori, dall’elettronica alle assicurazioni, dall’edilizia all’energia. 


La storia personale di  Lee Kun-hee è quella di molti imprenditori che dopo la Seconda guerra mondiale, in Asia orientale, riuscirono a trasformare il proprio modello di business adattandolo ai tempi, a volte anticipandoli. Lee era nato a Daegu, ma durante l’occupazione giapponese: gli studi all’università Waseda di Tokyo, ancora oggi una delle più prestigiose al mondo, gli diedero la capacità di vedere attraverso i rapporti diplomatici tra i due vicini nemici-amici. Nel 1947 il padre Lee Byung-chull, cioè dopo la fine della dominazione giapponese, aveva spostato gli affari di famiglia da Daegu a Seul – nella capitale, dove il business avrebbe potuto allargarsi. Ma nel 1950, con l’invasione della Corea del nord, molte cose cambiano: “Sia la società che il suo fondatore sono sopravvissuti agli anni turbolenti della guerra – una conclusione non scontata visto che molti aspiranti imprenditori hanno affrontato i plotoni d’esecuzione nordcoreani a quei tempi”, ha scritto qualche anno fa sul Korea Times Andrei Lankov, direttore del Korea Risk Group e uno dei massimi esperti della penisola. “Lee sapeva come avere successo. Mantenne rapporti intimi con il governo di Rhee Syng-man (presidente della Corea del Sud, dal 20 luglio 1948 al 3 maggio 1960, ndr) e questo lo aiutò a ottenere contratti più redditizi, spesso legati al commercio estero. Samsung allora produceva anche zucchero e tessuti. Verso la fine degli anni Cinquanta, Lee era considerato l’uomo più ricco di Corea, ma era anche visto come un simbolo di corruzione”. Gli imprenditori, nella sinistra sudcoreana, sono accusati di collaborare con i giapponesi, e quando nel 1961 c’è il colpo di stato del “16 maggio”, Lee si trova proprio in Giappone, con la sua moglie giapponese. Al potere sale Park Chung-hee, che decide di mettere in piedi un sistema di rilancio dell’economia dirigista e autoritario: fa rientrare dal Giappone Lee, gli chiede collaborazione   e  in cambio  chiude un occhio praticamente su tutti i suoi guai con la giustizia. Quella strategia diverrà fondamentale per il “miracolo sul fiume Han”, l’inizio della rincorsa economica sudcoreana, ma modificherà il sistema profondamente: a oggi il rapporto tra politica ed economia a Seul è così interdipendente che molto spesso i governi approvano amnistie per gli uomini d’affari e capi dei conglomerati, nutrendo quel senso di onnipotenza e intoccabilità che ancora oggi ruota attorno alle famiglie dei chaebol. 


Lee Kun-hee, cresciuto a fianco al padre anche in azienda, prende il potere assoluto della Samsung nel 1987, due mesi dopo la sua morte. In quel periodo Samsung produceva cose a basso prezzo, una specie di discount dell’elettronica. I competitor erano in America e nel vicino Giappone. Lee decide che è ora, per le “tre stelle”, di diventare qualcosa di più. Abbandonare la produzione di bassa qualità e scegliere il modello d’eccellenza. “La radicalità della transizione che aveva in mente fu  chiara quando nel 1993 convocò decine di manager della Samsung Electronics in un hotel di lusso a Francoforte. Per giorni tenne discorsi ai dirigenti, esortandoli ad abbandonare i vecchi modi di lavorare e pensare”, ha raccontato Raymond Zhong sul New York Times. E’ lì che nasce uno degli aforismi più famosi di Lee: “Cambia tutto tranne tua moglie e i tuoi figli”. E in effetti Lee Kun-hee nel 1967  sposa Hong Ra-hee, una giovane imprenditrice nel campo dell’editoria di buona famiglia, e con lei resta per tutta la vita.  Hong Ra-hee diventa la “fist lady Samsung”, e inizia la sua seconda vita come collezionista d’arte. Tra Pollock, Warhol, Rothko e artisti coreani, Hong si trasforma in una delle collezioniste più potenti d’Asia, e non a caso le mogli dei milionari sudcoreani, nei film e nei romanzi, vengono sempre rappresentate col pallino per l’arte – come la moglie della famiglia Park nel film premio Oscar “Parasite”, un film  prodotto dalla straordinaria Miky Lee, ormai leggenda della cinematografia asiatica-americana, che è la figlia del fratello maggiore di  Lee Kun-hee. La Royal family della Samsung ha quattro figli, e varie tragedie alle spalle. La figlia più piccola, Lee Yoon-hyung, nata nel 1979, aveva frequentato l’esclusiva università femminile Ewha, era destinata a una carriera da influencer: appassionata di sport estremi, aveva un blog molto seguito. Nel 2005, a ventisei anni, si è uccisa nel suo appartamento di Manhattan in circostanze ancora da chiarire. Il primogenito – l’unico maschio della famiglia Lee – è Jay Y. Lee, “il principino”. Cinquantuno anni, studi in Corea, Giappone e America, lavora alla Samsung insieme con il padre dagli anni Novanta, ed è già passato attraverso vari procedimenti legali oltre che un arresto. Ma era il 2017, l’epoca della “Mani pulite” alla coreana, quando chiunque avesse fatto affari con l’ex presidente poi finita sotto impeachment e arrestata, Park Geun-hye (la figlia del presidente con cui il nonno di Lee fece il famoso accordo) andava indagato. Di recente è stato incriminato per frode e manipolazione del mercato. E’ Jay Lee che molto probabilmente prenderà le redini della Samsung, in un momento in cui il presidente sudcoreano, Moon Jae-in, sta chiedendo a tutti i capitani d’industria di mettersi al lavoro e superare la difficile crisi della pandemia. Da anni i cittadini chiedono al governo di riformare il potere dei conglomerati, che si estende in tutti i settori e produce poca ricchezza. Moon in campagna elettorale lo aveva promesso. Ma durante una pandemia – come scriveva su Foreign Affairs David Volodzko, ex direttore del Korea JoongAng Daily – aziende satellite come la Samsung Biologics non hanno fatto altro che rafforzarsi, e soprattutto aiutare il governo a mantenere sicuro lo stato sociale e l’economia. 
Tutto questo, ovviamente, ha un prezzo. “La Repubblica della Samung” non è criticabile, scrive Geoffrey Cain nel recentissimo libro sul conglomerato che si chiama “Samsung Rising: Inside the secretive company conquering Tech” (2020, Virgin Books) e che si legge come un romanzo. Nel racconto di questa Repubblica indipendente, Cain fa spesso riferimento alla Corea del nord: perché se da una parte il possibile limite del sistema democratico coreano sono proprio i pochissimi e potentissimi gruppi d’influenza rappresentati dai chaebol, non c’è niente di democratico nemmeno nella struttura stessa dell’azienda, anzi. Chi viene assunto da un chaebol deve tutto al chaebol (la casa, l’assicurazione sanitaria, la scuola per i figli) e chi viene assunto dal chaebol più potente non ha ragione di criticare. “Se non vieni assunto da un chaebol non sei nessuno”, dice un coreano a Cain. Nel mezzo di una competizione tecnologica globale, la Repubblica della Samsung avrà perso il suo Caro leader, ma non la sua missione. 
 

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