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Che ci fa una nave turca a Kastellorizo a cercare il gas che lì non c’è?

Luciana Grosso

Nel film “Mediterraneo”, quest’isola greca era definita “di importanza strategica zero”. Invece oggi è il fulcro nello scontro della Turchia con Europa, Russia e Israele

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C’è un’isola, al confine orientale dell’Egeo, attorno alla quale, in queste ore, ruotano le attenzioni di buona parte della diplomazia europea. Si chiama Kastellorizo, e scriverne equivale ad avventurarsi in un viaggio tra mille contraddizioni. A partire dal nome, Kastellorizo, che in realtà non è quello ufficiale: quello ufficiale è Megisti, che in greco significa “quella grande”. Il che è un’altra contraddizione per un’isola di nove chilometri quadrati di superficie e con una popolazione di 400 abitanti. Però, dato che le altre isole del suo arcipelago, quello del Dodecanneso, sono ancora più piccole, a lei spetta il titolo di quella grande. Un’altra contraddizione riguarda il fatto che si tratta di un’isola il cui nome dice poco o niente alla stragrande maggioranza delle persone, ma che tutti hanno visto, almeno una volta, almeno in parte, nel film “Mediterraneo” che lì è ambientato (con una buona dose di fantasia, visto che gli italiani, quelli veri, lasciarono l’isola nel settembre del 1943). Una contraddizione, poi, è anche il fatto che, nel film, l’isola viene definita di “importanza strategica zero”, ma l’importanza di questa isoletta è tutt’altro che zero e da mesi navi di ogni tipo incrociano nelle sue acque.

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C’è un’isola, al confine orientale dell’Egeo, attorno alla quale, in queste ore, ruotano le attenzioni di buona parte della diplomazia europea. Si chiama Kastellorizo, e scriverne equivale ad avventurarsi in un viaggio tra mille contraddizioni. A partire dal nome, Kastellorizo, che in realtà non è quello ufficiale: quello ufficiale è Megisti, che in greco significa “quella grande”. Il che è un’altra contraddizione per un’isola di nove chilometri quadrati di superficie e con una popolazione di 400 abitanti. Però, dato che le altre isole del suo arcipelago, quello del Dodecanneso, sono ancora più piccole, a lei spetta il titolo di quella grande. Un’altra contraddizione riguarda il fatto che si tratta di un’isola il cui nome dice poco o niente alla stragrande maggioranza delle persone, ma che tutti hanno visto, almeno una volta, almeno in parte, nel film “Mediterraneo” che lì è ambientato (con una buona dose di fantasia, visto che gli italiani, quelli veri, lasciarono l’isola nel settembre del 1943). Una contraddizione, poi, è anche il fatto che, nel film, l’isola viene definita di “importanza strategica zero”, ma l’importanza di questa isoletta è tutt’altro che zero e da mesi navi di ogni tipo incrociano nelle sue acque.

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La ragione di questa centralità sta in un’altra contraddizione e cioè nel fatto che l’isola è sì greca (lo stabilisce la storia e lo stabilisce il trattato di Parigi del 1947, visto che gli italiani la avevano occupata) ma è lontanissima dalla Grecia e a un tiro di schioppo dalla Turchia: per raggiungere Kastellorizo dalle coste turche basta un quarto d’ora di traghetto; per raggiungerla da Rodi, che è l’isola greca più vicina, invece, ne occorrono più di tre. La cosa, non ha mai creato problemi a nessuno. Anzi. Per decenni (o addirittura per secoli) Kastellorizo è stato un efficiente esempio di convivenza tra Grecia e Turchia, con i pescatori greci che andavano a vendere ai mercati turchi, con i tour operator turchi che portavano i turisti sull’isola greca, o con i ragazzi greci e turchi che, alla sera, facevano la spola tra i locali dell’una o dell’altra parte della costa. Ma nell’ultimo anno, questo equilibrio si è rotto e dopo mesi di tensione, confini chiusi, e scontri diplomatici, la scorsa estate la Turchia ha mandato una sua nave, la Oruc Reis, scortata da una flottiglia della marina turca, a scandagliare le acque di Kastellorizo in cerca di gas naturale. Gas naturale che, qualora ci fosse, solo la Grecia avrebbe diritto di sfruttare, perché nelle sue acque territoriali e nella sua Zee (Zona economica esclusiva, che comprende tutte le acque entro 200 miglia nautiche dalla costa).

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Così, la risposta greca a questa incursione turca è stata ovvia, l’invio di altre navi, accompagnate da un richiamo formale alla Turchia da parte dell’Ue a non sconfinare in Grecia. La situazione sembrava risolta, ma pochi giorni fa la stessa nave turca è ripartita alla volta di Kastellorizo. E qui, c’è un’altra contraddizione, forse la più interessante di tutte. Molto probabilmente nelle acque di Kastellorizo del gas che la nave Oruc Reis sta cercando non c’è traccia. La ragione delle incursioni navali turche nelle acque greche non ha nulla o quasi a che fare con il gas, che probabilmente non c’è, ma con una molto più complessa disputa territoriale e marittima che riguarda le Zee, costituite da accordi internazionali che la Turchia non ha mai sottoscritto e che, dunque, non riconosce. E non riconosce proprio per il fatto che, a un miglio dalla sua costa c’è l’isola greca di Kastellorizo, punta all’estremo oriente del territorio greco. Il problema è che, se si fa finire la costa greca (come è) a Kastellorizo, la Zee greca si prenderebbe (anzi si prende) una fetta importante dell’area di sovranità marittima che la Turchia rivendica per sé. E di fatto chiude la Turchia in un angolo tra la zona di competenza cipriota, quella greca e quella egiziana e ne limita molto (di certo più di quanto vorrebbe il presidente turco Recep Tayipp Erdogan) lo spazio di azione.

