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Un'indagine globale

Voi che siete stanchi della democrazia, parliamone

I millennial hanno meno fiducia nella democrazia rispetto ai loro genitori e nonni quando avevano la loro stessa età. Inchiesta sul disamore (con colpo di scena)

Paola Peduzzi

l report sottolinea però che il disamore nei confronti della democrazia non coincide con una passione per i regimi o per i cosiddetti ibridi illiberali. Il disamore per la democrazia si trasforma in antipolitica, e non ci sarebbe nulla di male – il cambiamento! – se non fosse che l’antipolitica ha iniziato ad assomigliare all’illiberalismo. Qui c’è uno dei messaggi più rassicuranti di tutto lo studio: l’ondata di populismo iniziata nel 2015 sta facendo cambiare idea ai disamorati

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Un’indagine del Centre for the Future of Democracy dell’Università di Cambridge mostra che i millennial, la generazione delle persone nate tra il 1981 e il 1996, hanno meno fiducia nella democrazia rispetto ai loro genitori e nonni quando avevano la loro stessa età. Questo avviene soprattutto in America, Regno Unito, Australia ed Europa del sud, ma anche in altre parti del mondo: è la prima volta che accade, questa è la prima generazione di 20-30enni che è per la maggior parte insoddisfatta di come funziona la democrazia.

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Un’indagine del Centre for the Future of Democracy dell’Università di Cambridge mostra che i millennial, la generazione delle persone nate tra il 1981 e il 1996, hanno meno fiducia nella democrazia rispetto ai loro genitori e nonni quando avevano la loro stessa età. Questo avviene soprattutto in America, Regno Unito, Australia ed Europa del sud, ma anche in altre parti del mondo: è la prima volta che accade, questa è la prima generazione di 20-30enni che è per la maggior parte insoddisfatta di come funziona la democrazia.

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Lo studio è stato condotto su quasi cinque milioni di persone in 160 paesi utilizzando dati raccolti dal 1973 al 2020 e dice che il disamore nei confronti delle istituzioni democratiche non è sempre stato forte: negli anni Novanta era più debole, sono stati gli anni Duemila e in particolare lo choc finanziario del 2008 a farlo crescere. Il fattore economico è alla base della disaffezione: la democrazia non funziona per me, non rende la mia vita migliore, anzi sto peggio di come stavano i miei genitori alla mia età – è “l’esclusione economica” la ragione principale del disamore. Conta anche la stanchezza, o forse sarebbe meglio dire: la tendenza a dare per scontato molte cose.

 

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Un esempio: l’Europa. “I dati empirici dicono che c’era un ‘dividendo di soddisfazione giovanile’ nel processo di adesione all’Unione europea. Quando ci si doveva conquistare l’accesso, le politiche sui visti, l’abbassamento delle restrizioni sul commercio, l’armonizzazione della legislazione produssero un aumento tangibile nella soddisfazione giovanile rispetto ai gruppi di persone più anziane. I dati però mostrano anche che questo dividendo è stato di breve termine (…) Una volta che il processo di adesione si è completato l’ottimismo è evaporato e i cittadini degli stati appena entrati hanno dovuto affrontare i loro problemi interni”. La memoria conta molto nella disgregazione della fiducia nella democrazia: gli esperti del Centre for the Future of Democracy riscontrano “una stanchezza da transizione” in alcuni paesi – nell’Europa del sud per esempio –  dove il ricordo dell’esperienza dell’autoritarismo e delle battaglie per la democrazia diventa col tempo più sfocato.

 

Il report sottolinea però che il disamore nei confronti della democrazia non coincide con una passione per i regimi o per i cosiddetti ibridi illiberali. Roberto Foa, lo studioso che ha guidato il team che ha condotto l’indagine, dice al Foglio che “un buon punto di partenza” per comprendere questo fatto è “la teoria del sociologo britannico Colin Crouch secondo il quale le democrazie dell’occidente si erano trasformate in ‘post democrazie’ dove la politica ha iniziato a essere gestita da una classe di politici percepiti come lontani, che hanno adottato tecniche aziendali come sondaggi o pubbliche relazioni. I millennial, che sono cresciuti in questo mondo post democratico e affrontano problemi reali come la disoccupazione, la difficoltà di comprare casa, fare carriera, formare una famiglia, percepiscono i partiti come una scelta artificiale e così sono più propensi a sostenere gli outsider”.

 

Il disamore per la democrazia si trasforma in antipolitica, e non ci sarebbe nulla di male – il cambiamento! – se non fosse che l’antipolitica ha iniziato ad assomigliare all’illiberalismo. Qui c’è uno dei messaggi più rassicuranti di tutto lo studio: l’ondata di populismo iniziata nel 2015 sta facendo cambiare idea ai disamorati.   I paesi che hanno eletto leader populisti – di sinistra e di destra – iniziano a vedere una “ripresa nella soddisfazione giovanile verso la democrazia”. Cioè, si sogna un’alternativa alla democrazia, ma quando questa si concretizza in queste forme alternative distruttive, si torna sui propri passi. Il più grande antidoto al populismo è il populismo stesso insomma, almeno nel breve termine, perché nel lungo gli effetti sul tessuto democratico dei paesi è difficile da prevedere.

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La grande eccezione a questa inversione di tendenza è Donald Trump, il presidente di teflon: “Ha aiutato a mobilitare nuovi elettori nelle generazioni più giovani e nelle minoranze – dice Foa – e se guardiamo i dati della sua popolarità si vede che ha perso sostegno tra i più anziani ma ne ha guadagnato tra i più giovani”. Perché i giovani sono anche i più polarizzati, i meno propensi al confronto perché rifiutano il concetto di “uguaglianza” con chi la pensa in modo diverso da loro.

 

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Molti studiosi sostengono che i disaffezionati dovrebbero fare un giro non tanto nei campi di lavoro dello Xinjiang: bastano le città “lgbt free” della Polonia per sperimentare qual è l’alternativa alla democrazia. Il prof. di Cambridge è più costruttivo: “Se la sfida del populismo spinge i partiti moderati e i loro leader a invertire i trend del risentimento, invece che cercare soltanto di risistemare politiche del passato – dice Foa – allora il populismo può lanciare la rinascita democratica, e non sancire il suo graduale declino”.

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