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prepararsi al worst case scenario

I paesi dell’Ue rispondono di nuovo in ordine sparso alla crisi sanitaria

David Carretta

Di fronte alla seconda ondata, paesi vicini con evoluzioni simili imboccano direzioni diverse. Il monito della commissaria alla Sanità Kyriakides

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Bruxelles. La Commissione europea ieri ha tirato il “campanello di allarme” sulla seconda ondata Covid-19, nel momento in cui gli stati membri continuano ad affrontare la crisi sanitaria in ordine sparso e appaiono impreparati perché restii a utilizzare gli strumenti messi a disposizione dall’Ue. “La situazione in alcuni stati membri è perfino peggiore rispetto a marzo. Questa è una vera fonte di preoccupazione”, ha detto la commissaria alla Sanità, Stella Kyriakides, presentando l’ultimo rapporto di valutazione del rischio del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc). Ovunque nell’Ue si constata un’impennata dei positivi, ma alcuni stati registrano situazioni più allarmanti in particolare sul numero di ricoveri, anziani contagiati e casi gravi. La nuova mappa del rischio redatta dall’Ecdc divide l'Ue in tre zone: il trend è stabile in Italia e Germania; preoccupante ma a rischio moderato in Francia e Austria; preoccupante ma alto rischio in Spagna e Romania. “Tutti gli stati membri devono essere pronti a introdurre misure di contenimento immediatamente e al momento giusto cioè al primo segnale di potenziali nuovi focolai”, ha detto Kyriakides: “può essere l’ultima chance per evitare quel che è accaduto la scorsa primavera”.

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Bruxelles. La Commissione europea ieri ha tirato il “campanello di allarme” sulla seconda ondata Covid-19, nel momento in cui gli stati membri continuano ad affrontare la crisi sanitaria in ordine sparso e appaiono impreparati perché restii a utilizzare gli strumenti messi a disposizione dall’Ue. “La situazione in alcuni stati membri è perfino peggiore rispetto a marzo. Questa è una vera fonte di preoccupazione”, ha detto la commissaria alla Sanità, Stella Kyriakides, presentando l’ultimo rapporto di valutazione del rischio del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc). Ovunque nell’Ue si constata un’impennata dei positivi, ma alcuni stati registrano situazioni più allarmanti in particolare sul numero di ricoveri, anziani contagiati e casi gravi. La nuova mappa del rischio redatta dall’Ecdc divide l'Ue in tre zone: il trend è stabile in Italia e Germania; preoccupante ma a rischio moderato in Francia e Austria; preoccupante ma alto rischio in Spagna e Romania. “Tutti gli stati membri devono essere pronti a introdurre misure di contenimento immediatamente e al momento giusto cioè al primo segnale di potenziali nuovi focolai”, ha detto Kyriakides: “può essere l’ultima chance per evitare quel che è accaduto la scorsa primavera”.

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L’appello della Commissione è volto a “evitare la situazione in cui i governi si sentano obbligati di imporre un secondo lockdown”, ha spiegato Kyriakides, accusando i paesi di non attuare in modo efficace le misure raccomandate dall’Ue in luglio per prepararsi alla seconda ondata: aumento dei test, rafforzamento del contact tracing, migliore sorveglianza sanitaria, scorte di medicinali e materiale protettivo, garantire sufficienti capacità per le unità di terapia intensiva. Secondo Kyriakides, le capitali non stanno “pianificando il worst case scenario”, malgrado la Commissione abbia messo a disposizione “strumenti per sostenere questo sforzo”, come gli appalti comuni per le forniture delle terapie intensive e i contratti firmati per l’acquisto del farmaco Remdesivir. Ma dalle parole della commissaria ieri è emerso anche il problema di fondo, il punto debole dell’Ue dall’inizio della pandemia: le competenze sanitarie rimangono nelle mani degli stati membri. Le capitali dei 27 non sono disposte ad affidare all’Ue responsabilità in un settore così sensibile e nemmeno a coordinarsi su dati, criteri di valutazione del rischio o quarantene. Kyriakides ha ricordato che il 4 settembre la Commissione aveva proposto raccomandazioni per uniformare i criteri di valutazione del rischio, i codici colore delle diverse aree e le misure da imporre a chi torna da una zona rossa. In gioco c’è la libera circolazione di persone e merci. Come a marzo, presi dal panico i paesi potrebbero chiudere le frontiere (l’Ungheria lo ha fatto il primo settembre). Tipologie di test, comunicazione dei risultati e codice colore variano da paese a paese. Per le quarantene alcuni applicano lo standard Ecdc di 14 giorni, altri hanno ridotto a 10, altri ancora 7. Ma i governi non vogliono seguire le raccomandazioni della Commissione. “Le discussioni su una valutazione congiunta del rischio e su possibili misure comuni sembrano particolarmente sensibili”, si legge in un documento della presidenza tedesca dell’Ue dopo una serie di dibattiti tra i 27. Così, di fronte alla seconda ondata, paesi vicini con evoluzioni simili imboccano direzioni diverse. Mercoledì il Belgio ha annunciato una allentamento delle regole sul distanziamento e la fine dell’obbligo di mascherine. Lo stesso giorno in Francia il ministro della Sanità, Olivier Véran, ha imposto restrizioni significative a Parigi e la chiusura di bar e ristoranti in alcune città. La chiusura delle frontiere dell’Ungheria, invece, è stata inutile: l’Ecdc ieri l’ha incluso nel gruppo ad “alto rischio” perché c’è già “un tasso più elevato di casi gravi o ricoveri”, con un aumento della mortalità “già osservata” o “che potrebbe esserlo presto”.

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