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Trump pianifica il caos per il post voto

Domanda: presidente, si impegna oggi a una transizione pacifica dopo le elezioni? Risposta: “Be’, dobbiamo vedere che succede”

Paola Peduzzi

L'esito peggiore non è quello in cui Trump rifiuta l’esito delle elezioni, ma quello in cui usa tutto il suo potere a disposizione per far sì che il risultato non sia negativo per lui. Questo potere è molto grande e si esercita nei 79 giorni di interregno tra il 3 novembre e il 20 gennaio. C’è però ancora (almeno) un grado di separazione tra il piano del presidente e un regime

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Gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno detto che non possono considerare Aljaksandr Lukashenka il presidente eletto della Bielorussia. Lukashenka, che dice di aver vinto con l’80 per cento dei voti le elezioni di agosto, ha convocato settecento funzionari a un incontro segreto per autoproclamarsi presidente, mentre le proteste contro di lui e il suo imbroglio per restare al potere continuano pacifiche (pacifici sono i manifestanti, non i custodi del regime). Qualche ora dopo, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, rispondeva alle domande dei giornalisti in conferenza stampa alla Casa Bianca. Domanda: presidente, si impegna oggi a una transizione pacifica dopo le elezioni? Risposta di Trump: “Be’, dobbiamo vedere che succede”, “il voto via posta è un disastro, lo sapete tutti e lo sanno soprattutto i democratici”, “non ci sarà un passaggio di potere, ci sarà una continuazione del potere”. Poco dopo Mitt Romney, repubblicano del Senato americano ed ex candidato alla presidenza, ha twittato: “La transizione pacifica è fondamentale per la democrazia; se non c’è, c’è la Bielorussia. Ogni insinuazione sul fatto che il presidente possa non rispettare questa garanzia costituzionale è allo stesso tempo impensabile e inaccettabile”.

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Gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno detto che non possono considerare Aljaksandr Lukashenka il presidente eletto della Bielorussia. Lukashenka, che dice di aver vinto con l’80 per cento dei voti le elezioni di agosto, ha convocato settecento funzionari a un incontro segreto per autoproclamarsi presidente, mentre le proteste contro di lui e il suo imbroglio per restare al potere continuano pacifiche (pacifici sono i manifestanti, non i custodi del regime). Qualche ora dopo, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, rispondeva alle domande dei giornalisti in conferenza stampa alla Casa Bianca. Domanda: presidente, si impegna oggi a una transizione pacifica dopo le elezioni? Risposta di Trump: “Be’, dobbiamo vedere che succede”, “il voto via posta è un disastro, lo sapete tutti e lo sanno soprattutto i democratici”, “non ci sarà un passaggio di potere, ci sarà una continuazione del potere”. Poco dopo Mitt Romney, repubblicano del Senato americano ed ex candidato alla presidenza, ha twittato: “La transizione pacifica è fondamentale per la democrazia; se non c’è, c’è la Bielorussia. Ogni insinuazione sul fatto che il presidente possa non rispettare questa garanzia costituzionale è allo stesso tempo impensabile e inaccettabile”.

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Il paragone tra gli Stati Uniti e qualsivoglia dittatura è solitamente un esercizio caro agli odiatori dell’America, e infatti la tv russa è passata dal racconto delle congratulazioni di Vladimir Putin al presidente rieletto Lukashenka alle immagini di Trump alla Casa Bianca in cui diceva che non si vuole impegnare al passaggio di potere, si vedrà come va. Il sottotitolo è chiaro: dite tanto a noi, cari occidentali, ma guardatevi, non siete meglio. In questo caso però l’ostinazione di Trump a non voler nemmeno dichiarare che rispetterà la Costituzione sembra preoccupante anche a chi l’America la ama – anzi, soprattutto a chi la ama.  Commentatori e analisti americani stanno tratteggiando gli scenari possibili del post voto: il peggiore, come scrive l’Atlantic in un lungo, prezioso e spaventoso articolo dal titolo “L’elezione che può rompere l’America”, “non è quello in cui Trump rifiuta l’esito delle elezioni, ma quello in cui Trump usa tutto il suo potere a disposizione per far sì che il risultato non sia negativo per lui”. Questo potere è molto grande e si esercita nei 79 giorni che vanno dal voto del 3 novembre, a mezzogiorno del 20 gennaio quando, secondo la Costituzione, il potere del presidente in carica “finirà” e giurerà il presidente eletto alle elezioni. Questo interregno “è una terra di nessuno tra la presidenza di Donald Trump e un successore incerto – un secondo mandato per Trump o un primo mandato per Joe Biden. La transizione del potere che normalmente diamo per scontata è fatta di alcuni passi intermedi, e questi passi sono fragili”. Su questa fragilità sistemica farà leva Trump e ha molti punti di appoggio perché, dice Lawrence Douglas, autore di “Will he go?” (se ne andrà?), “la Costituzione americana non garantisce la transizione pacifica del potere, la presuppone”.  

  
Trump ha già cominciato a incrinare questo meccanismo. Alla convention dei repubblicani ad agosto, il presidente ha detto: “L’unico modo che gli altri hanno di portarci via queste elezioni è rubandole”. Se perde, insomma, è perché gli altri hanno fatto brogli, ma sul suo accettare l’eventuale resa, Trump lascia quella che lui chiama “suspence”, che si trasforma poi in qualsivoglia teoria del complotto ordita dai liberal contro di lui. C’è però ancora (almeno) un grado di separazione tra il piano di Trump per l’interregno e un regime: un dittatore forte non rischia la seccatura di perdere le elezioni. Cerca di garantirsi la vittoria per tempo, evitando di dover ribaltare poi il risultato delle urne. E questo Trump non ha il potere di farlo.

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