Contro l'ancient régime
Le proteste in Thailandia. Borghesia e studenti all'attacco del re
Da mesi i manifestanti di Bangkok chiedono le dimissioni del premier Chan-ocha, la riforma costituzionale e il ritorno a una vera democrazia. La Rivoluzione francese come modello da seguire
“Potremmo seguire il modello francese” ha dichiarato uno dei giovani che dal pomeriggio del 15 ottobre occupano il centro di Bangkok. Sono decine di migliaia, nonostante sia stato dichiarato un “rigoroso” stato d’emergenza. In questo caso il modello non sono i gilet jaune, nè il Sessantotto. È quello stabilito nel 1789 dalla Rivoluzione francese. Se n’è avuta una rappresentazione plastica nella foto – forse casuale, certamente simbolica – che ritrae il passaggio dell’auto della regina Suthida tra due ali di manifestanti il 14 ottobre. Il volto della regina, perfettamente a fuoco dietro il finestrino, appare smarrito, quasi impaurito. Era la prima volta che una folla di manifestanti arrivava così vicino a un membro della famiglia reale, salvo quando si trattava di manifestazioni di devozione e la folla era in ginocchio.
Alla base delle manifestazioni che si susseguono da oltre due mesi, c’è la richiesta delle dimissioni del premier Prayuth Chan-ocha, la riforma costituzionale e il ritorno a una vera democrazia. L’ex generale Prayuth è al governo dal 2014, prima al comando della giunta militare che prese al potere con il colpo di stato di quell’anno (il diciannovesimo dopo l’istituzione della monarchia costituzionale 1932), poi primo ministro autonominato, infine premier di un partito che alle elezioni del 2019 ha ottenuto la maggioranza grazie a una modifica costituzionale che ne assicurava la maggioranza. Dopo le elezioni, quello che ormai va definendosi come l’espressione dell’Ancien Régime, ha sciolto il Future Forward, il partito d’opposizione fondato dal giovane miliardario Thanathorn Juangroongruangkit (bandito dalla vita politica) che aveva ottenuto un eccezionale risultato tra i giovani.
La crisi latente ha trovato terreno di coltura nella pandemia. In Thailandia ha fatto molti meno morti di un week-end sulle strade ma è stata anche un’ottima scusa per il governo per dichiarare una sorta di legge marziale che si è rivelata un perfetto sistema di controllo. La chiusura quasi totale del paese, inoltre, giustificata per tutelare il Regno da contagi esterni, ha generato una crisi economica inimmaginabile in un paese occidentale. Ma anche questa è divenuta lo strumento per propagandare un nuovo modello di sviluppo. Come dimostra uno spot televisivo che inneggia alla decrescita felice, al ritorno alle radici tradizionali, quasi un rimpianto dell’antico regno del Siam.
Il vero e proprio detonatore della crisi è il nuovo re Maha Vajiralongkorn, che sembra credersi un Devaraja, il dio-re, cui tutto è concesso. Compresa la nomina del Supremo Patriarca buddhista e il controllo del patrimonio della corona, così come ha affidato alla guardia reale il controllo della capitale. Viene in mente la frase “L’état c’est moi” attribuita a Luigi XIV (“Thailand’s king seeks to bring back absolute monarchy” titola anche l’Economist).
Ecco perché è stato infranto il supremo tabù thailandese. Alla trinità “Nazione, religione, monarchia” i manifestanti hanno opposto lo slogan, “Nazione, religione, il popolo”. Allo stesso modo il gesto simbolo delle manifestazioni, il braccio alzato con tre dita unite, ripreso dal film Hunger Games per indicare l’opposizione alla tirannide, oggi è interpretato come l’unione dei valori di Liberté, Égalité, Fraternité della Rivoluzione francese. Il manifesto della contestazione thailandese, del resto, è quello letto la sera del 10 agosto nel campus della Thammasat University di Bangkok, dalla ventunenne Panusava Sithijirawattanakul: dieci punti che richiedevano una forte limitazione dei poteri reali.
Paradossalmente è proprio questo contenuto da “rivoluzione culturale” che potrebbe proteggere i manifestanti dalla repressione. Almeno com’è accaduto sino alla notte di Bangkok del 15 ottobre. Innanzitutto, perché è espresso da figli di una borghesia medio-alta. Non più quei “bufali rossi”, com’erano definiti i popolani e i contadini delle proteste del 2010 (represse nel sangue). Inoltre il nuovo re si è alienato anche le simpatie di molti conservatori perché trascorre più tempo all’estero, in Germania, che in Thailandia, mantenendo un comportamento che fa “perdere la faccia” al paese. Si può anche ipotizzare che tra i militari ci siano “giovani turchi” disturbati dalle nomine ad alte cariche della regina o della concubina del re. Del resto, la rivoluzione del ’32 che segnò la fine della monarchia assoluta fu condotta dai militari. Le grandi famiglie che controllano l’economia thai, poi, temono che una repressione violenta come nel 2010, potrebbe provocare sanzioni economiche dell’Unione Europea e degli Stati Uniti (tanto più nel caso venga eletto Joe Biden).
Ma ci sono altri fattori che potrebbero portare a una rottura dello stallo, come l’unione tra le forze studentesche e le camicie rosse, che hanno avuto tempo di organizzarsi (e probabilmente armarsi) e che potrebbe essere sostenuta finanziariamente da Thanatorn. Viene in mente il Direttorio della Rivoluzione francese.