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La demenza creativa di Trump

Daniele Ranieri

Dalla sua politica estera possiamo imparare alcune cose (che lui non sa) sull'America e sul mondo. Non ci piaceranno. Lo spiega l'Atlantic, che ha pubblicato un mini-saggio sorprendente

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Su certe cose aveva ragione Trump? Sono usciti quasi allo stesso tempo due articoli a favore del presidente americano, uno sul Financial Times e uno sulla rivista americana Atlantic. L’Atlantic in particolare è da anni che spara a zero contro Trump con letture lunghissime e intelligenti e quindi vale la pena di andare a vedere cosa dice questa volta. Sono articoli di nuovo lunghi, trattano entrambi di politica estera e non sono trumpiani fino in fondo perché gli autori non sono ciechi, vedono il caos e la perdita di senso causati da questa Amministrazione disfunzionale negli ultimi quattro anni. Non sono endorsement a Trump per il voto nazionale che arriva fra dieci giorni – anzi, che finisce fra dieci giorni per essere precisi perché cinquanta milioni di americani hanno già votato e altri lo stanno facendo. Sono testi che riconoscono il pericolo di altri quattro anni di presidenza Trump e chi non li riconosce? Di questo passo nel 2024 le conferenze stampa alla Casa Bianca le faranno gli svitati di QAnon e i virologi saranno messi fuori legge. Però dicono: attenzione, Trump fuori di casa ha fatto una cosa fondamentale. Ci ha rivelato una cosa che non ci piacerà e che non è una sua responsabilità. La politica estera americana stava fallendo da decenni e siamo troppo ingessati o educati per ammetterlo. Con un misto di arroganza, di vandalismo diplomatico, di ignoranza e di ingenuità infantile, il presidente americano ha invece indicato con il dito i problemi che facevamo finta di non vedere. Come un bambino che fa gaffe in pubblico perché dice la verità. I suoi critici potranno ribattere benissimo che forse non si è nemmeno accorto di cosa stava facendo, ma il punto è che lo ha fatto. 

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Su certe cose aveva ragione Trump? Sono usciti quasi allo stesso tempo due articoli a favore del presidente americano, uno sul Financial Times e uno sulla rivista americana Atlantic. L’Atlantic in particolare è da anni che spara a zero contro Trump con letture lunghissime e intelligenti e quindi vale la pena di andare a vedere cosa dice questa volta. Sono articoli di nuovo lunghi, trattano entrambi di politica estera e non sono trumpiani fino in fondo perché gli autori non sono ciechi, vedono il caos e la perdita di senso causati da questa Amministrazione disfunzionale negli ultimi quattro anni. Non sono endorsement a Trump per il voto nazionale che arriva fra dieci giorni – anzi, che finisce fra dieci giorni per essere precisi perché cinquanta milioni di americani hanno già votato e altri lo stanno facendo. Sono testi che riconoscono il pericolo di altri quattro anni di presidenza Trump e chi non li riconosce? Di questo passo nel 2024 le conferenze stampa alla Casa Bianca le faranno gli svitati di QAnon e i virologi saranno messi fuori legge. Però dicono: attenzione, Trump fuori di casa ha fatto una cosa fondamentale. Ci ha rivelato una cosa che non ci piacerà e che non è una sua responsabilità. La politica estera americana stava fallendo da decenni e siamo troppo ingessati o educati per ammetterlo. Con un misto di arroganza, di vandalismo diplomatico, di ignoranza e di ingenuità infantile, il presidente americano ha invece indicato con il dito i problemi che facevamo finta di non vedere. Come un bambino che fa gaffe in pubblico perché dice la verità. I suoi critici potranno ribattere benissimo che forse non si è nemmeno accorto di cosa stava facendo, ma il punto è che lo ha fatto. 

