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Chi sono i tre candidati alle elezioni in Bolivia

Alle urne per scegliere 130 deputati, 36 senatori, ma soprattutto il presidente

Maurizio Stefanini

Luis Arce (ex ministro di Morales), Carlos Mesa (ex presidente) e Luis Fernando Camacho (fan del brasiliano Bolsonaro), il voto di domenica è un'opportunità per il futuro del paese. Un occhio ai sondaggi e alle alleanze

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Un anno dopo, si torna al voto in Bolivia. Le elezioni erano state fissate prima per il 3 maggio, poi il 2 agosto e il 6 settembre, ma erano sempre state rimandate a causa dell'emergenza Covid. Alla fine si andrà infine alle urne domenica per scegliere 130 deputati, 36 senatori, ma soprattutto il presidente e il vicepresidente. 

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Un anno dopo, si torna al voto in Bolivia. Le elezioni erano state fissate prima per il 3 maggio, poi il 2 agosto e il 6 settembre, ma erano sempre state rimandate a causa dell'emergenza Covid. Alla fine si andrà infine alle urne domenica per scegliere 130 deputati, 36 senatori, ma soprattutto il presidente e il vicepresidente. 

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“Siamo gli unici che possono impedire che il Mas torni al potere e crediamo nella necessità di dare una risposta a tre crisi fondamentali: salute, economia corruzione”, dice Carlos Mesa: candidato del fronte centrista Comunità Cittadina. Giornalista, storico, tra 6 agosto 2002 e 17 ottobre del 2003 vicepresidente di quel Gonzalo Sánchez de Lozada che fu costretto alle dimissioni da una protesta popolare guidata da Evo Morales. Mesa, fino al 9 giugno del 2005, è stato presidente, poi costretto alle dimissioni da un’altra protesta popolare guidata da Evo Morales. Infine, il 20 ottobre del 2019 Mesa è diventato il principale candidato dell’opposizione alle elezioni, in seguito alla protesta popolare che per asseriti brogli costrinse Evo Morales non solo alle dimissioni, ma addirittura a scappare all’estero.  

 

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“Vinceremo con oltre il 50 per cento e ci ricorderemo dei nostri caduti e dei nostri eroi per la democrazia. Il popolo è immortale, il Mas è immortale”, ha gridato il candidato del Movimento al Socialismo, Luis Arce, nel comizio di chiusura di mercoledì. Morales non solo è in Argentina, ma è oggetto di una quantità di inchieste: per i brogli elettorali; per le violenze scatenate da suoi sostenitori; per corruzione; per presunti finanziamenti occulti a Podemos; addirittura per pedofilia (per una compagna che adesso ha 19 anni, ma quando iniziò la relazione ne aveva 14). Il partito ha dunque candidato colui che fu il ministro dell’Economia e Finanze di Morales dal 23 gennaio del 2006 al 24 giugno del 2017 e poi di nuovo dal 23 gennaio al 10 novembre del 2019. A lui è stato dato merito per la buona gestione che ha assicurato alla Bolivia di Morales alti tassi di crescita del pil, del 5 per cento l’anno. Doveva dunque essere un candidato moderato, ma nel clima di scontro si è radicalizzato anche lui.   

 

“Non si può ricostruire la democrazia con chi si si è messo d’accordo con il Mas. Tra masismo e mesismo alla fine c’è una sola lettera di differenza”, dice Luis Fernando Camacho. Già leader civico della rivolta che contro i brogli di Moralers si scatenò a Santa Cruz. Adesso candidato per la coalizione “Crediamo”, nei comizi piange quando mostra la Bibbia e invoca Dio. I seguaci lo chiamano “Macho Camacho”; i detrattori “Facho Camacho”. Il suo modello chiaro è Bolsonaro.  Paradossalmente, proprio Camacho potrebbe però far vincere Arce. In Bolivia c’è un sistema che permette infatti al presidente di essere eletto al primo turno non solo con il 50 per cento più uno, ma anche con il 40 per cento, se si ha un distacco di almeno 10 punti sul secondo classificato. I sondaggi di ottobre danno Arce tra il 27 e il 36 per cento, Mesa tra il 24 e il 27 e Camacho tra il 10 e il 14. Gli stessi sondaggi assicurano che al secondo turno non ci sarebbe storia: vincerebbe Mesa, facendo il pieno del voto anti-Morales. Ma c’è almeno un 20 per cento di indecisi che potrebbe determinare risultati a sorpresa. Appunto per non disperdere il voto anti-Morales lo scorso 17 settembre la presidente a interim Jeanine Áñez ha annunciato il suo ritiro a favore di Mesa, quando ha visto che non avrebbe comunque oltrepassato il 10 per cento.  

 

La volta scorsa Evo Morales si era ricandidato malgrado la Costituzione lo vietasse e un referendum per modificarla fosse stato bocciato,  facendo dichiarare al Tribunale Costituzionale Plurinazionale che si sarebbe violato un diritto all’elettorato passivo  sancito dalla Convenzione Americana dei Diritti Umani. Per “blindare” la decisione aveva però chiesto di avvallarla all’Organizzazione degli Stati Americani, il cui segretario Luis Almagro è da tempo in prima linea contro Maduro, e che così ha potuto a sua volta dimostrare di non essere fissato pregiudizialmente contro i governi di sinistra radicale. All’Osa è stato così affidato il controllo del voto, ma l’Osa ha poi denunciato i brogli che hanno portato alle proteste, all’ammutinamento della Polizia e alla fuga di Morales. Adesso Morales assicura che accetterà i risultati, ma avverte che non ci si può fidare del controllo dell’Osa. C’è timore di scontri, e la stessa Ue ha rivolto un appello alla calma.    

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