 

Per questo, di recente, il presidente turco ha deciso di far saltare il tavolo, sia andandosi a prendere (con un accordo con il leader libico Fayez al Sarraj) le acque libiche, che ha dichiarato Zee turca, sia rivendicando diritti sulle acque che sono sì greche, ma a ridosso delle coste della Turchia. La faccenda sarebbe già complicata di suo, per ragioni di rivalità storiche oltre che di effettiva contiguità territoriale, ma si fa ancor più complicata se si amplia il quadro e ci si mette di mezzo il gas. Non quello di Kastellorizo, che forse c’è forse no, ma quello che già, di sicuro è stato trovato nelle acque di Egitto, Cipro e Israele. Si tratta di giacimenti enormi: Leviathan (circa 450 miliardi di metri cubi) e Tamar (circa 318 miliardi di metri cubi), di Israele; Afrodite (circa 129 miliardi di metri cubi) e Calipso (con un potenziale di 170-230 miliardi di metri cubi) di Cipro e soprattutto quelli di Zohr e Nour (circa 850 miliardi di metri cubi) dell’Egitto che aspira a diventare uno dei massimi esportatori del Mediterraneo. Tutto questo gas, però, per fruttare davvero, deve essere esportato. E per esportarlo, servirà un gasdotto.

 

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Qui entra in gioco la Turchia perché, per come sono messe le cose ora nel Mediterraneo, la cosa più semplice sarebbe quella di connettere i giacimenti di Egitto, Israele e Cipro alla Turchia, e da lì alla Trans-adriatic pipeline (Tap) e dunque all’Italia e all’Europa. Ma l’idea piace poco o nulla sia all’Unione europea, che non vuole che la Turchia giochi un ruolo così strategico nei suoi approvvigionamenti, sia ai paesi produttori stessi, che che con Ankara non hanno buoni rapporti. Così, Israele, Egitto e Cipro (forse con il silenzioso placet dell’Ue) hanno ben pensato di tagliare la Turchia fuori dai giochi, costruendo un nuovo gasdotto, l’EastMed, che, da progetto, dovrebbe tirare una linea dritta nel Mediterraneo a sud della Turchia, connettendo direttamente Egitto, Israele e Cipro con Creta e da lì con il resto della Grecia e dell’Europa. L’idea, come è facile immaginare, ha fatto infuriare Erdogan che vede la cosa come una tripla sconfitta: economica, perché lo escluderebbe da un’importantissima partita; politica, perché gli farebbe perdere il suo ruolo di arbitro nelle questioni di raccordo tra nord Africa e Mediterraneo; ed energetica, perché porrebbe la Turchia in condizione di non poter né cercarsi il suo gas (perché non ha acque Zee a sufficienza) né di poter trasportare quello degli altri.

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Per questo, per rovinare i piani a chi il gas lo ha già trovato, Erdogan ha mandato le sue navi a cercare il gas lì dove probabilmente non c’è; per questo, per fare da ostacolo, più che da costruttore, ha voluto creare, proprio al centro del bacino, una grande area di competenza turco-libica. “L’accordo con la Libia ha la funzione di ostacolare questo progetto, consentendo ad Ankara di avanzare dei pretesti legali per rallentare l’opera”, scrive l’Ispi in una sua analisi. E, poiché si parla di contraddizioni, l’ultima riguarda il fatto che buona parte della politica estera turca degli ultimi mesi dalla Siria al Nagorno Karabach, dalla Libia alla Grecia, ha a che fare non tanto con gli affari turchi all’estero, quanto con la politica interna: “Erdogan, in questo momento, ha a che fare con un grave problema di perdita di popolarità e di consenso – ci spiega Valeria Giannotta del Centro studi di Politica internazionale – e per recuperare sta puntando forte sul nazionalismo e sul senso di accerchiamento che molti turchi avvertono. La Turchia è un paese nel quale si dice ‘L’unico amico di un turco è un turco’, e per Erdogan, in questo momento, è vitale puntare sul nazionalismo e sulla creazione di nemici esterni per compattare il suo elettorato”.

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Per questo Erdogan sta puntando sulla rottura con tutti i paesi che circondano la Turchia, dall’Ue alla Russia fino al medio oriente, per trasformare queste evidenze geografiche in senso di accerchiamento – vogliono indebolire il nostro paese, dobbiamo rafforzarci – e per far considerare la Turchia un interlocutore indispensabile. Perché questo grande quadro sia possibile, per Erdogan l’unica strada è passare da una minuscola isola di pescatori e turisti italiani che si fanno i selfie davanti alla casa di Vassilissa. Quella, oppure sedersi a un tavolo con l’Unione europea, per parlare, piaccia o no, oltre che delle mille questioni sul tavolo da anni, come migranti e divisione di Cipro, anche di gas e Zee. Se l’obiettivo di Erdogan era quello di diventare un interlocutore impossibile da ignorare, è probabile lo abbia raggiunto.

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