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Quando Trump dice che non ha senso pagare così tanto denaro americano per la Nato mentre i paesi europei che fanno parte della Nato mettono tariffe alte sui prodotti che vengono dagli Stati Uniti mette in crisi un accordo che va avanti da decenni, anzi mette in crisi una visione del mondo, eppure – scrivono gli autori dei due pezzi – è difficile dargli torto, c’è un rapporto sbilanciato. Lo dicono i numeri. Gli europei stanno approfittando della generosità americana e la danno per scontata. Quando Trump dice che non vede perché il Montenegro dovrebbe entrare a far parte della Nato perché poi se scoppiano dei guai tocca intervenire a difenderlo – meglio: tocca agli americani – inquadra bene un difetto delle alleanze di questi ultimi anni, peccano di ottimismo senza ragione, tendono a includere il più possibile senza pensare alle conseguenze future. Quando Trump dice che vuole ridurre a zero il numero dei soldati americani in Afghanistan dice una cosa che molti analisti militari si chiedono da un bel po’: che senso ha restare ancora, se in vent’anni la situazione è ancora questa e non facciamo progressi? La notizia di due giorni fa, data sul Washington Post, è che gli americani con discrezione ascoltano le comunicazioni via radio dei talebani (i fanatici hardcore afghani) impegnati in operazioni contro gli uomini dello Stato islamico (fanatici ultrahardcore afghani) e senza scambiare neanche una parola mandano gli aerei a bombardare dove serve di più ai talebani. Non era questo il piano quando è cominciato tutto, nel 2001. 

 

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Si può continuare. Che senso ha per i trumpiani passare per marionette dei russi – con Putin a fare il puparo – e ci sono molte ragioni per sospettare che sia così se poi gli europei aspettano tutti contenti la costruzione del gasdotto North Stream 2 che renderà ancora più dipendente l’Europa dalle forniture energetiche somministrate da Mosca? Trump usa con la Merkel dei toni talmente offensivi che se lei non avesse il sangue freddo da statista che è ci sarebbero un paio di rotture diplomatiche all’anno. Ma a fare più male sono gli insulti grossolani o la logica delle intemerate di Trump? La Cina: per anni si è creduto che l’apertura spettacolare al capitalismo avrebbe prodotto una società cinese più democratica e malleabile, invece quelli, i cinesi, hanno imparato ad abusare delle regole del gioco con impunità e ora ci troviamo davanti a uno stato autoritario con risvolti spaventosi e un’economia capitalista che tira più di tutti. 

 

Sono casi da discutere, possiamo aggiungerne due. Quando un drone del Pentagono ha incenerito il generale iraniano Qassem Suleimani sulla strada per Baghdad in molti hanno avvisato che stava per arrivare la guerra e si sono sprecate le citazioni dell’invasione americana di Baghdad nel 2003. Ma Trump non aveva nessuna intenzione di invadere un altro paese, nel suo stile da truffatore edile della New York anni Ottanta aveva capito che gli Stati Uniti hanno in mano un bastone molto più grosso dell’Iran. Basta non fare invasioni via terra, possono vincere qualsiasi scontro diretto – finché si tratta di darsi schiaffi a distanza. Senza sovrastrutture, senza geopolitica, senza scuole di pensiero a cui dirsi iscritto, come fanno invece tutta la classe colta di Washington che si occupa di politica estera e che un funzionario obamiano chiamava “the blob”. Le milizie di Suleimani continuavano a sparare missili contro le basi americane in Iraq, poi hanno assediato l’ambasciata americana a Baghdad e Trump ha usato il bastone. E’ lo stesso Trump che nel 2015 quando in un’intervista gli fecero una domanda a proposito della Forza al Quds, l’unità speciale comandata da Suleimani, capì Kurds, curdi, al posto di Quds. Non sapeva nemmeno chi fosse cinque anni fa, ma lo ha eliminato. Lo stesso si può dire per gli attacchi chimici in Siria. La distruzione dell’arsenale chimico nel 2013 grazie a un patto tripartito fra Amministrazione Obama, Putin e il rais siriano Assad fu una tragica frode, eppure Obama aveva parlato di “linea rossa”. Quando Assad ha usato le armi chimiche, Trump ha usato la forza. Non ci sono più stati attacchi con le armi chimiche.


La politica estera americana ha accumulato contraddizioni e buchi, Trump ci ha infilato il suo dito da bambino ingordo. Non ha uno straccio di proposta alternativa, non sa davvero come trovare un rimedio. Li ha resi visibili agli altri. Sono interessanti. Non valgono four more years. 
 

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