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Ottobre colpo basso

Daniele Ranieri

Rudy Giuliani tenta un colpo last minute per distruggere Biden, ma è così poco credibile che i giornalisti dello scoop si tirano indietro e Twitter oscura tutto

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Quando al New York Post, un tabloid di Rupert Murdoch, è arrivato l’avvocato di Trump, Rudy Giuliani, con delle presunte prove molto gravi contro Joe Biden, i due giornalisti che avrebbero dovuto scrivere il pezzo si sono tirati indietro. Avevano dubbi seri sulla credibilità della storia (persino Fox News l’aveva rifiutata). In teoria l’articolo doveva essere una “October surprise”, vale a dire una notizia sconvolgente che travolge proprio all’ultimo l’andamento di una campagna elettorale – in questo caso di Joe Biden, il candidato democratico che nei sondaggi ha molti punti di distacco rispetto a Donald Trump. In pratica alla fine uno dei due, Bruce Golding, ha accettato di scrivere l’articolo ma senza firmarlo (è una cosa che non succede, soprattutto se hai in mano informazioni spettacolari). Però c’era bisogno di indicare qualcuno come autore perché uno scoop da prima pagina senza firme sarebbe ridicolo. E così il pezzo alla fine è stato firmato da Emma-Jo Morris, che non aveva mai scritto prima un solo pezzo ed è arrivata al giornale ad aprile dopo anni passati a lavorare con Sean Hannity, il giornalista televisivo che Trump sente spesso come consigliere, e da Gabriella Fonrouge, una giornalista che ha scoperto che il suo nome era stato messo sull’articolo soltanto quando ha visto il giornale stampato (le fonti che raccontano queste cose al New York Times sono interne al New York Post). 

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Quando al New York Post, un tabloid di Rupert Murdoch, è arrivato l’avvocato di Trump, Rudy Giuliani, con delle presunte prove molto gravi contro Joe Biden, i due giornalisti che avrebbero dovuto scrivere il pezzo si sono tirati indietro. Avevano dubbi seri sulla credibilità della storia (persino Fox News l’aveva rifiutata). In teoria l’articolo doveva essere una “October surprise”, vale a dire una notizia sconvolgente che travolge proprio all’ultimo l’andamento di una campagna elettorale – in questo caso di Joe Biden, il candidato democratico che nei sondaggi ha molti punti di distacco rispetto a Donald Trump. In pratica alla fine uno dei due, Bruce Golding, ha accettato di scrivere l’articolo ma senza firmarlo (è una cosa che non succede, soprattutto se hai in mano informazioni spettacolari). Però c’era bisogno di indicare qualcuno come autore perché uno scoop da prima pagina senza firme sarebbe ridicolo. E così il pezzo alla fine è stato firmato da Emma-Jo Morris, che non aveva mai scritto prima un solo pezzo ed è arrivata al giornale ad aprile dopo anni passati a lavorare con Sean Hannity, il giornalista televisivo che Trump sente spesso come consigliere, e da Gabriella Fonrouge, una giornalista che ha scoperto che il suo nome era stato messo sull’articolo soltanto quando ha visto il giornale stampato (le fonti che raccontano queste cose al New York Times sono interne al New York Post). 

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La notizia era così poco credibile che Twitter ha fatto una cosa che non aveva mai fatto prima e ha reso impossibile farla circolare, perché ne ha riconosciuto la natura di calunnia creata per infangare Biden a tre settimane dal voto – o meglio, a tre settimane dalla fine delle operazioni di voto, perché un numero record di americani sta già votando. Se provavi a scrivere il link del pezzo in un tweet, il tweet non partiva più.

 

La storia è basata su alcune presunte mail – anzi: foto di mail – di Hunter Biden, il figlio di Biden, che nel 2015 avrebbe sfruttato il fatto di essere figlio del vicepresidente Biden per ottenere favori d’affari in Ucraina. Alcune mail potrebbero essere originali e mescolate ad altre contraffatte, per ora non c’è modo di saperlo. Giuliani sostiene di esserne venuto in possesso perché gliele ha passate un riparatore di computer del Delaware. Il riparatore dice che Hunter nell’aprile del 2019 gli ha dato tre laptop da aggiustare, ma poi non li ha ripresi, allora lui ha letto tutte le mail e siccome alcune erano sospette ha consegnato l’hard disk all’Fbi, ma prima ha fatto quattro copie e una l’ha data a Giuliani, a dicembre. Hunter però lavora a Los Angeles, non si capisce perché ha lasciato il laptop nel Delaware, perché l’Fbi avrebbe preso in consegna un hard disk da un riparatore e poi avrebbe taciuto, perché Giuliani avrebbe aspettato dieci mesi prima di farsi avanti. Secondo le specifiche che si vedono nelle foto, quell’hard disk non era nemmeno ancora stato fabbricato quando secondo il racconto fu consegnato al riparatore. Si capisce perché i giornalisti del Post si sono tirati indietro. Sospettano che si tratti di una manovra dell’ultimo momento per rovesciare la campagna elettorale.

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Giuliani non vuole mostrare a nessuno le mail originali, ma solo le foto – ma prima o poi se ha materiale originale dovrebbe spiegare come lo ha avuto. Nel 2016 le mail del Partito democratico furono rubate dall’intelligence russa e poi consegnate a Wikileaks. Nel dicembre 2019 l’intelligence americana avvisò il presidente Trump che Giuliani era il bersaglio di una campagna di disinformazione dell’intelligence russa: in breve, volevano passargli informazioni false. Ma tutta questo appartiene ancora alla realtà. La faccenda “hard disk di Hunter Biden” è già precipitata nell’universo alternativo del grande assortimento americano di complottisti di destra che sostiene, senza alcuna prova, che contenesse materiale pedofilo. 

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