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Contro l'algoritmo

"Boxed out", la guerriglia dei librai contro Amazon

Questa settimana i librai indipendenti d’America si sono mobilitati in concomitanza con gli Amazon Prime Days

Francesca Pellas

"Boxed out", lo slogan di questa campagna di marketing, è un gioco di parole per denunciare il modello di business che sta “facendo fuori” i librai, ma anche un riferimento alle scatole a marchio Amazon. Le librerie si sono armate: scatole ovunque e vetrine coperte da slogan che dicono “Lasciamo la distopia a Orwell, per piacere”, “libri consigliati da una persona in carne e ossa, non da un algoritmo inquietante che vuole vendervi un deodorante”

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Non è un bel momento per essere librai in America. Stando a quanto riferisce la American Booksellers Association (ABA), da quando è iniziata la pandemia ogni settimana negli Stati Uniti ha chiuso almeno una libreria. Eppure le vendite complessive di libri sono salite, specie durante il lockdown. Com’è possibile? La risposta, ovviamente, è Amazon.

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Non è un bel momento per essere librai in America. Stando a quanto riferisce la American Booksellers Association (ABA), da quando è iniziata la pandemia ogni settimana negli Stati Uniti ha chiuso almeno una libreria. Eppure le vendite complessive di libri sono salite, specie durante il lockdown. Com’è possibile? La risposta, ovviamente, è Amazon.

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Nel 2020 la metà degli acquisti di libri cartacei (l’80 per cento nel caso degli e-book) è passata attraverso il gigante dell’e-commerce di proprietà di Jeff Bezos (i dati sono del sottocomitato Antitrust della Camera americana). Ma questa settimana i librai indipendenti d’America si sono mobilitati. In concomitanza con gli Amazon Prime Days, ovvero i giorni in cui su Amazon ci sono grandi sconti, hanno dato il via a una campagna di guerrilla-marketing che hanno chiamato “Boxed Out”.

E' un gioco di parole per denunciare, da un lato, il modello di business che li sta “facendo fuori”, ma anche un riferimento alle scatole a marchio Amazon che, specie in una città come New York, si vedono a ogni angolo di strada. Le librerie si sono armate: scatole ovunque e vetrine coperte da slogan che dicono “Lasciamo la distopia a Orwell, per piacere”, “libri consigliati da una persona in carne e ossa, non da un algoritmo inquietante che vuole vendervi un deodorante”, e “comprate libri da gente che vuole vendere libri, non colonizzare la luna” (qui il riferimento è al progetto spaziale di Bezos, Blue Origin).

L’idea è della ABA, a realizzarla è stata l’agenzia DCX di Brooklyn. E proprio a Brooklyn si trovano alcune delle librerie simbolo della campagna, come il Greenlight Bookstore, nel quartiere Fort Greene. “Amazon attrae clienti grazie ai prezzi convenienti, ma se li può permettere perché paga poco i suoi dipendenti e non paga l’Iva né le imposte sul reddito; quindi, rispetto a una normale attività come la nostra, non sostiene lo stato né le infrastrutture locali”,  dice al telefono Jessica Stockton Bagnulo del Greenlight Bookstore. “Oltretutto i dipendenti di Amazon lavorano a ritmi folli, in condizioni poco sicure, per far sì che i prodotti siano consegnati in tempi ultra rapidi. Noi e tanti altri facciamo del nostro meglio per garantire tutele e sicurezza al nostro staff, nonché per sostenere la nostra comunità ed economia locale: Amazon fattura miliardi senza prendersi nessuna di queste responsabilità”.

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A New York partecipa anche quella che è forse la libreria indipendente più famosa della città, dopo Strand: la McNally Jackson Books, fondata a SoHo da Sarah McNally, figlia di una storica famiglia di librai canadesi, insieme all’ex marito Chris Jackson, potentissimo editor afroamericano della casa editrice One World. Nel tempo la McNally Jackson si è espansa fino a comprendere altre tre librerie, di cui due a Brooklyn, e due cartolerie; Sarah McNally ha dichiarato al New York Times che quest’anno i sei negozi non guadagnano, in totale, quanto in un mese normale guadagnerebbe la sola libreria di SoHo.

Il problema ovviamente non tocca solo New York, ma tutto il paese. “Amazon fa sconti che una qualsiasi libreria non potrebbe mai permettersi, e a risentirne è l’intera filiera editoriale, perché un lettore adesso si aspetta che i libri costino meno”,  racconta al telefono Danny Caine del Raven Bookstore di Lawrence, Kansas. “Per fare gli stessi prezzi di Amazon e riuscire a rimanere aperti, ogni sei giorni dovremmo vendere fino all’ultimo libro che abbiamo in negozio. Amazon guadagna abbastanza con tutto il resto da potersi permettere, sui libri, di perdere qualcosa: noi no. Non è facile rimanere a galla, abbiamo spesso paura”.

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L’impossibilità per un piccolo di competere con gli sconti di un colosso era un problema già ben illustrato dal film "C’è posta per te" di Nora Ephron, solo che qui la partita non si gioca tra una libreria di quartiere e una di catena, ma tra tutte le librerie d’America e il sito di e-commerce più grande della Terra e forse un giorno anche della luna. Eppure, sia in un luogo come Brooklyn, dove il senso di comunità è ancora molto forte, sia in una città nel mezzo del Kansas, a fare la differenza sono sempre le persone.

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Al party virtuale di riapertura del Greenlight Bookstore dopo il lockdown (durante, la libreria faceva solo consegne a domicilio o “curbside pickup”, ovvero consegna sicura dal negozio al marciapiede antistante), hanno partecipato tanti scrittori che abitano lì vicino, da Jia Tolentino a Nathan Englander. “Ero strabiliata”,  dice Jessica. “E quando abbiamo riaperto c’era gente che piangeva, felice di essere finalmente di nuovo qui”. Dal Kansas, Danny racconta: “Andare a consegnare libri durante la pandemia mi ha reso felice. C’era chi mi lasciava biglietti gentili, chi mi gridava ‘grazie!’ mentre facevo retromarcia. Lì mi dicevo: al diavolo la paura, faccio ancora il mestiere più bello del mondo”.

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