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Trump narciso e criminale fino all’eroismo

Giuliano Ferrara

Non basta una malattia a fare di un clown e di un estorsore, di un pagliaccio cattivo e molesto, di un americano di cui ci si vergognerà per decenni, un eroe nero di Marlowe o di Shakespeare. Buona guarigione e si tolga di mezzo

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La malattia infantile del narcisismo implica infine l’eroismo, l’epica, la grande narrazione, a conforto dell’ego. E’ di nuovo una colossale impostura, ma se hai conquistato l’America scendendo da una scala mobile della Trump Tower, insultando i tuoi competitori, imponendo d’autorità la tua malaparola contro gli handicappati, contro i messicani, contro i neri venuti dagli shithole countries, contro deboli di ogni sorta e specie, predicando la forza contro il carnaio delle élite compreso il ferrovecchio del Grand Old Party, minacciando di galera gli avversari, invocando in glorioso balbettio l’America First e Great nei muscoli dell’immaginazione populista, sempre con un lessico di settecento parole (Philip Roth), le conseguenze dell’impostura sono che la tua storia deve finire a ogni costo con lo sventolio di una bandiera simbolica potente: il negazionismo, la libertà dalla pandemia, fare finta che non ci siano i duecento e passa mila morti, che la storia del mondo da un anno non ruoti intorno alla potenza ultramicroscopica di un virus, ridurre il tutto a una caciara sanitaria per una banale influenza procurata per complotto da cinesi, esperti e pudibondi portatori di mascherine. Ecco a voi il cosiddetto presidente Trump (con tutto il corteggio di loschi imbecilli che nel mondo gli hanno retto il moccolo).

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La malattia infantile del narcisismo implica infine l’eroismo, l’epica, la grande narrazione, a conforto dell’ego. E’ di nuovo una colossale impostura, ma se hai conquistato l’America scendendo da una scala mobile della Trump Tower, insultando i tuoi competitori, imponendo d’autorità la tua malaparola contro gli handicappati, contro i messicani, contro i neri venuti dagli shithole countries, contro deboli di ogni sorta e specie, predicando la forza contro il carnaio delle élite compreso il ferrovecchio del Grand Old Party, minacciando di galera gli avversari, invocando in glorioso balbettio l’America First e Great nei muscoli dell’immaginazione populista, sempre con un lessico di settecento parole (Philip Roth), le conseguenze dell’impostura sono che la tua storia deve finire a ogni costo con lo sventolio di una bandiera simbolica potente: il negazionismo, la libertà dalla pandemia, fare finta che non ci siano i duecento e passa mila morti, che la storia del mondo da un anno non ruoti intorno alla potenza ultramicroscopica di un virus, ridurre il tutto a una caciara sanitaria per una banale influenza procurata per complotto da cinesi, esperti e pudibondi portatori di mascherine. Ecco a voi il cosiddetto presidente Trump (con tutto il corteggio di loschi imbecilli che nel mondo gli hanno retto il moccolo).

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Ha flirtato a metà con la negazione dell’epidemia per mesi e mesi, ha lasciato nella desolazione più impreparata il suo paese, ha cercato per ogni dove capri espiatori, ha detto che bisognava liberare gli stati (liberate Kentucky, liberate Minnesota) dagli obblighi civici a costo di assaltare i governatorati democratici a mano armata, ma alla fine ha preso la brutta influenza che si sa, decisamente più esposta delle altre all’esito clinico tragico e in molti casi letale, e l’ha trasmessa a legioni di collaboratori. A questo punto uscire in barella dalla Casa Bianca sarebbe stata la pietra tombale della sua presidenza di un solo buffonesco mandato. Di qui il gran teatro. Ne è uscito con le sue gambe, in rapido anticipo, per una breve degenza steroidea al Walter Reed Hospital. E dopo una parata propagandistica per i fan patrioti, ecco il gran ritorno, sempre sulle sue gambe, in una Casa Bianca dove un ospedale di primissima classe è sempre attrezzato per un presidente malato, in questo caso di Covid, e ci si può togliere la mascherina, si può registrare un video in cui si accenna al pericolo che il Top Banana sta correndo per il bene di un paese aperto, che non deve richiudere, che deve fottersene delle conseguenze e riabilitarsi contro le sagge prescrizioni dei dottor Fauci. Si toglie la mascherina, dopo aver deriso Biden che ne portava una grande e grossa, e indossa la maschera. La maschera dell’eroe, ultima spiaggia di una campagna elettorale compromessa dai fatti e dalla sua stupida presunzione di poterli narrare come si fa in televisione.

 

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Pensando alla modestia di Berlusconi, che lo ha preceduto in tutto tranne che nell’abissale impudicizia e volgarità, uno augura all’Impostore di guarire presto e togliersi definitivamente dai coglioni. Non basta una malattia a fare di un clown e di un estorsore, di un pagliaccio cattivo e molesto, di un americano di cui ci si vergognerà per decenni, un eroe nero di Marlowe o di Shakespeare. Boris Johnson, europeo, ha ammainato la bandiera del gregge, ed è più morto che vivo, politicamente. Trump, narcisista di tendenza criminale, ha innalzato quella dell’illusionismo antinazionale e antipatriottico, e che vada a finire where he belongs.

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