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Bruxelles discute sanzioni contro i turchi

Ascari, droni e navi, la ricetta della Turchia per lasciare indietro l’Europa

Daniele Ranieri

Anche nella guerra in Nagorno-Karabakh Erdogan usa la ricetta "tecnologia più milizie siriane" che l'ha reso invincibile. Con l'idea fissa di espandersi nel Mediterraneo e la questione ci riguarda

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Ieri sera è cominciato il Consiglio europeo e tra i dossier affrontati c’è la possibilità di imporre sanzioni alla Turchia, per punire le sue manovre aggressive nel mare di Cipro. La Turchia appare quasi ovunque nelle notizie dall’estero ed è nel mezzo di molte crisi – e spesso sono crisi che riguardano anche l’Italia. Ha un ruolo dominante a Tripoli in Libia, dove con un’esibizione di forza militare ha di fatto terminato la guerra civile. E’ coinvolta nella guerra appena ricominciata nel Nagorno-Karabakh tra armeni e azeri. E’ impegnata in uno scontro diplomatico molto rischioso con la Grecia e con Cipro. E’ spuntata fuori anche in Somalia, dove l’intelligence turca ha dato un contributo fondamentale per risolvere il sequestro di Silvia Romano.

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Ieri sera è cominciato il Consiglio europeo e tra i dossier affrontati c’è la possibilità di imporre sanzioni alla Turchia, per punire le sue manovre aggressive nel mare di Cipro. La Turchia appare quasi ovunque nelle notizie dall’estero ed è nel mezzo di molte crisi – e spesso sono crisi che riguardano anche l’Italia. Ha un ruolo dominante a Tripoli in Libia, dove con un’esibizione di forza militare ha di fatto terminato la guerra civile. E’ coinvolta nella guerra appena ricominciata nel Nagorno-Karabakh tra armeni e azeri. E’ impegnata in uno scontro diplomatico molto rischioso con la Grecia e con Cipro. E’ spuntata fuori anche in Somalia, dove l’intelligence turca ha dato un contributo fondamentale per risolvere il sequestro di Silvia Romano.

Per capire questa Turchia ci sono un paio di concetti che aiutano. Il primo è che  Erdogan ha creato un tandem molto efficace, ascari siriani più droni, che adesso proietta dove vuole per fare operazioni di guerra. Per ascari siriani s’intendono gli ex ribelli anti Assad del nord della Siria che in questi anni si sono convertiti in forze militari filoturche – anche perché altrimenti non saprebbero come campare. Ankara li ha usati in campagne progressivamente più lontane dalle loro basi. Prima li ha schierati contro lo Stato islamico nella regione di Aleppo e contro i curdi nel cantone di Afrin. Di fatto quelle regioni siriane oggi sono un pezzo di Turchia, sono allacciate alla griglia elettrica turca, hanno la lira turca come moneta, usano i servizi postali turchi e nelle scuole si canta l’inno turco, ma non lo sono ancora dal punto di vista formale. Poi li ha spostati a fare la guerra contro i curdi siriani nei cantoni di confine molto più a est, con il beneplacito dell’Amministrazione Trump. Così la Turchia s’è presa un altro pezzo di Siria. Poi li ha spostati in Libia, dove si sono occupati di difendere la capitale della Libia dall’avanzata del generale Khalifa Haftar. Adesso ci sono testimonianze credibili sul fatto che la Turchia li stia spostando ancora una volta per gettarli al fianco degli azeri nel conflitto contro gli armeni per la regione del Nagorno Karabakh. L’altro pezzo di questo tandem sono i droni. Un centinaio circa di droni Bayraktar – e questo nome dovrebbe diventare noto come quello dei Predator americani considerata la sua influenza ubiqua – che sono diventati la mano pesante della politica estera della Turchia. I droni turchi a furia di missili hanno creato una zona buffer di quindici chilometri nell’Iraq del nord dove i curdi del Pkk non possono mettere più piede – è una storia poco raccontata ma è stata un grande test. I droni a febbraio hanno fermato un’avanzata di Assad nella regione di Idlib e hanno incenerito decine di veicoli militari. Hanno fatto lo stesso a Tripoli. Ora i Bayraktar dati dalla Turchia agli azeri stanno distruggendo decine di bersagli armeni fra le colline scoperte del Nagorno-Karabakh. Ascari siriani più droni, è diventata la scelta di default della Turchia per prendersi un posto dominante nell’area. 


L’altro concetto importante è quello di patria blu, mavi navat, vale a dire il fatto che la Turchia vuole considerare dei tratti di mare come se fossero parte integrante del territorio nazionale terrestre – quindi da difendere a tutti i costi senza discussioni. Il problema è che i confini della patria blu non sono così legittimi come quelli di terra e questo apre una serie di problemi enormi con Cipro, la Grecia e l’Europa. L’idea della patria blu è nata nel 2006 da due alti ufficiali della Marina turca che non c’entrano con il milieu del presidente Erdogan, anzi: nazionalismo militare, di quello in perenne rotta di collisione con la Turchia musulmana. Ma i due grazie a una serie di svolte politiche si sono trovati dalla stessa parte di Erdogan e la loro proposta mezza tecnica e mezza ideologica – che la Turchia deve impadronirsi di ampie zone marine per dormire sonni tranquilli e stabilire la sua naturale superiorità su tutta la regione – ha trovato in Erdogan un ascoltatore molto attento. 

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