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Tra le righe dell'accordo tra Roma e Tunisi

Arianna Poletti

Da ottobre aumenteranno i rimpatri di tunisini dall’Italia. Le tante ombre sull'intesa tra Lamorgese e Mechichi

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In seguito all’aumento degli sbarchi a Lampedusa e dell’interruzione dei voli charter verso la Tunisia durante i mesi dell’emergenza Covid-19, il numero di migranti rimpatriati aumenterà temporaneamente a partire da ottobre. In via straordinaria nuovi voli verranno aggiunti a quelli bisettimanali che già trasportano 80 tunisini, accompagnati da due agenti di sicurezza ciascuno, dall’aeroporto di Palermo a quello di Enfidha-Hammamet. Così è stato concordato tra il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, e il neopremier tunisino Hichem Mechichi, a capo del governo tecnico in carica da inizio settembre.

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In seguito all’aumento degli sbarchi a Lampedusa e dell’interruzione dei voli charter verso la Tunisia durante i mesi dell’emergenza Covid-19, il numero di migranti rimpatriati aumenterà temporaneamente a partire da ottobre. In via straordinaria nuovi voli verranno aggiunti a quelli bisettimanali che già trasportano 80 tunisini, accompagnati da due agenti di sicurezza ciascuno, dall’aeroporto di Palermo a quello di Enfidha-Hammamet. Così è stato concordato tra il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, e il neopremier tunisino Hichem Mechichi, a capo del governo tecnico in carica da inizio settembre.

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È proprio a Mechichi, ex ministro dell’Interno, che Lamorgese stringeva la mano il 27 luglio durante una prima visita a Tunisi, seguita da un altro incontro con Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, Ylva Johansson, commissaria europea per gli Affari interni, e Olivér Varhelji, commissario per l’Allargamento, ad agosto. Di ritorno a Roma, Lamorgese aveva annunciato che 11 milioni di euro presi dai fondi del Viminale riservati all’accoglienza sarebbero stati trasferiti alla Tunisia per potenziare il controllo delle frontiere. Da allora la stampa tunisina si interroga sui contenuti di quell’accordo bilaterale che, come dopo ogni aumento notevole delle partenze, viene riconfermato e implementato, ma mai reso pubblico. Con l’annuncio dell’istituzione di voli speciali, le richieste di chiarimento da parte della società civile si sono moltiplicate.

 

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Il Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes), principale organizzazione non governativa del paese nordafricano, ha diffuso un comunicato per chiedere al governo più trasparenza sui negoziati in corso con l’Italia. Insieme ad altre associazioni locali, il Forum ha anche depositato al tribunale amministrativo di Tunisi una richiesta di accesso all’informazione sul contenuto dell’accordo. Il presidente Kais Saied e il governo da lui nominato, infatti, sembrano evitare accuratamente di pronunciarsi sulla questione rimpatri. L’unica dichiarazione a riguardo è arrivata durante una conferenza stampa indetta in tutta fretta lunedì 21 settembre, durante la quale il ministro degli esteri Othman al Jerandi ha negato l’esistenza di “pressioni da parte del governo italiano” e si è limitato a far notare che “l’espulsione dei migranti tunisini è conforme agli accordi conclusi tra i due paesi”.

 

L’intesa tra Italia e Tunisia si fonda su un accordo firmato a Tunisi il 5 aprile 2011 dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, il suo corrispettivo tunisino Habib Hessib e il premier ad interim Béji Caïd Essebsi, a capo di quel governo provvisorio impegnato nell’organizzazione delle prime elezioni parlamentari post rivoluzione. Nel corso del 2011, infatti, più di 50 mila tunisini hanno tentato di attraversare lo stretto per cercare fortuna in Italia. Basandosi su una nota verbale risalente al 1998, i due governi hanno elaborato un testo che prevedeva, a partire dal 5 aprile a mezzanotte, il rimpatrio dei migranti di nazionalità tunisina con procedure semplificate in cambio di aiuti economici ed equipaggiamento tecnico.

 

Un accordo da considerare “caduco” per Antonio Manganella, avvocato a Tunisi specializzato in questioni migratorie, “perché mai passato per le mani di un Parlamento”. Secondo la Costituzione tunisina del 2014, l’esecutivo è responsabile unicamente della conclusione di trattati internazionali riguardanti questioni tecniche o amministrative. Per gli accordi sulle frontiere nazionali, invece, la validazione spetta al Parlamento. Anche il presidente della Repubblica tunisina, è scritto nell’articolo 77, ha il diritto di ratificare i trattati internazionali. Dato che il paese attende ancora l’istituzione della sua Corte Costituzionale, questo gomitolo legislativo non è mai stato districato: per la legge tunisina, ha validità un accordo internazionale passato per le mani di un governo e non per quelle di un organo eletto?

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“Proprio in questo contesto caotico si colloca il trattato bilaterale tra Italia e Tunisia. Si tratta di un’anomalia giuridica perché la sua approvazione, come è stato il caso di altre convenzioni bilaterali di questo tipo, avrebbe dovuto seguire l’iter parlamentare”, spiega Manganella. Invece, l’accordo non è neanche mai stato iscritto nella gazzetta ufficiale della Repubblica. Di fronte a un trattato dal contenuto così opaco, per l’avvocato “è difficile anche solo poter identificare il percorso di ratifica corretto”. E la mancanza di trasparenza non riguarda solo la Tunisia. In Italia la procedura è più chiara solo in parte: “Qualsiasi accordo internazionale – ricorda Manganella – per legge è soggetto a pubblicazione. In più, qualora inteso come accordo di natura politica, l’articolo 80 della nostra Costituzione prevede la ratifica da parte del capo dello stato dopo l’autorizzazione del Parlamento”.

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