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I colpi di Lukashenka contro la Bielorussia

Micol Flammini

A Minsk la protesta non è più fatta di cuoricini, la repressione del regime è diventata spietata. La foto del dittatore con gli oppositori e le granate contro i manifestanti

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Roma. Durante il fine settimana i bielorussi sono scesi in strada per manifestare contro il dittatore Aljaksandr Lukashenka. Lo fanno da due mesi: marciano, cantano, protestano. Ogni fine settimana ha la sua preparazione, come ha raccontato la poetessa Julia Cimafiejeva in un articolo sul Financial Times. Anche lei e suo marito partecipano ai cortei e ogni domenica sanno che devono vestirsi con cura, potrebbero trascorrere almeno una notte in ospedale o in galera. Sanno che devono portare qualche provvista perché il corteo deve rimanere unito il più a lungo possibile e in quelle ore le persone iniziano ad avere fame e sete. Sanno che devono pulire la memoria del cellulare, perché la prima cosa che fa la polizia per trattenerti è cercare materiale compromettente nel telefono. Prima di uscire di casa bisogna annaffiare abbondantemente le piante e lasciare molto cibo agli animali perché chi esce per manifestare non sa mai quando tornerà e in quali condizioni. Lo scorso fine settimana è stato uno dei più violenti per le strade di Minsk e di altre città bielorusse, il ministero dell’Interno ha detto che sono state arrestate più di settecento persone. Gli arresti sono una pratica comune, i manifestanti sanno che la polizia attacca nel momento in cui il corteo inizia a disperdersi, anche per questo a volte le marce durano tantissimo, è come se le persone non volessero mai lasciarsi: uno rappresenta la salvezza dell’altro. Quando i manifestanti tornano a casa, vengono attaccati e domenica le immagini diffuse erano più dure del solito.

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Roma. Durante il fine settimana i bielorussi sono scesi in strada per manifestare contro il dittatore Aljaksandr Lukashenka. Lo fanno da due mesi: marciano, cantano, protestano. Ogni fine settimana ha la sua preparazione, come ha raccontato la poetessa Julia Cimafiejeva in un articolo sul Financial Times. Anche lei e suo marito partecipano ai cortei e ogni domenica sanno che devono vestirsi con cura, potrebbero trascorrere almeno una notte in ospedale o in galera. Sanno che devono portare qualche provvista perché il corteo deve rimanere unito il più a lungo possibile e in quelle ore le persone iniziano ad avere fame e sete. Sanno che devono pulire la memoria del cellulare, perché la prima cosa che fa la polizia per trattenerti è cercare materiale compromettente nel telefono. Prima di uscire di casa bisogna annaffiare abbondantemente le piante e lasciare molto cibo agli animali perché chi esce per manifestare non sa mai quando tornerà e in quali condizioni. Lo scorso fine settimana è stato uno dei più violenti per le strade di Minsk e di altre città bielorusse, il ministero dell’Interno ha detto che sono state arrestate più di settecento persone. Gli arresti sono una pratica comune, i manifestanti sanno che la polizia attacca nel momento in cui il corteo inizia a disperdersi, anche per questo a volte le marce durano tantissimo, è come se le persone non volessero mai lasciarsi: uno rappresenta la salvezza dell’altro. Quando i manifestanti tornano a casa, vengono attaccati e domenica le immagini diffuse erano più dure del solito.

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La polizia, gli Omon, tutti vestiti di nero, coperti dalla testa ai piedi, hanno picchiato i manifestanti, e arrestato anche gli uomini della Croce Rossa che erano sul posto per curare i bielorussi feriti dalla polizia: alcune immagini mostrano persone anziane con la testa sanguinante che vengono stipate nei pulmini delle forze dell’ordine. I manifestanti vengono bastonati, spesso vengono feriti anche dai colpi dei proiettili di gomma e il ministero dell’Interno ha detto che presto, se le manifestazioni contro Lukashenka andranno avanti, si passerà ai proiettili veri. I bielorussi accusano Lukashenka di essersi insediato senza aver vinto le elezioni del 9 agosto, Lukashenka continua a ripetere di aver ottenuto l’80 per cento, e continua a pensare che prima o poi le proteste contro di lui si fermeranno, o per stanchezza o per paura. Per questo la repressione si fa più dura ogni settimana. 

 

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Le manifestazioni stanno cambiando, non  ci sono più gli abbracci tra le ragazze, che prima non venivano arrestate, e gli uomini della polizia che, spaesati, si lasciavano stringere e baciare. Non si vedono più le schiere di bielorusse vestite di bianco e di studenti seduti a cantare l’inno davanti all’università, non si sentono più gli slogan ammiccanti e spiritosi, la storia della protesta bielorussa non è più rappresentata dai cuoricini della leader dell’opposizione Maria Kalesnikava davanti agli scudi della polizia. La Kalesnikava è stata arrestata, tutti i leader dell’opposizione sono stati costretti a espatriare e i cortei di Minsk e delle principali città bielorusse ormai sono un racconto di violenza e di repressione, di delusione ma anche di speranza e ostinazione. I manifestanti continuano a essere pacifici, è il regime che ha deciso di reprimere a ogni costo e con ogni mezzo il dissenso. Ieri in strada sono scesi i pensionati, molti di loro avevano cartelli in cui si scusavano con i giovani per aver sostenuto Lukashenka in passato, e la polizia per disperdere la protesta ha usato granate e proiettili di gomma. 

 

 

La scorsa settimana il dittatore bielorusso ha prima diramato un mandato di cattura per Svjatlana Tikhanovskaya, la candidata dell’opposizione che è stata costretta a scappare in Lituania. Anche la Russia ha aggiunto la Tikhanovskaya nella lista dei ricercati, una decisione che non è piaciuta ai manifestanti che finora non hanno mai mostrato sentimenti antirussi, ma che cominciano a essere delusi dal Cremlino. Sabato, prima di dare l’ordine di reprimere le proteste con una violenza mai vista prima, Lukashenka si era fatto fotografare mentre attorno a un tavolo discorreva con alcuni rappresentanti dell’opposizione arrestati. Nessuno di loro sorrideva, non si sa cosa si siano detti, ma il dittatore è stato molto attento a far sembrare l’incontro una chiacchierata, quasi un negoziato. Dopo la foto, due oppositori sono stati rilasciati, poteva sembrare un segnale di distensione, così lo ha interpretato anche Tikhanovskaya: “Vuol dire che ci stiamo muovendo bene”. Le immagini dell’incontro, pubblicate dal governo, erano probabilmente uno dei messaggi contrastanti che sta lanciando il dittatore, che non sa più come rimanere aggrappato al potere. Vuole liberarsi della piazza e sperava di accontentarla con una foto assieme agli oppositori, ma non è questo che vogliono i bielorussi. Sono scesi in strada, si sono vestiti con cura, hanno liberato la memoria del telefono, hanno dato l’acqua alle piante e sono andati a manifestare. Pronti ormai a tutto, anche alla violenza. 

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